Durante la rivoluzione più giovane – e per molti versi più bella – del Novecento, la chiamavano la “Comandante Dos“. A ventidue anni era alla testa di coloro che presero d’assalto il Palazzo Nazionale di Managua nel 1978, una delle azioni “impossibili” quanto decisive per mettere in ginocchio la dittatura di Anastasio Somoza, che fuggì a Miami con la famiglia l’anno successivo. Oggi Dora María Téllez è una prigioniera politica che resiste in condizioni impossibili a un regime tremendo che ha assunto da tempo le sembianze di ciò che aveva combattuto. Da Madrid Sergio Ramírez, ex vicepresidente del primo Nicaragua sandinista – tra gli scrittori viventi più apprezzati nel mondo, ma anch’egli colpito lo scorso anno da un mandato di arresto del regime di Ortega con l’accusa di “cospirazione” e “incitamento all’odio e alla violenza”, la stessa di Dora – ne traccia un ritratto appassionato, intriso di profondo dolore ma non privo di speranza. Quelle assurde accuse sono le stesse che, prima della rivoluzione, rivolgeva ai giovani sandinisti l’ultimo rampollo dei Somoza, la nefasta dinastia che ha schiacciato e vampirizzato il Nicaragua dal 1936 al 1979, perché ai tiranni non manca certo la crudeltà ma sono quasi sempre privi di fantasia
Nella solitudine della cella, Dora María ha molto da ricordare, così le sue interminabili ore di isolamento, silenzio e oscurità non siano vane. Oppure, al posto dell’oscurità, dal soffitto arriva sulla sua testa la luce accesa tutta la santa notte affinché non possa dormire sulla lastra di cemento che ha per letto. Senza carta per scrivere, senza libri da leggere, senza nessuno con cui parlare, la sua memoria si converte in un cammino infinito, tanti passi fatti, tanta vita vissuta.
L’adolescente che abbandonò gli studi di medicina a León perché i bambini denutriti si sarebbero sempre riammalati visto che era la fame la causa del loro male. Meglio cercare il modo di tagliarlo alla radice, quel male, levando di mezzo la causa, il regime di oppressione e obbrobrio della famiglia Somoza.
Una ragazza guerrigliera con i riccioli neri sotto il basco nero, riccioli che le vennero tagliati affinché sembrasse un soldato della guardia nazionale di Somoza quando diventò la numero due del commando che prese d’assalto il Palazzo Nazionale.
Quella ragazza sembrava che non desse ordini né volesse darli quando fu alla testa delle forze guerrigliere che presero la città di León. Eppure tutti le obbedivano: uomini duri, maleducati, senza paura della morte, che si mettevano sull’attenti quando passava. L’abito da lavoro le stava su come un’uniforme scolastica, perché non perse mai la faccia da bambina, eccetto ora, quando vedo quell’immagine digitale che la riprende come appare adesso, sottoposta al rigore del mangiare e dormire male nella cella di isolamento, dalla quale viene portata fuori per gli interrogatori nelle ore più impensate, a mezzanotte o all’alba.
Eppure vedo i suoi occhi vivi e vigili e so che la sua mente continua a lavorare dentro di lei, guardando al passato e immaginando il futuro. Non è certo che le tirannie si ripetano per sempre, e nella sua testa cerca un avversario che affermi tale insensatezza per poterlo contraddire. Sempre dialettica, Dora, pronta ad aprirsi all’analisi, una parola dopo l’altra, un pensiero da cui parte la riflessione per poi non fermarsi più.
Ci siederemo faccia a faccia un giorno, presto, nel corridoio della sua casa di Ticuantepe. Mi accoglierà con una risata per un mio scherzo e insieme rideremo per uno scherzo suo. Questa scena ce l’ho nella testa mentre scrivo queste righe dalla mia solitudine di Madrid. E ce l’ha anche lei nella sua, nella cella di Managua mentre continua a pensare e a ricordare tutto ciò per cui è valsa la pena, nonostante tutto: la vita, la giovinezza, la lotta, le interminabili marce in montagna, la clandestinità, il rischio, il carcere.
Ne è valsa la pena perché il futuro che c’è nella sua testa non si arrende. Qui non si arrende nessuno, me lo dice lo sguardo di sfida nei suoi occhi in quel viso smagrito.
Traduzione di Comune-info
(1) Anche il Comandante Uno della guerriglia sandinista, Hugo Torres, è stato incarcerato dal “sandinismo” privatizzato del regime Ortega-Murillo ed è stato lasciato morire il 12 febbraio scorso nel centro di tortura di El Chipote a Managua.
Paolo dice
La crudele dittatura Ortega-Murillo è stata una sciagura annunciata. E’ cresciuta lentamente, la si vedeva arrivare ma si è girato lo sguardo dall’altro lato. Si sarebbe potuta evitare? Probabilmente no. Certo non si è fatto quasi nulla per evitarla, quando ancora si poteva fare qualcosa…
Peppe dice
…la tristezza ci assale, avevamo gioito per una rivoluzione, abbiamo generato dei nuovi mostri, quanto ci è lontano il Nicaragua Livre