Non c’erano alternative alla Dad, dicono, ma certo è stata l’unica risposta del mondo adulto agli adolescenti. Intanto, quando si torna a scuola lo spazio per la comunicazione resta quasi ovunque inesistente, schiacciato dall’ossessione per le verifiche. Alcuni ragazzi e ragazze non escono più, dovremmo dircelo. Alcuni non si vestono e non si curano. La nostra risposta all’adolescenza è il controllo? Ora sappiamo tutto di loro, dove sono e cosa fanno, in ogni momento; ma la triste verità è che non sappiamo un bel niente

I ragazzi e le ragazze stanno bene. Mi piacerebbe dirlo e poter pensare che questi anni terribili non peseranno sulla loro schiena e sul loro cuore a colpi di infelicità e psichiatra. Non stanno attraversando una guerra, è vero, ma è pur vero che non ci sono ideali o battaglie da combattere dietro al dilagare della pandemia, solo grande enorme incertezza.
I ragazzi e le ragazze sono quelli che, a volte, abbiamo tenuto sotto a una campana di vetro, a cui abbiamo semplificato tutto, quelli che abbiamo controllato sempre di più, quelli a cui abbiamo dato la colpa di essere sfaticati, nullafacenti, senza sale in zucca, quelli a cui abbiamo chiesto di non fallire per non farci sentire dei genitori incapaci.
Ridiamogli la scuola, mi verrebbe da dire; un luogo in cui tornare, una palestra di vita e regole sociali, un ambiente in cui misurarsi con i coetanei, uno spazio che li attragga e li contenga. Ma non basta, lo sappiamo bene, non questa scuola.
La verità è che dovremmo occuparci dei nostri ragazzi e farlo sempre, la verità è che avremmo dovuto farlo prima, quando stavamo bene, non solo attraverso il controllo dei voti in tempo reale.
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La Dad gli ha dato la mazzata finale, gli ha tolto tutto. Adesso sono costantemente sotto i nostri occhi, controlliamo lo spazio e il luogo in cui si muovono con il risultato pericolosissimo di portarli a circoscriverlo ancora di più. Come respirano?
Non gli basta più chiudere la porta della loro camera, si confinano dentro ad uno schermo, a volte due, per sfuggirci. È dentro allo schermo che provano ad andare lontano da noi, a fare quello che l’adolescenza gli chiede, trasgredire, sfuggire alle regole dell’adulto, si illudono di poter respirare, trovare un varco di senso.
Se noi sappiamo tutto, se non esiste più nemmeno la strada da percorrere per andare a scuola o il marinarla quella scuola, come possono iniziare ad autodeterminarsi? Cosa pensano che sia la libertà? Come la costruiscono?
Non avevamo alternativa, forse è vero, ma a me rattrista pensare che la Dad sia stata l’unica risposta del mondo adulto. Una scuola, per lo più, dove non si parla di emozioni e di sentire, dove lo spazio dell’apprendimento è legato all’ascolto sterile dell’insegnante.
E anche adesso, quando i ragazzi sono in presenza, invece di utilizzare quello spazio per comunicare, far pervenire psicologi e psicologhe, aiutarli ad esprimersi, a ragionare, a uscire dal guscio attrattivo della rete, vengono piazzate le verifiche. Lezioni di ore e ore senza interlocuzione in Dad e verifiche in presenza. Ma davvero è l’unica risposta possibile? La nostra risposta all’adolescenza è il controllo? È questo tipo di scuola?
Ora sì che sappiamo tutto di loro. Li vediamo, li osserviamo. Siamo onnipresenti. Non possono sfuggirci appunto. E come faranno a crescere? Come capiscono qual è la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male? Come faranno ad emanciparsi da noi? Dal papino e dalla mammina che lavorano nella stanza accanto e scrutano ogni movimento?

Alcuni ragazzi e ragazze non escono più, dovremmo dircelo. Soffrono la solitudine e non sono riusciti a crearsi nessun gruppo, così importante in adolescenza per la costruzione dell’identità. Il compagno o la compagna di banco, luogo di confidenze e sollievo, vaporizzati. I nostri ragazzi e le nostre ragazze sono isolati e soli.
Dovremmo dircelo che gli adolescenti non dormono, si fanno del male, non si vestono e non si curano, perché non bisogna andare in nessun posto, tutto a portata di video, persino la finzione di vivere la vita.
In quello schermo, quello che gli abbiamo legittimato, in cui fanno tutto, didattica e tempo perso, che non chiede molto se non, a volte, prove che costano l’esistenza ai nostri figli.
Ditemi che non vi mancano quei ragazzi e quelle ragazze da sgridare per le sigarette scoperte nello zaino? E giù paternali; quei ragazzi che rientrano fuori orario e che ci fanno ammattire per lo spavento? Quei ragazzi che non raccontato di quel quattro, scoperto per caso, parlando con un prof. Ditemi che vi mancano, perché io ho la sensazione che noi grandi ci stiamo perdendo qualcosa, ho la sensazione che i ragazzi e le ragazze, sotto la nostra responsabilità, siano anime a rischio.
Ora sappiamo tutto di loro, dove sono e cosa fanno, in ogni momento; ma la triste verità è che non sappiamo un bel niente.
Cinzia Pennati (Penny) è insegnante, scrittrice e madre di due ragazze adolescenti, tra le quali Ludovica, l’autrice del disegno. Questo il suo blog sosdonne.com. Nelle librerie il suo romanzo Il matrimonio di mia sorella e Ai figli ci sono cose da dire. Ediz. illustrata.