Nel campo container di Rosarno e nella tendopoli di San Ferdinando, dove vivono migliaia di braccianti, non ci sono le condizioni per applicare le precauzioni contro la diffusione del virus
Fare la quarantena in un ghetto. Succede nel campo container di Rosarno e nella tendopoli di San Ferdinando. “Il covid – dice Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Fcei, presente nella Piana di Gioia Tauro da oltre un anno – sta mettendo in luce le contraddizioni di fondo di questi luoghi, che denunciamo da tempo. Queste persone – non vanno chiamate ‘migranti’, perché sono ‘braccianti’, è grazie al loro lavoro che arrivano le arance sulle nostre tavole – non hanno alcuna tutela”.
In queste settimane MH sta svolgendo un lavoro di mediazione, fornendo presidi sanitari e informazioni nei campi. Campi che probabilmente ospiteranno sempre più persone, con la raccolta degli agrumi alle porte.
“Occorre garantire un reddito di emergenza alle persone che devono stare in quarantena: perdono giornate di lavoro cioè la possibilità di inviare denaro ai loro cari, non hanno ammortizzatori sociali, questo determina un clima di tensione. È necessario dare risposte e soluzioni a queste persone ‘parcheggiate’ in luoghi insalubri, ai quali si forniscono solo i pasti”, continua l’operatore.
Dal punto di vista delle precauzioni contro la diffusione del virus, nei campi, con ogni evidenza “non ci sono le condizioni minime e sufficienti, non c’è la possibilità di rispettare il distanziamento fisico in modo adeguato”. Ancora una volta, la richiesta è quella di “smantellare i ghetti”. “Abbiamo chiesto un piano ad hoc, con strutture adibite almeno in questa fase a ospitare i braccianti, ma non c’è stato nessun intervento. Occorre coinvolgere anche i datori di lavoro in un progetto complessivo per rendere dignitose le condizioni di vita di queste persone”, aggiunge Piobbichi.
Il 19 ottobre intanto si sono registrati nuovi momenti di tensione e una sassaiola contro le forze di polizia a San Ferdinando. Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, una ventina di migranti residenti nella tendopoli dichiarata “zona rossa”, e che per questo non possono lasciare l’area, dopo avere abbattuto inferriate e cancelli, avrebbero tirato pietre e altri oggetti contro i poliziotti schierati in assetto antisommossa. Un episodio analogo si era verificato anche sabato scorso: i braccianti chiedono di poter uscire dai “ghetti” per andare a lavorare nei campi.
Il sindacato USB torna a denunciare “una situazione così esplosiva” che “è stata lasciata degenerare dalle scelte scellerate della politica nazionale e regionale. Oggi si rischia, a causa di ritardi e inefficaci iniziative, che la grave emergenza sanitaria si trasformi in un problema di ordine pubblico. Tutto ciò avviene alla vigilia della stagione agrumicola, che richiamerà in questi territori centinaia di braccianti, i quali come in passato saranno vittime dello sfruttamento lavorativo voluto da proprietari terrieri e grande distribuzione organizzata”, si legge in un comunicato del 18 ottobre, firmato da USB Lavoro agricolo e USB Calabria. Di qui la richiesta di “un tavolo per affrontare la fase emergenziale, anche nella consapevolezza che solo una strategia di medio periodo può essere funzionale”.
In Calabria continua per Mediterranean Hope anche la collaborazione sul campo con varie associazioni e realtà che si occupano dei braccianti, in particolare con Medu – Medici per i diritti umani, la ONG che ha anche realizzato un rapporto dedicato alle condizioni di vita dei migranti della Piana di Gioia Tauro durante l’emergenza sanitaria.
Fonte: Agenzia Nev (titolo originale Rosarno, l’emergenza perenne)
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