I gradoni di Parco Buschicchio sono stati per molti anni un punto di aggregazione dei ragazzi e delle ragazze di Sant’Elia, a Brindisi. “Il parco rappresentava un nostro rifugio, un luogo sicuro per sfuggire a una società che sembrava non volerci così come eravamo”, racconta Paola Meo che insieme a tanti e tante, dopo che il parco è rimasto abbandonato e al buio per molti anni, ha cominciato a prendersene cura riavviando attività di sport popolare
Questo articolo fa parte dell’inchiesta Brindisi alla scuola aperta

Il Parco Buscicchio è il cuore del quartiere Sant’Elia di Brindisi, nato negli anni Ottanta. È un luogo che per molti anni ha visto bambini e adolescenti che, con l’intento di fare sport, utilizzavano le strutture sportive e l’ampio spazio verde.
Io e i miei amici passavamo il tempo sui gradoni del parco che, oltre ad avere una valenza sportiva, per noi aveva anche un valore sociale, era un centro di aggregazione spontaneo. L’allenatore nel quartiere era anche l’educatore, perché con lui si parlava del più e del meno. Ascoltava e non giudicava, non pretendeva di toglierti dalla strada ma ti insegnava a seguirne le regole.
Il Parco rappresentava il nostro rifugio, un luogo sicuro per sfuggire, seppur per poco tempo, ai problemi quotidiani, ai piccoli e grandi drammi presenti nelle famiglie, ai brutti voti e a una società che sembrava non volerci così come eravamo.

Nonostante i nostri genitori non approvassero, passeggiavamo nel quartiere, affascinati dai cortili collegati fra loro. Passavamo accanto ai campi di calcio allora molto frequentati. Ci piaceva andare al bar della società sportiva, mangiare un gelato e guardare le partite. L’avventura di attraversare cortili rigogliosi e diversi tra loro per poi ritrovarsi a parlare davanti a una partita di pallavolo o di calcio era ciò che ci riempiva le giornate.
Quanto diversa la situazione negli anni successivi! Parco abbandonato, campi vuoti, si respirava un’aria di isolamento e solitudine che portarono ognuno di noi a voler fuggire e a non riconoscere più quello che era stato il nostro rifugio per anni. È evidente che il recupero del Parco si doveva situare all’interno del ripensamento delle dimensioni comunitarie del quartiere che era passato da una ricerca dello stare insieme, dell’affrontare ogni evento collettivamente, al “controllo” del proprio orticello.


È nata così l’esigenza di restituire al quartiere e alla città tutta uno spazio sociale, un luogo educativo, un polmone verde nel quale respirare prima di tutto conoscenza, confronto, educazione, socializzazione per una crescita collettiva e personale dell’individuo e della comunità.
A ciò si è aggiunta la necessità di realizzare interventi edilizi per l’impiantistica sportiva, volti, in particolare, al recupero e alla riqualificazione degli impianti esistenti ma soprattutto il potenziamento della pratica sportiva quale strumento di crescita ed educazione nell’età evolutiva, prevenzione della salute in età adulta e cura e riabilitazione in terza età. Inoltre ciò che è necessario è lo sviluppo della relativa “cultura sportiva” e la rimozione degli squilibri economico- sociali. Una cultura dello sport insita nello sport popolare dove si supera la competizione distruttiva per raggiungere l’equilibrio delle dinamiche di squadra e in cui si apprendono regole sociali fondamentali per la crescita di bambini e bambine, ragazzi e ragazze.