Guardare un territorio soltanto con la lente delle elezioni impedisce di riconoscere complessità e contraddizioni, ma riduce anche la potenza di agire in direzioni diverse. Lo sanno bene a Santorso, nell’Alto Vicentino, noto per essere terra leghista. Nelle pieghe di questo angolo del Veneto, più di vent’anni fa è nata una storia di accoglienza diffusa e reciprocità che sta coinvolgendo anche altri comuni. Recosol (Rete delle comunità solidali) ha promosso con il comune di Santorso due giorni di Intrecci meticci per mettere in comune saperi, rabbia ed esperienze
Siamo partiti da diverse parti d’Italia per giungere a Santorso (Vi) dove, dal 6 all’8 settembre, avremmo partecipato a Intrecci Meticci, un evento promosso dal “Mondo nella Città”, l’organizzazione che gestisce diversi progetti di accoglienza diffusa SAI (Sistema Accoglienza Integrazione) nell’Alto Vicentino. Sapevamo che sarebbe stato un incontro interessante, il programma era ben strutturato e la giornata del sabato un’occasione di ascolto e di partecipazione di spessore, ma non erano soltanto queste le ragioni che hanno fatto sì che in tanti ci fossimo ritrovati in questo comune di circa seimila abitanti del Veneto laborioso e, purtroppo, leghista.
Santorso ha una lunga storia di accoglienza cominciata tra la fine del secolo scorso e gli inizi del 2000. All’epoca i cittadini avevano aperto le case ai profughi Kosovari dopo la guerra nell’ex Jugoslavia e da allora Santorso ha sempre accolto. Quando nel 2022, con l’improvviso esodo massiccio degli Ucraini – oltre 8 milioni in tutta Europa – l’Italia si è trovata impreparata ad accogliere i numerosi arrivi ai nostri confini, Santorso aveva già pronta la soluzione. Con il progetto la Tenda di Abramo il sindaco di allora, Franco Balzi, aveva avviato un protocollo d’intesa tra prefettura e Cas (Centro di accoglienza straordinario) di zona a cui hanno aderito venti comuni. Inoltre tantissime famiglie si sono attivate per ospitare nelle proprie case e il Comune ha fornito assistenza per superare i piccoli e grandi problemi di quest’emergenza. Il sindaco, racconta, aveva una chat di whatsapp e stava continuamente in contatto con i suo cittadini, gli stessi che si sono offerti di ospitare chi arrivava per il convegno di settembre. Molti avevano sentito parlare di questa comunità e della sua accoglienza grazie ai racconti e all’impegno in Italia e all’estero di Franco Balzi che in moltissime occasioni come sindaco e come rappresentante di Recosol – la Rete delle comunità solidali – ha difeso il diritto-dovere di accogliere, il modello SAI e si è battuto contro la criminalizzazione del fenomeno migratorio.
C’era tanta curiosità ma anche desiderio di incontrare questo sindaco a casa sua, tra la sua gente. In questa parte d’Italia dove l’impronta industriale è significativa, l’accoglienza e l’inclusione sociale funzionano davvero. Tra Schio e Santorso ogni angolo è caratterizzato dal passaggio di Francesco Rossi che agli inizi dell’Ottocento avviò i primi opifici disegnando inevitabilmente l’urbanistica e il tessuto sociale di quelle zone. Erano anni in cui la fabbrica era il nucleo intorno al quale ruotava tutto e alcuni industriali avevano realizzato strutture per supportare la vita dei lavoratori. Case popolari, asili, parchi, dopolavoro, la cittadina di Schio e il territorio limitrofo si sono sviluppati intorno agli stabilimenti Lanerossi che il figlio Alessandro ha successivamente rilevato e con nuovi investimenti è diventata una delle maggiori industrie italiane. A Santorso oltre a diversi edifici risalenti a quell’epoca – voluti e fatti costruire da Alessandro Rossi – c’è un parco meraviglioso, unico nel suo genere per la presenza di alberi e piante rare e di incredibile bellezza. Per volontà del sindaco Balzi, il parco Rossi oggi è stato finalmente recuperato, è aperto e completamente gratuito ed è attrezzato per essere visitato anche da persone con disabilità.
Questo il contesto, un “intreccio” tra laboriosità e solidarietà, voglia di fare ma anche di ascoltare. Intrecci Meticci è stato un caloroso abbraccio tra noi “forestieri” e la comunità tutta, con momenti d’incontro occasioni conviviali. La colazione del primo giorno è stata preparata a casa della signora Graziella, la fornaia di montagna che dopo quarant’anni di attività ha ceduto il passo e il forno refrattario ai più giovani che continuano l’opera di produzione di pani e dolci con grani antichi e biologici. Il forno è fuori paese, si fa un bel po’ di strada per arrivarci ma è sempre molto richiesto e a metà mattina c’è spesso il tutto esaurito. Con la grazia e la naturalezza di un evento familiare, siamo stati accolti in questa casa adiacente la bottega del pane dove ci è stato raccontato il lavoro di una vita, la storia familiare che si intreccia con quella del monte Summano, dei pastori e dei contadini che producono grani autoctoni. Il nostro amico Franco aveva portato le sue marmellate, chi aveva portato della frutta, l’assessora Francesca aveva fatto il caffè e poi ovviamente pani e dolci fatti in casa. Cosa c’entra tutto questo con un convegno sulle migrazioni? Tanto. È quel magico semplice intreccio di sentirsi tutti dalla stessa parte, chi arriva e chi accoglie. Aprire le proprie porte per condividere non solo l’indispensabile ma per far sentire l’altro veramente a casa. Noi siamo stati accolti con calore, come si fa quando arriva qualcuno a cui si vuol bene. Un’emozione ripetuta anche il giorno successivo, questa volta a casa di Francesca Doppio (neo assessora) che tra mille impegni personali e istituzionali ci ha seguito, aiutato, ospitato in casa sua preparandoci di buon mattino la colazione, il marito Mauro alla macchina del caffè per tutti quelli che man mano arrivavano anche se non si sapeva quanti fossero. Sino all’ultima sera dove quelli di noi rimasti si sono ritrovati a casa di Franco Balzi a fare cena, con quello che c’era, senza programmazione ma con il desiderio di stare insieme. Prassi consolidate, meccanismi ben oliati che si capisce appartengano alla quotidianità di chi vive questo territorio, al loro modo di relazionarsi con chi arriva da altre terre. Tre giorni di incontri e confronti perciò molto particolari dove la comunità ha fatto sentire la propria presenza e noi abbiamo avuto la percezione di condividerne l’intimità.
In questo clima si sono aperti i lavori del sabato. Il neo sindaco, Giorgio Bau’ con anni di esperienza al fianco del sindaco uscente di cui è stato vicesindaco, è apparso visibilmente commosso e ha rinnovato l’impegno a tenere vivi i principi di solidarietà e accoglienza che hanno costituito la storia più recente di Santorso. In quella bolla pacifica e solidale in cui eravamo avvolti stridevano gli argomenti trattati: le immagini dei CPR, l’esternalizzazione delle frontiere, la deriva dell’accoglienza e del sistema SAI, la criminalizzazione delle persone. Gli intrecci meticci improvvisamente suonavano come nodi scorsoi. Una giornata pesantissima a cui siamo giunti sguarniti, senza difese. L’assurdità delle politiche migratorie europee tutte incentrate sulla difesa da un nemico di cui bisogna evitare l’avanzata con ogni mezzo, stringeva il cappio, toglieva l’aria. Noi che da anni ci incontriamo e confrontiamo su questi temi non riusciamo ancora a capacitarci. Risposte e proposte ne sono uscite ma era forte la sensazione che cadessero ancora una volta nel vuoto e che quel mondo fatto di incontri e accoglienza non trovasse spazio nel macrocosmo miope della “grande” politica istituzionale. Superare la dicotomia noi e loro, provare a immaginare un grande noi, un meticciato in evoluzione perché i tempi lo richiedono, sembrerebbe pura utopia eppure esperienze concrete ce ne sono, molte erano rappresentate nel convegno di Santorso: l’esperienza di Ciac Onlus di Parma, della Don Vincenzo Matrangolo di Acquaformosa (Cs), dell’Ics di Trieste, della Rete Vesuviana Solidale, per citarne solo alcune ma Recosol ne potrebbe elencare molte altre tra i suoi iscritti.
Ci siamo ritrovati in questo punto di un Veneto che le cronache ci restituiscono come inospitale e refrattario ai cambiamenti per scoprire che Santorso sta andando in direzione ostinatamente contraria e da anni sta scrivendo un’altra storia, quella che vorremo fosse replicata ovunque. Tra chiacchiere, passeggiate e momenti di buona musica con le canzoni di Fabrizio De Andrè reinterpretate da Andrea Filippi e di danza con le tarantelle de Icumpari4 venuti appositamente da Scisciano per condividere l’energia della musica popolare partenopea e molto altro ancora il popolo di Intrecci meticci si è ritrovato in un bel melting pot dove nessuno era più forestiero (e nessuno voleva più ripartire).
Rita dice
Che meraviglia di racconto. Serve per non perdere di vista che non tutto è perduto. Adelante!
Giovanna dice
Bellissimo racconto, Roberta! Proprio vero, siamo come sulle montagne russe. In alto i cuori! e poi ti ritrovi con in mano solo stracci di violenza e aggressività, per giunta del tutto fuori tempo, irrazionali…
Peppe dice
… come uscire dalla malinconia, i sentieri che danno conforto, a Santorso c’è il sole!