di Maria Rita D’Orsogna*
Iniziava nel 1996 e sarebbe stato un programma controverso di biodegradazione. L’Area de Conservación Guanacaste (ACG) è un sito protetto dell’Unesco nel nord-ovest del Costa Rica. Al suo interno c’è foresta, ma alcune aree non sono in ottimo stato grazie al pascolo di bestiame eccessivo eseguito prima che diventasse area protetta.
All’inizio degli anni novanta, si decise di aprire una piantagione di arance al confine con l’area di conservazione. Le arance sarebbero state usate per fare spremute commerciali, da parte di una ditta chiamata Del Oro. Per un po’ hanno vissuto da buoni confinanti, la Del Oro e l’area di conservazione Guanacaste, ma ciascuno a casa sua.
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Nel 1996 arrivano due ecologi statunitensi, Daniel Janzen e Winnie Hallwachs, moglie e marito dell’Università della Pennsylvania, con una proposta quasi folle. Si occupavano della gestione di sistemi ecologici a rischio. Avevano lavorato a lungo con i responsabili di Guacanaste, specie per cercare di migliorare quei terreni aridi che c’erano dentro l’area protetta. E cosi hanno avuto l’idea di proporre sia a quelli dei succhi di frutta che a quelli del sito Unesco di prendere i rifiuti organici delle arance, e invece di mandarli tra i rifiuti di usarli in un progetto di riforestazione. Semplicemente, le arance non utilizzabili e le bucce della Del Oro sarebbero state disseminate su terreni semi-morti dentro l’area protetta Guacanaste.
Tutti hanno detto sì: l’esperimento è cominciato nel 1997 con 12mila tonnellate di rifiuti di arance. Erano tre ettari di terra aridi, con poche piante e con terreno poco fertile. La speranza era che le arance, forse avrebbero portato a qualcosa di buono.
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Passano pochi mesi e il terreno inizia davvero a rinvigorirsi, con erbe di vario genere. E cosi si decide di trasformare l’esperimento in qualcosa di sistematico. Per venti anni la Del Oro avrebbe depositato bucce d’arancia su Guacanaste sotto forma di mille camion l’anno. Intanto, entra in scena Ticofruit, rivale di Del Oro nella produzione di succhi di arancia. Non era contenta dell’accordo fra la Del Oro e Guacanaste, e del vantaggio che secondo loro la Del Oro aveva ricevuto, e quindi portano l’azienda in tribunale.
La Del Oro stava “inquinando” un parco nazionale, sebbene in realtà tutte le parti erano d’accordo e c’erano stati studi e dimostrazioni sull’efficacia del programma. Ma la Ticofruit ebbe la meglio e così il programma di deposito delle arance venne terminato dopo solo un anno. Nessun carico di arance sarebbe stato più rilasciato dentro Guacanaste.
Ci si dimenticò dei primi camion del 1997 e tutto tornò a come era prima. Per quasi quindici anni quel terreno non interessò a nessuno.
Nel 2013 entra in scena Timothy Treuer, studente di Princeton in cerca di un argomento per fare la tesi. Parla con Daniel Janzen e Winnie Hallwachs e decide di studiare che ne era stato di quell’angolo di foresta con le bucce d’arancia.
Arriva sul sito e… inizialmente non riesce neanche a trovarlo. L’insegna piantata nel 1996, alta due metri era totalmente coperta dalla foresta. Il terreno abbandonato e semi morente era diventato rigoglioso, più del lotto confinante, dove invece le bucce non erano mai arrivate.
Tornano nel 2014 per fare studi più approfonditi e scoprono che tutto era meglio nel sito con le arance, con alte concentrazioni di macro e micro nutrienti e con tre volte in più il numero di alberi, con maggiore vegetazione e più copertura arborea. Insomma, il terreno è più fertile, ci sono più alberi, la vegetazione è più folta.
È il frutto di qualche carico di arance morte gettate nel 1997. È la natura che fa il suo ciclo e che si prende cura di se stessa se solo la lasciamo guarirsi da sola. È una vittoria di tutti. È il miglior modo di riciclare.
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Doina dice
Se tutti penserebbero così in modo costruttivo allora si che i nostri figli e nipoti avrebbero qualche speranza su questa terra martoriata…..
giank dice
…pensassero….☺
Rob dice
Ben detto ?
Maria pia dice
GIUSTO…GIUSTISSIMO…MA L’ESSERE UMANO È AVIDO DI SOLDO. .NON PENSA APPUNTO AL FUTURO DEI NOSTRI FIGLI,NIPOTI…ED ECCO CHE STA DISTRUGGENDO TUTTO…ANCHE SE STESSO
Michele dice
Sto facendo la stessa cosa con le banane ovviamente a casa mia, buona fortuna
marco dice
le banane sono strapiene di pesticidi…non farlo!
Adelia dice
Io lo faccio con tutti i rifiuti vegetali. Faccio una buca vicino ad ogni pianta e metto i rifiuti tagliuzzati, il terreno diventa piu morbido e l’humus che si è formato, anche grazie ai batteri decompositori della terra , lo rende fertile. Io ricordo che mia nonna che abitava nel centro di un paese, portava i rifiuti vegetali in campagna deponendoli vicino alle piante di ulivo.
Papadia Donato dice
Essere ecologista significa contribuire a migliorare il paesaggio col conferimento del rifiuto umido nella campagna, mettere a dimora semi di ghiande vallonea, noci fertili castagne fertili e vive, semi di pino ecc. e seguire la nascita delle piantine, innaffiandole in caso di siccità. Donpapa