Il maestro Alberto Manzi faceva spesso lezione sul terrazzo dell’ultimo piano della scuola Fratelli Bandiera di Roma, per innamorarsi con i bambini e le bambine del cielo e delle nuvole, intrecciando elementi di astronomia e di geometria con molta fantasia. Ma salire sui tetti delle scuole dovrebbe essere un esercizio anche per gli adulti: il pezzo di città che da lì si vede andrebbe esplorato in tutte le sue potenzialità. Il territorio che circonda le scuole è infatti prima di tutto un luogo di relazioni sociali, in molti casi ancora da ricomporre e riconoscere, e la scuola un possibile nodo al centro di tanti e diversi servizi. Cristina Renzoni, architetta e urbanista del Politecnico di Milano, durante il convegno “Scuole aperte” promosso il 29 febbraio dal Comune di Roma – insieme ai comuni di Bergamo, Milano e Bologna – ha suggerito quel luogo, i tetti, per ragionare di spazi scolastici non limitandosi alla scuola come edificio, ai cortili e alle strade di ingresso delle scuole. Una interessante pista di ricerca emersa dal convegno, molto partecipato, del 29 febbraio è stata proprio la spinta a ragionare di scuole aperte e allo stesso tempo di “città aperte“.
Barbara Mazzoleni, dirigente scolastica di Bergamo ha raccontato, ad esempio, di come attraverso l’esperienza della scuola aperta presso l’IC Camozzi sono stati promossi tanti laboratori e passeggiate per conoscere meglio il quartiere che circonda la scuola ed è nata un’Orchestra di genitori che fa musica in diversi luoghi del territorio. “Il dentro e il fuori della scuola – ha aggiunto la preside – è diventato un confine permeabile“.
Il nesso tra scuola aperta e città aperta è apparso evidente anche quando si è ragionato di un altro tema essenziale: “La partecipazione si impara facendo cose per il bene comune… In Italia esistono già centinaia di scuole dove i genitori hanno le chiavi e che aprono tutti i giorni alla propria comunità”, ha detto Gianluca Cantisani, presidente del MoVI e responsabile del progetto nazionale Scuole Aperte Partecipate in rete (che lega esperienze di 14 città). La storia delle scuole aperte, del resto, è cresciuta prima di tutto tramite la partecipazione e la gratuità messe in gioco da tanti cittadini e cittadine, spesso partendo da situazioni di grave disagio. La scuola aperta partecipata nata vent’anni fa alla Di Donato/Manin, all’Esquilino, così come la scuola aperta che sta prendendo forma da un paio di anni nell’IC Melissa Bassi di Tor Bella Monaca, sono state entrambe risposte a situazioni di abbandono, in particolare all’assenza di luoghi di incontro. Tra corsi di hip hop, lezioni di italiano per stranieri L2 e personale amministrativo dell’istituto disponibile ad aprire e chiudere la scuola, ha raccontato Angelica De Arcangelis, insegnante della Bassi, la scuola aperta si è rivelata da subito come una grande sfida al vuoto culturale e sociale che domina molte periferie romane.
Ma la partecipazione dei cittadini non è soltanto fondamentale per trovare le risposte alle tante esigenze che nascono intorno a una scuola che si apre, è innanzitutto una postura educativa, malgrado questo venga spesso dimenticato. “La scuola aperta è importante perché è partecipazione attiva – ha detto Roberto Orioli della rete romana Scuole Aperte Partecipate, rete che si prepara a festeggiare i suoi dieci anni di vita – È essa stessa educazione alla partecipazione. Non fidarsi dei genitori o, nel caso delle scuole superiori, degli studenti e delle studentesse, è un problema anche educativo“. L’associazione Boncompagni 22 promossa da studenti ed ex studenti del liceo Righi di Roma, ai quali sono state affidate le chiavi della scuola, dimostra che la fiducia è in grado di favorire storie meravigliose di ragazzi e ragazze che autogestiscono nei pomeriggi la propria scuola con diverse attività. “Siamo diventati un riferimento del quartiere”, ha detto con orgoglio Clotilde dell’associazione Boncompagni 22.
A proposito di fiducia e partecipazione: Filomena Massaro, dirigente scolastica, ha spiegato come uno dei prossimi passi dell’esperienza di scuola aperta all’IC “12” di Bologna sarà coinvolgere i ragazzi e le ragazze nella co-progettazione. Già, rendere bambini e bambine, ragazzi e ragazze protagonisti dei propri percorsi di apprendimento e della vita del territorio resta una priorità sulla quale riflettere. Si intravedono così anche alcune affinità tra le scuole aperte partecipate e l’educazione diffusa, intorno alla quale tanti altri stanno ragionando e sperimentando.
Anche secondo Claudia Pratelli, assessora alla scuola del Comune di Roma, le scuole aperte sono pratiche incredibilmente fertili sia per la scuola che per la città, in primis nella lotta contro le disuguaglianze. “La povertà educativa – ha detto l’assessora alla Scuola di Roma Capitale – è una grande emergenza nazionale e le scuole aperte sono una risposta…”. Per questo, a fine convegno, l’assessora ha proposto di realizzare un vademecum sulle scuole aperte per i comuni e di promuovere appuntamenti analoghi in altre città. Intanto, i comuni, le scuole e le associazioni che vogliono avviare o consolidare le esperienze delle scuole aperte possono contare su un prezioso apposito sostegno: il patrimonio di saperi e di pratiche accumulato da Labsus/Laboratorio per la sussidiarietà sull’amministrazione condivisa.
Naturalmente al centro del convegno ci sono state soprattutto le esperienze raccontate dai comuni, quelle di Roma, Bergamo, Milano e Bologna ma anche quelle di Napoli, Verona, Bolzano e Brindisi (per le quali rimandiamo alla videoregistrazione del convegno e alle interviste raccolte da Territori Educativi con l’inchiesta Scuole Aperte. Mettiamo in comune). “Per le scuole aperte non bastano i comuni”, ha però ricordato Sabrina Gastaldi dell’Anci, serve la forte collaborazione di enti del terzo settore, altre istituzioni pubbliche, associazioni di genitori e studenti (qui un articolo sul convegno pubblicato sul sito dell’Anci, Assessori Istruzione: “Comuni alleati, ‘Scuole aperte’ progetto da valorizzare a livello nazionale”).
Il movimento delle scuole aperte sembra dunque, già da un po’ di tempo, di fronte a un passaggio culturale importante e appuntamenti come il convegno a Roma e altri in programma nelle prossime settimane lo confermano. I principi e le pratiche che fanno parte del suo patrimonio lasciano ben sperare: se sarà un passaggio generativo dipenderà dalla capacità di tanti e tante di restare in movimento e di non sentirsi autosufficienti.
LA REGISTRAZIONE COMPLETA DEL CONVEGNO:
Questo articolo fa parte dell’inchiesta
Scuole aperte. Mettiamo in comune