di Aurora Avenoso
“La scuola non è un insieme di uffici, è arte, politica, religione, cultura, è compagnia, è lavoro, è gioia, è futuro. La scuola dovrebbe essere un vulcano in mezzo alla società”, dice Franco Arminio (leggi Ci vorrebbe una rivoluzione).
Noi, nel nostro piccolo, quel vulcano lo vogliamo tenere acceso. La scuola Clementina Perone, Istituto Comprensivo Largo San Pio V, si trova nel quartiere Aurelio-Boccea a Roma, in via Cardinal Oreglia. Si dice sia una scuola multietnica, una espressione che un po’ ci fa sorridere, in una città come Roma e in un quartiere come il nostro. Ma tant’è: un quarto degli studenti è di origine straniera. É una scuola “bella” perché ha bravi insegnanti, una comunità che gira intorno viva ed attenta. Ma, come tante scuole, manca spesso di spazi adeguati o ben sfruttati perché le risorse economiche e di tempo a disposizione per migliorarli sono limitati; ma, appunto, intorno c’è una comunità e su quella bisogna puntare per farla vivere.
Da qualche mese, un gruppo di genitori, che hanno dato vita prima ad un’Associazione e poi al Comitato Genitori, insieme a qualche insegnante e collaboratore scolastico, ha rimesso in piedi la biblioteca scolastica (leggi anche Leggere, discutere, fare cultura insieme). Lo spazio c’era, piccolo ma luminoso, però da tempo non era più utilizzato come biblioteca. E i libri, ammassati in vecchi scaffali, sembravano spenti.
Abbiamo cominciato a selezionare e catalogare i vecchi libri, abbiamo tolto gli scaffali malconci, ridipinto le pareti di giallo, chiesto alla scuola di ordinare nuovi arredi, acquistati anche grazie ai fondi raccolti negli anni con le attività dei genitori e delle maestre.
Un percorso che sembra breve, ma che in realtà è durato qualche anno: partito dalla caparbietà di alcune di noi mamme, ha dovuto passare al vaglio dei Dirigenti scolastici che nel frattempo si succedevano, superare qualche reticenza – anche da parte del corpo docente nonché di alcuni genitori mossi dal comun denominatore che “c’è ben altro da fare” – per poi approdare nelle mani di un nuovo preside che ha deciso di sostenerlo, consentendoci di “lavorare” a scuola in orario extrascolastico e destinandovi appunto una piccola parte delle risorse della scuola.
E così siamo arrivati al bellissimo pomeriggio del 29 aprile.
Abbiamo aperto la nostra scuola al territorio. Abbiamo costruito una comunità, forse provvisoria, forse resistente perché è vero – come spesso raccontano le pagine di Comune – che la migliore forma di resistenza che noi cittadini possiamo attuare è quella di riappropriarci dei nostri quartieri e creare nuovi spazi di condivisione. I genitori e altri adulti hanno letto per i bambini, due giovani lettrici della Biblioteca Valle Aurelia hanno raccontato la Resistenza, Maurizio Mequio ha raccontato la favola sul Parco del Pineto. I residenti del quartiere e le famiglie hanno donato tanti libri nuovi. Le maestre Rosa (responsabile della biblioteca), Rossella e Sabrina hanno narrato la leggenda di San Giorgio e il drago, e tenuto laboratori sul piacere della lettura.
Le strade intorno pedonalizzate, grazie ad una iniziativa del Municipio, sono state una fantastica coincidenza che ha dato la possibilità ai bambini di vivere la scuola anche fuori dai cancelli: i bambini hanno giocato in strada, ascoltato i musicisti dell’Accademia Santa Cecilia, si sono mossi in bici o con i pattini. Anche solo per un pomeriggio hanno sentito che Roma potrebbe essere una città a misura di bambino. Una esperienza, quella della pedonalizzazione seppur limitata ad un pomeriggio, che andrebbe estesa e sostenuta con coraggio. I commercianti, non tutti, a volte si oppongono (è successo anche nel nostro caso): dicono di perdere clienti disincentivati dalla impossibilità di prendere l’auto. Ma la pedonalizzazione non può risolversi in una guerra tra commercianti e residenti; se tali iniziative fossero condivise e partecipate da tutto il quartiere, gli effetti positivi si moltiplicherebbero e tutti ne avrebbero benefici.
Qualche riflessione. É finito il tempo della delega, come ci ricorda Gianluca Cantisani, del gruppo di lavoro Scuole aperte (leggi anche La condivisione nella scuola). I beni comuni hanno bisogno dell’attenzione e della partecipazione di tutti quelli che ci ruotano intorno e non solo di chi ci lavora o ci vive dentro (leggi anche Comunità, spacciatori e falafel). Questo vale ancora di più per la scuola, bene comune bistrattato, criticato ma amato.
La scuola pubblica si difende nei fatti, non a parole. Non è vero che, agendo in nome della sussidiarietà e dunque svolgendo da cittadini ruoli e poteri che dovrebbero spettare alle istituzioni, si finisca con il favorire la scuola privata; diciamo che è vero il contrario: solo una comunità viva ed interessata può mantenere in vita il diritto di tutti ad avere una scuola pubblica migliore e competitiva, intesa come in grado di competere per il benessere degli studenti.
Ancora e con questo ritorniamo all’inizio, la scuola è il centro di una comunità e quello che dentro vi succede, di bello o brutto che sia, supera i confini della porta di ingresso e si diffonde intorno e nel futuro. Come un vulcano acceso, la sua lava rende intorno la terra fertile.
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