di Valentina Guastini*
Mentre vado a scuola, ascolto la radio. Interviene in diretta una mamma che racconta della passione del figlioletto di cinque anni per il calcio. Gioca in una squadra locale ma, si lamenta la mamma, non sa proprio perdere. Il tono si fa un po’ più riflessivo e in radio ammettono: è il problema di questa generazione. I nostri bambini non sono abituati a perdere, non ne sono capaci.
Questa riflessione mi ha tenuto compagnia tutto il giorno e ho cercato di analizzare i fatti. Quanta responsabilità abbiamo noi genitori? Quanta la passività della televisione?
Faccio un po’ di autocritica e penso a quante volte abbiamo perso nella mia famiglia. Quanta gioia ci consegna una vittoria e quanto ci sprona ogni volta una perdita. Ma questa forse è solo esperienza; le mie bambine sono abituate a perdere?
Siamo ricaduti in un periodo storico subdolo, di difficile gestione dal basso. I genitori, i nonni spesso mascherano ai bambini le preoccupazioni, come è giusto che sia. Ma è difficile nascondersi in cinque anni di cassa integrazione, è difficile nascondersi dopo sedici anni di contratti a tempo determinato. Sono difficili da nascondere tutti i documenti sempre a mezzo, utili per i ricorsi. Difficile nascondere la scontentezza per un lavoro amato che è sempre precario. Difficile nascondere la paura che questo ti venga tolto per sempre.
Ada due anni fa ha vissuto la morte della mamma del suo amico più caro. Ancora adesso c’è un fumo denso intorno a quella vicenda. Mio marito era incaricato di tenere “occupato” il bambino il tempo di aspettare a casa nostra il resto della famiglia per comunicarglielo. È l’unica volta in ventanni che ho visto mio marito davvero in difficoltà. Sono sentimenti che ti porti dentro: compassione, empatia, tristezza, paura.
La vita ti segna inevitabilmente e per quanto cerchiamo un sfera magica dove poter custodire i nostri figli, la perdita fa inevitabilmente parte del pacchetto.
C’è sicuramente una parte di responsabilità data al carattere di ciascuno, ma ritengo anche che laddove un bambino non sappia perdere nelle banalità quotidiane, la causa vada ricercata anche negli adulti di riferimento.
“Chi perde la sua individualità perde tutto” diceva Mahatma Gandhi e per affrontare le varie perdite che la vita offre bisogna essere preparati, la sconfitta va accolta, conosciuta, affrontata, altrimenti rischiamo di perdere noi stessi nella rabbia e nella frustrazione.
Per restare nel recente, il 7 luglio è stata approvata la riforma della Buona Scuola; era già chiaro il disegno che prevedeva di far fuori una grossa fetta di docenti che da anni lavorano nella scuola. Evidente il mio sconforto: cena al ristorante cinese, discussione e analisi dei fatti, progetti alternativi nella peggiore delle eventualità, coccole sparse.
Ada (undici anni) il mese scorso ha litigato con la sua migliore amica, una di quelle prime delusioni che fanno tremare le ginocchia; quei frangenti dove di perdite ce ne sono una bella manciata in una volta: fiducia, sicurezza, felicità, condivisione. Ne abbiamo parlato molto per concludere aprendo una bottiglia di prosecco a cena, Ada si è appena bagnata le labbra. Abbiamo brindato al diventare grandi, ad imparare che nonostante tutto ne valga sempre la pena, abbiamo brindato alle ferite del cuore che ci insegnano tanto.
A giugno, io e la mia cara amica Elisa abbiamo organizzato il funerale di sua mamma con la banda di paese e la focaccia. Margherita (otto anni) ha lasciato andare i palloncini a bocca piena, ci ha abbracciato, abbiamo sorriso e ci siamo messe a piangere. Che bello piangere insieme, non siamo macchine. Quanto è importante piangere con qualcuno, ti toglie ogni vergogna, sei nudo nell’anima.
Ada qualche giorno fa aveva il discorso da fare ai compagni per la sua candidatura a sindaco dei ragazzi, era agitata. La sera prima ne abbiamo parlato un po’ e poi con questo pensiero della perdita ho voluto testare le sue emozioni, le ho detto: “E vabbè, si può anche perdere…”. Ha tirato su la cartella, ha alzato le spalle e ha risposto: “L’importante è divertirsi e poi, l’avresti mai detto? Dovrò parlare davanti a tutta la scuola… ho una paura, se riesco in quello ho già vinto”. Si gira Marghe mentre fa l’aerosol e tutta gasata dice: “Ooh però anche se perdi, andiamo a mangiare una pizza?”.
* mamma e maestra, fa parta della Rete di Cooperazione educativa C’è speranza se accade
DA LEGGERE
Elogio della sconfitta Rosaria Gasparro
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta…”
Donatella Donati dice
E se perdo?
Il clima che si respira in famiglia e nell’ambiente intorno influiscono molto sulla capacità dei/delle bambin* (e anche delle persone adulte) di reggere le frustrazioni, tanto più che l’imperativo dominante nel discorso politico oggi è: vincere, farcela a tutti i costi. Si oscura il fatto che là dove qualcun* vince c’è generalmente anche qualcun* che perde, e questo a mio parere diseduca all’empatia. Rispettare chi perde facilita anche il rispetto per le perdite proprie. Aggiungo che un buon equilibrio tra frustrazioni e gratificazioni fin nella prima infanzia è considerato nella letteratura psicoanalitica un elemento prezioso, forse il più prezioso nella costruzione di una persona in grado di affrontare in modo (relativamente) sano la vita.
E.S. dice
Sono d’accordo sui momenti di condivisione in ambito familiare delle difficoltà, così non ci si chiude e ci si sente meno soli, confermando il legame affettivo, “nella buona sorte e nelle avversità”
Ciò che lascia perplessi invece è accomunare la “perdita” con la “sconfitta” perchè il dolore causato da una perdita in ambito affettivo non è esattamente il mancato raggiungimenfo di un obiettivo, si tratta infatti di contesti differenti.
Certo la sconfitta va elaborata perchè mette in discussione il percorso fino all’ostacolo che non si riesce a superare o mette in discussione il lavoro che ha condotto al risultato non ottenuto e perciò richiede una “revisione” di metodi o di obiettivi e il reperimento di ulteriore motivazione . Certo il supporto migliore lo dà un milieu nel quale prevalgono l’affetto ma anche e soprattutto un’idea pragmatica e positiva dell’esistenza, un ambiente familiare che trasmetta fiducia nelle proprie capacità e aiuti nel costruire in sé stessi tale idea.
Ma proprio per questa ragione occorre investire di più nell’educare alla scelta degli obiettivi e alla “creatività e alla progettualità” e alla costruzione della propria capacità di motivazione piuttosto che porre in primo piano “la sconfitta” e tamponarla improvvisandovi attorno una presunta cultura dell’assorbimento o della resilienza.
Valentina dice
Concordo con te E.S. , su tutto, infatti la creatività e la progettualità non devono mancare mai, anzi, sono motore di rinascita e ricrescita su nuove strade.
Per quanto riguarda accumunare perdita con sconfitta non era quello il senso che si voleva dare, tanto è vero che nel testo la “sconfitta” non viene nominata.La riflessione era tutta incentrata sulla perdita,intesa nel suo senso ampio. Il termine sconfitta è solo nel titolo ed è un richiamo voluto al bellissimo articolo di Rosaria Gasparro https://comune-info.net/2015/11/elogio-sconfitta/ che già aveva discusso su temi simili.
Massimo Vaj dice
Direi che l’esistere già di suo comporti una sconfitta, che è quella di una perfezione mancata. Se si fosse perfetti non servirebbe l’esistenza che mira alla perfezione di sé. Sconfitta e vittoria sono analoghe a malattia e salute nell’impossibilità di definire una senza il dover definire anche l’altra. I definitiva ogni sconfitta avvicina alla vittoria come ogni vittoria prepara una sconfitta. Per uscire da questa ciclicità ci si deve posizionare al centro di ogni apparente opposizione nel quale sia la vittoria che la sconfitta non hanno più ragioni per essere nella calma immobile che tutto può senza voler possedere il possibile.
valentina dice
Che bello Massimo. Grazie, è vero.