Siamo andati a cercare di comprendere e raccontare cosa succede, fuori e dentro i cancelli di una scuola, quando un territorio affascinante e dannato entra dentro le aule attraverso le finestre socchiuse. E, naturalmente, viceversa

Un ottobre piovoso, in genere, annuncia un buon raccolto di funghi. Dicono che un proverbio calabrese lo sancisca con un’espressione assai più eloquente: Ottobri chìovarùalu, mìsi fungìarùalu. Qualche arguto sapientone, di quelli che in classe non mancano mai, spiega poi che è per questo che i funghi hanno quasi sempre la forma di ombrello. Per ripararsi. Magari stretti stretti, uno accanto all’altro.
A scuola ormai sono tornati tutti. Il Covid c’è ancora, ma non è più quel virus del terrore che ha fatto gettare perfino i banchi dalle finestre pur di isolare ciascuno dal suo compagno di banco. Il tempo in cui siamo diventati intoccabili ha lasciato strascichi molto profondi nei corpi e nelle sensibilità. Altre catastrofiche crisi incombono. Dobbiamo proteggerci, un po’ come fanno i funghi. Anche perché a quella mitica normalità, che in un passaggio iniziale della fase pandemica era finita sulla bocca di tutti, non torneremo.
Non se ne dispiace affatto chi, lucidamente, ha continuato ad affermare che è stata proprio lei, quella assurda e sospirata normalità, a impantanarci nel cuore delle crisi che ci affannano, a scuola e altrove. In tutti, però, dovrebbe esser cresciuta a dismisura la consapevolezza della nostra fragilità, del bisogno che abbiamo gli uni degli altri, del valore essenziale della solidarietà e della partecipazione alla protezione del bene e del fare in comune.
Con questa nuova ampia inchiesta nel territorio calabrese – in particolare nell’area della provincia cosentina, dove il progetto delle Scuole Aperte e Partecipate in Rete è più insediato – siamo andati a cercare di comprendere e raccontare cosa succede, fuori e dentro i cancelli di una scuola, quando un territorio affascinante e dannato entra attraverso le finestre socchiuse dentro le aule. E, naturalmente, viceversa. Che quel territorio sia affascinante e dannato, lo scrive Claudio Dionesalvi in quella che a noi è sembrata una magnifica video-antologia del principio di speranza. D’altra parte, noi lo abbiamo scritto più volte: la speranza è la vita che si difende. Un po’ come fanno i funghi per gli acquazzoni con l’ombrello. Che poi si può anche portare a spasso quando l’entusiasmo e l’energia inesauribile delle bambine e dei bambini si riappropriano con naturalezza degli spazi urbani.
A stendere il filo su cui poggia tutta la grande ricchezza delle attività cosentine della scuola che s’è fatta città, a mo’ di introduzione delle attività del progetto, ci ha pensato Gianluca Palma. A mostrarne la profondità dei significati e la larghezza degli orizzonti, attraverso il racconto del miracolo della Spirito Santo, il dirigente scolastico Massimo Ciglio. A evidenziarne le sfumature e i colori – descrivendo le magie di una strana galleria d’arte autogestita capace di inventare bellezza dove tutto crolla – abbiamo invece l’articolo di Giuseppe Bornino.
Andrea Bevacqua e Alessandra Luberto tracciano poi il profilo di MorEqual, il partner associativo territoriale del progetto. Lo compone un gruppo di persone preziose, dedite soprattutto alla paziente tessitura dal basso di spazi di democrazia reale e reti di solidarietà. E non poteva mancare, a proposito di democrazia reale, lo sguardo di un ex studente, una figura spesso essenziale quando in una scuola si decide di aprirsi alla città e al mondo. Fausto Cirillo scrive con la passione che si conviene a chi pensa d’aver vissuto un passaggio saliente della storia del movimento studentesco locale: la lunga occupazione contro la cultura patriarcale del liceo Valentini Majorana di Castrolibero, un piccolo Comune dell’area cosentina. Con il resoconto delle attività dell’Associazione Santa Lucia, a firma di Mario Gravina e Laura Calderaro, si torna nella città vecchia perché da tempo, nel quartiere che fu delle “lucciole”, s’è accesa una speranza anche per i bambini sgomberati dal campo Rom.
Completano lo spazio cosentino di questa inchiesta, due articoli di Gianluca Palma, già usciti in precedenza su Territori Educativi, ma essenziali a restituire la ricchezza del quadro cittadino sulla scuola e la sua relazione con il territorio: quello intitolato “Riconnettiamo la scuola alla comunità” presenta una sorprendente iniziativa editoriale che valica i confini e l’ambito di lettura cittadino; mentre “La pace da Cosenza a Perugia” è un breve resoconto, con tanto di intervista video, sui preparativi alla partenza verso la Marcia per la Pace da Perugia ad Assisi, che ha visto la partecipazione straordinaria dei giovanissimi studenti di Cosenza.

A sottolineare la rilevanza della partecipazione dei genitori al progetto delle Scuole Aperte, spostandoci a Corigliano-Rossano, serve il bel racconto di Monica Quaranta. Monia, mamma e ragazza dell’Est, si presenta all’appuntamento con la nostra inviata insieme a quattro meravigliosi bambini. Altrimenti non saprebbe dove lasciarli, spiega.
È con le sue parole che il discorso si sposta dal cielo delle teorie alla concretezza delle cose. Tutto ciò che servirebbe per vivere meglio, per esempio proprio l’apertura della scuola nel pomeriggio, diventa così più chiaro. Monia cresce i suoi bambini da sola. Non ha alcuna possibilità di potersi permettere di pagare corsi e attività sportive o ludiche per i bambini. Il suo discorso è diretto e di una lucidità impressionante. Una testimonianza esemplare per chi ancora esita a comprendere il significato di una nuova relazione tra la scuola, le famiglie e il quartiere.
Altrettanto esplicito, peraltro, è l’entusiasmo della dirigente scolastica dell’Istituto Rossano 2, Celestina D’Alessandro, così come il rifiuto del tradimento di un concetto essenziale insito nel luogo stesso in cui ha già trascorso molti anni. “La scuola o è aperta o non è scuola”, dice. Più chiaro di così…
A Rossano-Corigliano, il partner associativo del progetto Scuole Aperte è una organizzazione di volontariato che fa già del nome un programma: Insieme. Quest’anno festeggia 27 anni di straordinarie attività in un territorio in cui la solidarietà e le attività di volontariato sarebbero sconsigliate per chiunque non abbia tenacia e passione da vendere. Insieme è nata con il sogno di un gruppo di amici convinti che è dalla scuola che si può cominciare a cambiare la società. Un sogno che viene messo in pratica, giorno dopo giorno, da più di un quarto di secolo.
D’altra parte, in uno dei quartieri più difficili del nuovo Comune (Rossano si è unita a Corigliano solo nel 2018) di quasi 80 mila abitanti, dove l’abbandono scolastico è al 17 per cento, quasi il 50% in più della media nazionale, non ci sono molte alternative. O si nutrono la passione e l’impegno con la determinazione di chi fa vivere lì il progetto delle Scuole Aperte, oppure la disillusione, la mancanza di autostima e il fatalismo riescono ad affondare l’entusiasmo di chiunque.
Completa il quadro dell’esperienza di Rossano, un altro resoconto delle attività, uscito su Territori nell’estate scorsa. C’è sembrato importante per dare completezza e insieme testimonianza di una generosità del mettere in comune ricchezze che non hanno prezzo.
Per concludere la nostra inchiesta, infine, abbiamo scelto di uscire ancora dai confini dei territori investiti in modo diretto dal progetto. Così ci siamo affacciati, con l’ottimo reportage di Rita Coco, nella periferia invisibile di Reggio Calabria. Lì vivono ammassate persone di origine rom, migranti e poveri in un chilometro quadrato di casermoni di edilizia popolare nel mezzo del nulla, anzi tra cumuli di rifiuti, malgrado il mare, a due passi, resti uno scenario meravoglioso. Ad Arghillà la scuola è stata incredibilmente chiusa. È anche quella la normalità calabrese, pre e post-pandemia, alla quale, come dicevamo, non ci sembra proprio il caso di tornare.
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