di Paolo Moscogiuri*
Nella spasmodica ricerca del colpevole a tutti i costi per il tragico crollo del cavalcavia genovese, si stanno tralasciando due ordini di problemi, quelli etici e quelli deontologici. I primi appartengono alla politica e i secondi alla tecnica, e i due aggettivi non esprimono ora il vago e generico significato che spesso si usa quando si vuole aggirare l’ostacolo. Al contrario, qui il problema etico, ha una chiara denotazione, ed appartiene a quella fase di approvazione del progetto che non può considerare di secondo ordine la possibilità pur lontana di un eventuale disastro. Mi riferisco al fatto che il cavalcavia, passa sopra palazzi, quasi li sfiora; palazzi pieni di vita, di famiglie, di bambini, con le loro storie e un futuro da vivere. E allora ci si dovrebbe, prima di andare a cercare probabili colpevoli, porre la seguente domanda: “Come è stato possibile approvare un cavalcavia che mette a rischio, sia pur ipotetico (allora), centinaia di vite umane?”. Ma anche se i palazzi fossero stati costruiti dopo, la domanda sarebbe la stessa: “Come è stato possibile approvare la costruzione di un edificio sotto un cavalcavia?”. Questo dubbio servirebbe almeno a non permettere più l’approvazione di progetti basandosi sul feticcio tecnologico, perché tutte le opere, anche le più ardite sono opera dell’uomo, e quindi non perfette. Non esiste scienza sicura che non possa essere messa in discussione e che non possa fallire. E questo vale per l’ingegneria, come per la medicina o l’informatica, la chimica, ecc.
Allora la pratica dell’etica, qui e altrove mancante, avrebbe permesso prima di dare il via all’opera, di fare una scala di priorità: 1) la sicurezza di chi abita e passa sotto qualcosa di sospeso; 2) la sicurezza di chi ci transita sopra; 3) i vantaggi sulla mobilità.
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Pertanto nell’approvare un’opera, il punto 3 va preso in considerazione solo se i primi due sono soddisfatti. E questo è un dovere politico e quindi etico, perché i cittadini sostengono lo Stato, affinché questi ne tuteli gli interessi economici, la salute, la cultura e la vita, nella sua forma organica e qualitativa. Questa scala di priorità, che i cittadini dovrebbero pretendere, non viene applicata quasi mai, anche nelle decisioni più quotidiane, ma che non sono poi di minore impatto. Perché se si perde la vita nell’attraversare per esempio una strada scarsamente illuminata o cadendo dalla moto per buche o radici di alberi, non c’è differenza con l’essere rimati schiacciati da una trave.
Il secondo problema è quello deontologico, quindi appartenente alla professione. La prima cosa che si impara quando si calcola la struttura di un solaio, o sistemi complessi, è la cosiddetta “ridondanza”. Semplificando: se un solaio deve supportare mediamente sessanta persone, allora lo si calcola come se ne dovesse supportare cento, per ovviare ad eventuali carichi non previsti. Il metodo è anche detto del “sovradimensionamento”. E se si tratta invece di strutture complesse, come quelle di un ponte, la sicurezza e quindi la ridondanza va affidata a l’uso di più sistemi, in modo che se ne andasse fuori uso uno entrerebbe in funzione l’altro, o anche un terzo. Ecco, tutto questo, negli stralli del ponte Morandi non c’è, anzi quei cavi che partendo dal pilone sostengono la strada, sono nascosti nel cemento. È il sistema delle travi precompresse, dove cavi di acciaio annegati nel cemento, vengono “caricati” come molle per contrastare maggiormente le forze contrarie. Unico inconveniente, non da poco, è il fatto che questi cavi soggetti a forze estreme tendono a sfibrarsi con il tempo, ma essendo nascosti non è possibile verificarne efficacemente il deterioramento nemmeno con i raggi x, e così solo il crollo sarà la nostra certezza. In questa situazione parlare di manutenzione è pressoché ridicolo, perché non è possibile verificare lo stato delle strutture principali: gli stralli per l’appunto. L’etica professionale, detta deontologia, dovrebbe a mio avviso, suggerire la scelta solo di sistemi controllabili a vista. La torre Eiffel è ancora in piedi, in quanto è possibile verificarne momento per momento eventuali parti da cambiare o manutenere.
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Con il ponte di Genova non è crollata solo una struttura, ma la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. La prima si ricostruirà, spero con metodologie diverse dalle prime, la seconda che non è stata più “manutenuta” da decenni, a mio avviso rimarrà macerie per lungo tempo, sperando poi che non verranno ulteriormente calpestate da marce nostalgiche e reazionarie.
*Architetto, autore di La città fragile (ed. ilmiolibro)
Claudio Moscogiuri dice
Il ragionamento non fa una piega. E’ l’eterna lotta contro i mulini a vento della mentalità individualista e pressappochista che ha sconquassato l’Italia negli ultimi secoli. L’ingegner Morandi, se non ricordo male, vantava la trovata degli stralli cementati come una trovata da premio nobel…