Ecco perché la didattica a distanza non funziona. E cosa consente comunque di sperimentare a proposito di collaborazione tra studenti. Il punto di vista di una ragazza liceale
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Fino a dieci ore al giorno davanti allo schermo del computer per seguire la scuola a distanza. «Anche di sera, se dopo le lezioni online gli insegnanti ci caricano di compiti. È disumano passare così tante ore al computer. La didattica a distanza non sta funzionando». A parlare è Bianca, liceale di diciassette anni. Per raccontare come lei e amici vivono questo periodo di scuola, si è scelta un nome fittizio che da solo offre uno sguardo sulla sua generazione: «Bianca è la mia YouTuber preferita». Il resoconto della ragazza si dipana tra vari registri e argomenti: la drammaticità dei giorni a casa, la fatica davanti allo schermo, le relazioni con gli insegnanti, fino alle situazioni tragicomiche, con professori che spiegano accarezzando il cane e studenti che si arrabattano nelle strategie per ottenere un voto in più.
Quel che più di significativo si può forse cogliere dal racconto di Bianca, tuttavia, oltre ai consigli per gli insegnanti, è quanto sottolineato anche dagli esperti: il rapporto di collaborazione che si crea tra gli studenti, agevolato dalla tecnologia digitale (e dall’impossibilità di praticare la didattica tradizionale in classe). Un’occasione che gli insegnanti potrebbero cogliere da subito, per poi valorizzarla al rientro a scuola a settembre.
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«Com’è naturale – inizia a raccontare Bianca – ogni insegnante ha il suo metodo, anche in questa situazione. Di norma tutta la mattina abbiamo la lezione frontale online, ma c’è la professoressa che parla come se fossimo in classe, l’altra che invece dà un argomento da sviluppare nella sua ora, l’altra ancora che ci fa staccare per dieci minuti consigliandoci di ascoltare un po’ di musica, ma c’è anche chi non fa alcuna lezione e ci invia materiale da studiare, con una consegna da restituire. Così, di solito io ho quattro ore di lezione al mattino, mentre alcune mie amiche di altre scuole passano davanti al computer tutte le sei ore di lezione della mattinata». Arrivano poi lo studio e gli esercizi. «Al pomeriggio – prosegue Bianca – io dedico almeno tre ore ai compiti e alla preparazione per le verifiche. All’inizio mi sembrava assurdo e mi sentivo esplodere la testa davanti al computer. Poi però ci si abitua, d’altronde ci sono persone che con il computer lavorano tutto il giorno. Ma non è facile, perché lo schermo stanca soprattutto la vista (non è un caso che negli ultimi anni la sindrome dell’occhio secco sia aumentata anche tra i giovani, ndr). Ho amiche che dopo lo studio al pomeriggio devono proseguire persino la sera, perché sono cariche di compiti».
Dalle parole di Bianca si comprende quanto sia ancora più importante, in questo periodo, il ruolo di un insegnante e la sua capacità di empatia. «È evidente che alcuni professori non riescono a spiegare e valutare bene come farebbero in classe. Già stare chiusi in casa tutto il giorno per settimane – sottolinea la ragazza – è difficile, è stressante, si creano tensioni anche con i genitori, e diventa più facile demoralizzarsi. Se poi a scuola qualcosa va male, per la quantità di attività da svolgere o in una verifica, la situazione si fa ancora più difficile. È fondamentale che gli insegnanti riescano a garantire un equilibrio».
Bianca non nasconde le soluzioni escogitate dai ragazzi per copiare anche “a distanza”, soprattutto nelle verifiche scritte: «Anche se sono test a tempo – rivela – un bigliettino attaccato al monitor può fare la differenza. D’altronde, se ci caricano di compiti e verifiche non si riesce a fare tutto. Le interrogazioni invece servono, perché i professori guardano solo te e capiscono se stai cercando di leggere qualcosa».
La strategia migliore, però, è quella della collaborazione tra gli studenti, al di là delle verifiche. Un piccolo sguardo sulla vita scolastica degli studenti conferma il valore che i pedagogisti attribuiscono alla cooperazione, al tutoraggio e alla peer education (l’educazione tra pari), pratiche che se nella didattica tradizionale non trovano spazio, emergono invece nel modo in cui gli studenti affrontano la didattica a distanza. Per gli insegnanti potrebbe essere l’occasione, quando si tornerà a scuola, per offrire una guida, una regia stabile alla collaborazione spontanea che si crea tra gli allievi. «Tra noi ragazzi – precisa Bianca – ci stiamo aiutando tanto, molto più del solito. Chi è bravo in una materia dà una mano agli altri e riceve aiuto se ha bisogno in argomenti diversi. In questo modo non solo impariamo meglio facendo meno fatica, ma diminuisce anche lo stress».
Bianca non ride quando – riferendo anche i resoconti dei coetanei – racconta di «insegnanti che sono ancora più svogliati del solito» o di un professore che spiega davanti al monitor con il cane sulle ginocchia. «E gli fa pure le moine, ci fa mandare i saluti… ma si può?», dice con voce incredula.
Casi estremi a parte, che cosa potrebbero fare gli insegnanti in questa situazione, secondo i ragazzi? «Alleggerire il carico – risponde Bianca – perché altrimenti la didattica a distanza diventa inutile, più stressante della scuola normale, con troppe verifiche e compiti di cui non capiamo il senso. Non chiediamo certo di non fare attività, ma piuttosto di concentrare le energie sulle materie di indirizzo, perché tante cose che facciamo ci sembrano inutili, e lo dico nella prospettiva dell’esame di maturità. Un insegnante sbaglia, se pensa che siccome siamo chiusi in casa possiamo studiare di più. Anzi, più compiti e più studio comportano più stress: così non si ottengono veri risultati e va a finire che cerchiamo di copiare».
*Educatore e giornalista, ha scoperto la bellezza dell’educazione da adolescente nello scautismo. Ha studiato e lavorato in diversi paesi europei. Maestro elementare di sostegno, con l’associazione Insieme si occupa di un servizio volontario di “aiuto-compiti” per bambini e adolescenti. Ha un blog: danieleferro.it.
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