È stata molto letta e commentata la storia raccontata da Emilia De Rienzo, insegnante di Torino, a proposito di come la scuola è o meno un luogo che accoglie (Nulla da segnalare). Di seguito, una lettera ai genitori scritta da un’altra insegnante, Rosa Costantino, che prende spunto dal racconto di Emilia e ragiona della fatica di un mestiere stravolto da valutazioni, documentazioni, tablet e dalla “Buona scuola”, mentre si diffonde sempre di più, soprattutto tra i ragazzi, «una “solitudine emozionale”, un’incomunicabilità, che ci impedisce di comprendere, di amare, di essere disponibili, solidali, aperti... ». Intanto, a proposito di scuola, prosegue la raccolta firme per i referendum sociali, che includono la richiesta di abrogazione di alcune parti della «Buona scuola», e il 23 maggio torna lo sciopero generale
di Rosa Costantino
Caro genitore,
sono un insegnante che ha bisogno di aprire il proprio cuore, prima di lasciare la scuola e l’insegnamento. Manca poco infatti per arrivare al traguardo e non nascondo il mio turbamento nel pensare di dover lasciare i ragazzi. Faccio “fatica”, però, a ritrovarmi e riconoscermi nella scuola d’oggi la “Buona Scuola”, una scuola che, se per un verso recita di mettere al centro il “ragazzo”, dall’altra è bombardata da procedure burocratiche, indicazioni su indicazioni, documentazioni capillari, monitoraggi, valutazioni, che spesso perdono di vista il vero scopo, il vero obiettivo, il vero protagonista del processo educativo “l’alunno”. Senza parlare poi dei docenti che vanno e vengono: fascia A, fascia B, fascia C…, e non certo per loro volontà. A questo si aggiunga il pullulare di strumentazioni tecnologiche, per le quali le scuola di oggi fanno a gara, l’utilizzo dei tablet, ebook, computer (non sempre sostenuta da reti wi-fi efficienti), che sembrano essere la panacea di tutti i mali della scuola. Così il puzzle “scuola” si ricompone o meglio si scompone in mille pezzi.
Ma lasciamo da parte questo aspetto che necessiterebbe di una trattazione più ampia ed esaustiva, anche se vorrei precisare che non appartengo alla categoria di docenti che demonizzano la scuola digitale, anzi…
Quello che mi preme affrontare in questa sede, invece, è un problema un po’ più complesso che definirei generazionale:il problema della “solitudine emozionale” che caratterizza oggi, più che mai, la nostra società e che si riflette inevitabilmente nella scuola in forme diversificate. I ragazzi stanno perdendo la capacità di esprimere i propri sentimenti, nascondono le loro emozioni, non si abbracciano più e se non hanno a portata di mano uno smartphone o un computer non sanno comunicare, perché anche le parole e i gesti hanno bisogno di allenamento e di modelli di riferimento.
Ci stiamo lentamente avviando verso una “solitudine emozionale”, un’incomunicabilità, che ci impedisce di comprendere, di amare, di essere disponibili, solidali, aperti.
Diventiamo sempre più apatici, distaccati e ci avviamo lungo una strada chiusa ai lati da barricate di indifferenza e qualunquismo, che ci impediscono di accorgerci che intorno a noi c’è un mondo “altro”. Appare chiaro come questa solitudine emozionale viaggi su un canale opposto al ben-essere del ragazzo, condizione essenziale per un percorso educativo e di apprendimento, che abbia successo.
Caro genitore, ritengo quindi che su questo “terreno povero” dovremmo incontrarci nella scuola, una scuola di valori prima ancora che di saperi, aprendo un dialogo e un confronto continuo, affinché per i nostri ragazzi non prenda significato la bellissima metafora di Ungaretti
“Si sta, come d’autunno sugli alberi le foglie”.
Questa metafora esprime con grande lucidità la sensazione di fragilità e di solitudine che molti ragazzi, giovani e adulti vivono nel profondo del loro cuore. Nasce da qui la necessità di un’intesa, di un “patto formativo”, che non siano solo parole scritte su un documento scolastico e dimenticate, ma sia il frutto di intese valoriali e pedagogiche, capaci di ridisegnare il senso della vita dei nostri ragazzi, una vita basata sul rispetto, sulle regole, sulla condivisione, sull’accettazione dell’altro, sulla collaborazione.
Ecco che in questo “humus” il bullismo, la droga, l’intolleranza, la violenza sul diverso, gli atti estremi non troveranno più terreno fertile per impiantarsi e germogliare.
Caro genitore, lavoriamo insieme, è più facile e andiamo più lontano, per regalare ai nostri figli un futuro migliore. Ricordiamo sempre che i figli sono figli nostri e non figli delle istituzioni.
Rosa Costantino, insegnante
Donatella Donati dice
Concordo e mi aggancio alla frase finale per dire che le istituzioni sono per noi, adult*, ragazz* e bambin* e non viceversa. Non vogliamo restare ingabbiat* in istituzioni totali.
Carla Verdecchia dice
Agganciare il loro cuore anche solo per un momento è il vero successo. Passano dal viscerale al corticale saltando completamente il torace.
Gianfranco Cannoletta dice
Come non essere d’accordo? Sembriamo tutti lobotomizzati.
Rita Dei Cas dice
Grazie, finalmente una voce vera… sempre tutti a dare addosso ai genitori, agli insegnanti… senza mai condividere le esperienze, le voci vere… Questa è una voce vera.
Paola Petrone dice
Condivido pienamente e aprirei una discussione anche sul tempo reale che i genitori dedicano ai propri figli…
Flora Fiore dice
Io lavoro in una scuola a tempo pieno e lontano da casa… faccio il doppio turno e quando sono di pomeriggio (4 volte a settimana su 5) arrivo a casa alle 18 (sempre che poi non ci siano collegi, consigli di classe, incontri scuola-famiglia, corsi di formazione ecc ecc) e allora, smessi i panni di insegnante, devo indossare quelli della casalinga (non posso permettermi un’aiutante) e quanto meno devo preparare la cena ( previa spesa)… anche i miei figli passano molto tempo al Pc anche se , spero, rispettano la regola delle due ore giornaliere perché visto che non ci sono non posso controllare…
Non bisogna demonizzare tutti i genitori…alcuni fanno quello che possono.
Anele Coppola dice
Condivido pienamente… ascoltiamo i nostri alunni e meno burocrazia..sei una buona maestra complimenti.
Gabriella Vidi dice
Un’analisi lucida, vera, aderente al reale.
Giampiero Monaca dice
Nella nostra classe le coccole e gli abbracci sono parte fondante della metodologia e della pratica. Educare al sentire l’altro. A non temere la relazione, a creare basi solide, anche sensoriali per relazioni significative. I nostri bambini imparano perché si fidano di noi, non perché sia un dovere. si impegnano a seguire le lezioni perché ci vogliono bene e sanno, perché lo hanno sperimentato, che noi vogliamo bene loro. Anzi che vogliamo il loro bene.
Collaborano fra di loro perché si apprezzano, e si vogliono bene. Si SENTONO
Reprimere sentimenti è negare affettività, porta a taboo, a frustrazioni, a pruriti poco sani, a demonizzazione di pulsioni assolutamente normali. Anche l’affettività e la corporeità devono essere apprese attraverso la sperimentazione in ambiente sano, mediato, protetto. Altrimenti che facciamo? Lasciamo che la imparino tutta a tredici anni su internet o con gli esempi che hanno in Tv?
Arianna Baiocchi dice
È davvero così… Non sappiamo più abbracciarci e parlare di Noi…di ciò che sentiamo. Serve Alfabetizzazione emotiva … per cambiare, per migliorare i rapporti umani.
Nadia Diotallevi dice
La solitudine emozionale: un tema su cui riflettere come sempre nella maniera più ampia possibile quella che io definisco a 360 gradi. Perché un ragazzo/a non è un Isola sperduta nell’infinito oceano… o per lo meno non dovrebbe sentirsi cosi.
Gabriella Palamara dice
Ogni mattina noi insegnanti abbiamo il privilegio di incontrare il futuro … Il nostro è un mestiere prezioso, difficile. Il nostro compito va oltre la disciplina che insegniamo… Dobbiamo scardinare prassi e limiti della valutazione… Dobbiamo ridare speranza al nostro futuro.
Maria Grazia Giordano dice
L’accettazione parte da se stessi prima che dall’altro. Io vedo ragazze bellissime, mie alunne, che ritengono intollerabili le loro cosce (peraltro perfette) o qualche altra parte del corpo. Molto spesso queste adolescenti (ma vale pure per i maschi) hanno accanto adulti che la pensano nello stesso modo, che per accettarsi hanno bisogno di una forma fisica perfetta, di un certo look, di una certa quantità di gadget tecnologici di un certo tipo, ecc. Io lavoro molto sulla resilienza, sulla capacità di fronteggiare gli eventi negativi cambiando il punto di vista sulla realtà, di concentrarci su quello che c’è piuttosto che su quello che ci manca. Non so se ottengo qualche risultato, certe volte mi pare che la marea montante di questo insopportabile senso comune mi sovrasti. Però poi penso che, come dice il vangelo, noi siamo servi inutili, siamo chiamati a svolgere il nostro compito al meglio e poi forse i frutti arriveranno anche se noi non li potremo vedere.
Floriana Troilo dice
Lo noto guardando i fidanzatini sulle panchine, non si baciano, non si sfiorano, non si abbracciano, non si tengono per mano ma si fanno selfie, commentano i mi piace …..
Rita Lovascio dice
Mi chiedo cosa fare come mamma che sempre ha abbracciato e come docente che ha sempre insegnato i valori più profondi. Mi rendo conto che è una lotta impari. I ragazzi si sentono soli e stanno ore sui cellulari. Non molliamo: trasferiamo emozioni con il dialogo, anche con un sano scontro confronto. Il resto si vedrà. È una scommessa che dobbiamo rilanciare!
Lia Parisi dice
Un paradosso assurdo..siamo nell’era della comunicazione multimediale e regna l’icomunicabilità tra esseri umani…
Clara Pani dice
Non sanno più percepire con i loro sensi, le loro emozioni, anche perché la realtà è spesso virtuale disumanizzata. Si isolano dentro un mondo fatto di suoni e simboli che non rispecchiano la realtà, non hanno il modo e il tempo per pensare, provare, relazionare, giocare e ridere…sono monitorati come in una catena di produzione, a cottimo quasi, dove vince quello che ha l’intelletto più brillante…Ma la persona, è bene altro: è un universo complesso e bello, diverso e che merita un proprio progetto di vita! Ma questi giovani, non sanno sognare, è già tutto pronto e preconfezionato per loro: modalità, tempi. cause ed effetti. CHE TRISTEZZA INFINITA! IO, DOCENTE, NON MI PIEGO A TUTTO CIO’ E INSEGNO DA PERSONA A DELLE PERSONE: NON VERIFICO LORO MA I MEZZI CHE POSSONO AVER ACQUISITO PER VIVERE IN MODO QUANTO PIÙ AUTONOMO, CONSAPEVOLE E FELICE POSSIBILE: FELICE? SI, LA FELICITA’ E’ UN DIRITTO INVIOLABILE.
Clelia Esposito dice
La solitudine emozionale è espressione di una società individualista che sta travolgendo i ragazzi, le famiglie, tutti. Comprendo lo stato d’animo del docente che scrive, ma io temo che noi tutti siamo responsabili e non mi riferisco solo alla scuola contro cui spesso oggi si punta il dito. Noi non siamo più capaci, per tante ragioni, di insegnare la passione che, come diceva Gianni Rodari è:
“…intendo per passione la capacità di resistenza e di rivolta; l’intransigenza del rifiuto del fariseismo, comunque mascherato; la volontà di azione e dedizione; il coraggio di sognare in grande; la coscienza del dovere che abbiamo, come uomini, di cambiare il mondo in meglio, senza accontentarci dei mediocri cambiamenti di scena che lasciano tutto com’era prima; il coraggio di dire no quand’è necessario, anche se dire di si è più comodo, di non “fare come gli altri”, anche se per questo bisogna pagare un prezzo…. Rimane la necessità, il dovere, di comunicare loro non solo il piacere della vita, ma la “passione” della vita; di educarli non solo a dire la verità ma ad avere la “passione” della verità, eccetera.Vederli felici non ci può bastare. Dobbiamo vederli “appassionati” a ciò che fanno, a ciò che dicono, a ciò che vedono…”
Fiorella Palomba dice
Il Laboratorio di Scrittura che da sei anni progetto e conduco nelle scuole medie di Roma con l’associazione AltraMente (gratuitatanente) mi disvela ogni anno una sorpresa.
Stiamo concludendo la pubblicazione (un libro cartaceo ed elettronico) che viene presentato alla Libreria Nuova Europa, prodotto del Laboratorio che quest’anno aveva come tema le EMOZIONI.
Bene, quest’anno due classi di scuola primaria di Madrid ci hanno inviato il loro contributo. Bellissimi TAUTOGRAMMI con disegni dei bambini e delle bambine. Preziosi, soprattutto per loro *_*
Floriana Giacchini dice
D’accordissimo. Se un insegnante è convinto che a scuola si debba dedicare del tempo alla crescita emozionale dei ragazzi, gli strumenti a disposizione sono tanti. Faccio un solo esempio. Lavoro in una scuola primaria e da sempre, almeno una volta la settimana, faccio il Tempo del cerchio. SE per caso, salto la “seduta” i miei piccoletti di seconda mi dicono ” maestra! Il tempo del cerchio! ” E’ solo una tecnica ,ma sapeste i risultati che si ottengono…..!