Quando i temi del servizio civile e della difesa nonviolenta trovano spazio nelle scuole superiori, tra i ragazzi e le ragazze prevale per lo più un senso di disorientamento. Tuttavia, quando si discute delle contraddizioni di una società imbevuta di violenza quei concetti favoriscono punti di vista ricchi di senso. Scuole e territori sono chiamati prima di tutto a un paziente sforzo per riscoprire con studenti e studentesse parole e significati di mondi nuovi

Negli ultimi mesi sono stato in dodici diversi istituti superiori romani, con una media di quattro classi incontrare a istituto, per parlare con loro di servizio civile. Gli incontri cominciano sempre da alcune domande che rivolgo loro per orientare la chiacchierata in base alle loro conoscenze e interessi: “Avete mai sentito parlare di servizio civile?”, “Se non ne avete sentito parlare, cosa vi immaginate possa essere questa cosa per cui i vostri professori mi hanno invitato a chiacchierare con voi?”, “E di obiezione di coscienza ne avete sentito parlare? In caso affermativo, di cosa si tratta?”.
Più ancora che le parole, che in effetti sono generalmente poche o nulle, sono interessanti gli sguardi e l’espressione generale della faccia dei ragazzi, tra il perplesso e lo sgomento: di fronte alle due domande relative alla conoscenza di questi istituti, è elevata la percentuale di coloro ai quali si stampa in viso un “ma de che stai a parla’?”.
Ancora più interessante la questione quando si passa alle domande di contenuto. L’associazione di idee più frequente che viene proposta in risposta alla domanda su cosa sia il servizio civile è quella legata ai Lavori socialmente utili; seguita di poco dalla Pubblica sicurezza e, a qualche distanza da “qualcosa che c’entra con il volontariato”. Di fronte all’altra domanda invece, quella su di cosa stiamo parlando se usiamo l’espressione obiezione di coscienza, quei pochissimi che non si nascondono sotto al banco per timore di essere interrogati rispondono che hanno sentito parlare dei medici che non praticano l’aborto.
Nessuno di questi ragazzi prima del nostro incontro associava il concetto dell’obiezione a una legge dello stato per motivi di coscienza, a un modello di difesa non armata e nonviolenta e a un rifiuto di ogni forma di violenza e sopraffazione nei confronti di un altro essere umano. A quel punto il confronto si fa solitamente interessante e stimolante; la freschezza del pensiero giovane consente di avventurarsi in ragionamenti intriganti e affascinanti sul significato della difesa, sull’assurdo logico dell’accostamento di questo termine con gli armamenti, strumenti di morte e quindi di offesa per eccellenza, sul valore economico delle spese per armamenti e su come queste ingentissime quantità di denaro potrebbero portare ben altra ricchezza e benessere.
L’aspetto drammatico, dunque, di quello che Nico Piro in Maledetti Pacifisti ha definito “Pensiero Unico Bellicista” è che ha prodotto prima di tutto una mancanza di parole, e dei significati che racchiudono, che dobbiamo con pazienza ricostruire (leggi Smettere di morire, intervista a Nico Piro).
[Andrea Guerrizio, Area Educazione, Volontariato, Cittadinanza Attiva / Caritas di Roma]