Spesso ci si sentiva dire che trovare una mela marcia è sempre possibile, negli insegnanti come in ogni categoria, ma noi guardavano all’albero: perché la scuola pubblica italiana difetta di molto e un’educazione affettiva e sessuale è necessaria per gli studenti quanto per gli insegnanti. In quei giorni di febbraio, la scuola sulla collinetta nel cosentino non ha atteso l’intervento delle istituzioni o delle autorità preposte. Ha fatto da sé e molto probabilmente le ragioni per le quali abbiamo messo in piedi quella protesta non si ripeteranno. Un ex studente del Liceo Valentini-Majorana di Castrolibero, piccolo Comune dell’area cosentina, racconta in modo appassionato la lunga occupazione che ha fatto seguito alle denunce di abusi fatte da diverse studentesse e ha dato vita alla più grande manifestazione studentesca degli ultimi anni in Calabria. Anche questo è un esempio di come la scuola possa incontrare il territorio e sfidare insieme un colosso atavico come la cultura patriarcale per imporre, in questo caso ribellandosi ad abusi di potere gerarchico e autoritario, l’affermazione della dignità di tutti
Questo articolo fa parte dell’inchiesta
La Calabria che non torna alla normalità

N
egli ultimi anni nel Cosentino, a differenza di altre zone in Calabria, le proteste studentesche non si sono mai fermate. In certi casi, come quello dell’alternanza scuola lavoro, hanno dato filo da torcere alle istituzioni, sempre troppo vaghe nel fornire le risposte pretese a gran voce dagli studenti. Nonostante questo fermento, costantemente caldeggiato da organizzazioni giovanili, in fatto di occupazioni non si era mai andati lontano. Le forze dell’ordine si sono sempre precipitate con una velocità encomiabile ogni volta che anche solo l’ombra incerta di un’occupazione aleggiava attorno a un istituto scolastico. Inoltre certi presidi sanno essere molto convincenti nel persuadere i propri alunni nel desistere da tali attività ‘sovversive’.
Come è stato possibile allora che, in un clima come questo, si sia verificata una protesta che, partita dai social e manifestatasi poi come occupazione, ha richiamato gli studenti di tutta la Calabria a sostegno della propria lotta e che abbia fatto sentire il suo grido fino alle supreme e sorde aule del potere?
La vicenda ha avuto inizio in un terreno relativamente nuovo per le battaglie politiche locali: internet. Questa una rapida ricostruzione dei fatti: una ex studentessa apre una pagina social con il nome della scuola da lei frequentata fino a un anno prima e ha il coraggio di denunciare di aver subito abusi. Il suo “callout”, letteralmente chiamare per aiuto, ha un immediato riscontro.
Su quella pagina vengono pubblicate testimonianze di ragazze, che frequentano o hanno frequentato la scuola in questione, che denunciano abusi, principalmente compiuti dallo stesso professore. Dopo qualche giorno a scuola non si parla d’altro, il clima è teso; si inizia a mormorare fra gli studenti di una occupazione. La situazione esplode il 3 Febbraio, quando una trentina di ragazzi sotto il quieto sole dell’alba occupano la scuola, incatenano i cancelli e chiamano tutti gli studenti alla lotta. Nel giro di poco arrivano carabinieri e il fabbro con tanto di cesoie: il buon nome della scuola va mantenuto, questa occupazione non s’ha da fare.
Mentre la protesta sembra sgonfiarsi sotto le minacce della repressione, ecco comparire una ragazza che, proprio dietro al cancello, faccia a faccia con insegnanti, preside e forze di polizia afferma di essere stata anche lei molestata dallo stesso professore. La vicenda precipita velocemente e quando si è travolti dall’onda non si ha il tempo per fermarsi a riflettere su cosa sta succedendo. Nel giro di qualche giorno, tutti i maggiori giornali nazionali e le emittenti televisive si presentano sul posto: vogliono sapere, vogliono mostrare al mondo l’orrore. Troppo volte il grande giornalismo iper-mediatico più che informare dei fatti che avvengono preferisce informare i fatti, aggiungendovi quel tanto di romanzesco e di pietismo che serve a rendere una storia attraente. La storia dell’occupazione, però, è un’altra, una storia di ragazzi che si sono sostenuti a vicenda, che uscivano da una pandemia e avevano bisogno di recuperare una loro dimensione sociale, di ritrovarsi in spazi condivisi, spazi sempre più erosi perché la felicità delle persone non dà proventi economici.
Durante quei giorni qualcosa di diverso è avvenuto. L’occupazione ha preso subito le sembianze di una assemblea democratica permanente, dove ogni giorno venivano organizzate attività culturali mattutine, quali la lettura di poesie sulla condizione delle donne, incontri con scrittori del territorio, il ritrovarsi con studenti di altre scuole del territorio giunti a esprimerci solidarietà, nonché formative discussione con collettivi femministi come fem.in e con i consultori cosentini. Nella sonnolenza del pomeriggio, poi, ci si ritrovava insieme sotto le arcate della palestra o all’ombra dei pochi alberi della scuola, in cerchio attorno a qualche ragazzo con la chitarra. La sera, infine, si provava a proteggersi come si poteva dall’impietoso freddo invernale e dalla presenza di balordi. Tutto ciò in compagnia di professori che spesso portavano le pizze o, quando andava bene, qualche dolce fatto in casa.
La collaborazione con i prof. (non tutti) è stata più che proficua, anche se in certi casi ci sono stati delle ovvie contrapposizioni, ma il carattere di questa occupazione è stato assolutamente democratico, con il personale di segreteria che entrava senza problemi a svolgere il proprio lavoro e i professori nel cortile con noi a discutere, tentando di ripristinare un rapporto ormai inevitabilmente incrinato dai fatti che hanno portato alla protesta. Sono perfino state svolte alcune lezioni all’aperto per tutti gli studenti. In questo ambiente, apparentemente festivo, continuava però una dura lotta per ricevere una risposta dal Ministero, un intervento, un comprendere come certi fatti possano accadere. Spesso ci si sentiva dire che trovare una mela marcia è sempre possibile negli insegnanti, così come in ogni categoria lavorativa, ma noi guardavano all’albero: perché la scuola pubblica italiana difetta di molto e un’educazione affettiva e sessuale è necessaria per gli studenti quanto per gli insegnanti. Quei giorni di febbraio la scuola sulla collinetta nel cosentino ha fatto da sé, senza Maestri, ma è del tutto evidente che gli interventi di prevenzione e contrasto agli abusi devono essere sistematici.
Alla luce di quanto avvenuto e di un innegabile successo della protesta, si è infine deciso di convogliare in un ultimo slancio tutte le forze rimaste: provare a far sì che la Calabria, per certi versi, “facesse scuola” a tutta Italia. È nata così la proposta di una vera manifestazione per il viale principale di Cosenza.
Sono arrivati studenti provenienti dalla città, dai paesi che sono giù al mare e da quelli arroccati sulle montagne, da Crotone, da Reggio Calabria. In piazza ervamo duemila, sostenuti anche da molti insegnanti. È stata la più grande manifestazione studentesca degli ultimi anni in Calabria e ha generato un cambiamento nella gestione della scuola da cui tutto è partito.
L’occupazione era durata 17 giorni. Certo, naturalmente, nella struttura organizzativa la scuola italiana è rimasta la stessa, non abbiamo mica fatto una rivoluzione, ma il lascito e l’importanza che questa protesta ha avuto dovranno essere cercati e sottoposti a verifica in ciò che avverrà nei prossimi anni. Perché certi cambiamenti non si leggono nei regolamenti o nei simboli, ma nelle esperienze, nella consapevolezza e nelle coscienze delle persone che ora sanno che non solo qui, nel sud del sud, è finalmente possibile lottare, ma lo è anche vincere.
Fausto Cirillo è un ex studente del liceo Valentini Majorana di Castrolibero, scuola occupata lo scorso anno contro le violenze sessuali denunciate dalle studentesse