Nel nord della Striscia di Gaza non si ferma il massacro dei palestinesi. Le foto delle lunghe file di donne e uomini che camminano in strada costretti a lasciare le loro case hanno fatto il giro del mondo, facendo tornare a mente a molti la seconda guerra mondiale. Serve a poco evidenziare le differenze con un contesto storico profondamente diverso, di sicuro come allora, il mondo ha guardato dall’altra parte. Ma questa volta nessuno potrà dire che non sapeva. Sappiamo anche che finora sono stati almeno 6.000 i ponti aerei che in un anno hanno permesso a Israele di portare avanti la sua fabbrica di morte, grazie a consegne di aerei statunitensi e britannici partiti da basi di tutta Europa, Italia compresa. Scrive Massimo De Angelis: «Ci vorrebbero cento, mille, un milione di collettivi come i portuali greci che recentemente hanno bloccato i proiettili diretti in Israele dicendo: “Non saremo complici”…»
Di questi tempi guardo Al Jazzeera. I suoi reportage da Gaza, dal Libano, dalla Cisgiordania fanno vedere immagini a colori di bambine e bambini imbrattati di sangue, mostrano sale operatorie, scuole, università, e biblioteche distrutte, fanno visivamente viaggiare dentro tendopoli incendiate. Si sente anche il rumore dei proiettili di carri armati sparati contro un ospedale assediato e poi le urla di donne e uomini disperati tra le macerie, i loro volti tirati. Ma quelle immagini delle interminabili colonne di profughi costretti a lasciare le loro case mi ha fatto venire delle allucinazioni, brevi, ma molto chiare e distinte, allucinazioni in bianco e nero.
Le avevo già viste quelle immagini e avevo già sentito storie simili, nei film delle mia infanzia e adolescenza, nei racconti dei grandi, nelle foto sui libri di scuola, quelle sui rotocalchi nelle sale d’aspetto dei dottori, o tra gli scaffali di qualche biblioteca comunale: profughi ebrei espulsi dal ghetto, intere città in macerie, gente torturata, affamata, trucidata o usata come scudi umani.
Sia le immagini filmate a colori dalla app sul tablet, che i ricordi di quelle in bianco e nero, evocano le stesse emozioni, ma con intensità diverse. Sarà la differenza d’età, sarà il fatto che, forse, le immagini a colori amplificano il realismo e l’impatto emotivo, rendendo le atrocità più tangibili, mentre il bianco e nero crea distacco, favorendo una riflessione più astratta e simbolica sull’evento. Ma se lascio spazio a un minimo di empatia, sicuramente non posso percepire alcuna differenza sostanziale nel vissuto dei protagonisti di quelle immagini e di quelle storie, siano esse a colori o in banco e nero, siano esse dalla Palestina o nel Libano di oggi, o da qualche luogo dell’Europa in fiamme al tempo dei miei genitori. E se lascio spazio a un minimo di pensiero onesto, non vedo alcuna differenza nell’insensibilità feroce dei carnefici e dei loro generali e dei loro governanti. Sì certo, c’è più tecnologia oggi. C’è l’intelligenza artificiale che sceglie gli obiettivi, c’è il fatto che i droni de-sensibilizzano il soldato che li guida. Ma è dalla guerra sui Balcani e poi in Iraq, che abbiamo scoperto che la guerra moderna ha caratteristiche da videogioco. E gli addetti a bombardare i villaggi dell’Appennino nella seconda guerra mondiale, non percepivano l’orrore della loro azione come impatto immediato. Io credo allora, che dal punto di vista del vissuto relazionale dei carnefici e delle vittime, il nazismo e la sua guerra, e il sionismo e la sua guerra siano la stessa cosa. Cosi come per tante altre guerre.
E dal punto di vista dell’utile che sperano di derivarne i carnefici? La ragione ufficiale è la stessa, la necessità e il diritto alla difesa, anche se poi l’effettiva forza utilizzata a difesa è così sproporzionata da rispecchiare una volontà di dominio, e indifferenza, sprezzo e ribrezzo per le popolazioni attaccate. Si tratta di territori, risorse e un ordine delle cose confacente al popolo carnefice. La ragione ufficiale data dalla Germania nazista per scatenare la guerra in Europa era il bisogno di “difendersi” contro presunte aggressioni e minacce. Nel caso dell’invasione della Polonia, avvenuta il 1º settembre 1939, il regime di Adolf Hitler giustificò l’azione con il cosiddetto “incidente di Gleiwitz”, un’operazione false flag (atto commesso con l’intento di mascherare l’effettiva fonte della responsabilità e attribuire la colpa ad altri) organizzata dalle forze naziste per far sembrare che la Polonia avesse attaccato per prima. Israele bombarda una popolazione inerme a Gaza da più di un anno e lo giustifica moralmente con il diritto alla difesa, anche se il pur terribile progrom del 7 ottobre di Hamas non può reggere il confronto rispetto alle decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti, mutilati, orfani lasciati tra le rovine a Gaza.
Adolf Hitler sostenne anche la necessità di espandere il “Lebensraum” (spazio vitale) per la Germania, giustificando l’espansione territoriale come necessaria per garantire la sopravvivenza e la prosperità della “razza ariana” e l’egemonia del Reich. Netanyahu e il suo il governo hanno chiaro quale sia lo spazio vitale di Israele. I suoi ministri parlano di ricolonizzare Gaza, il suo esercito uccide, minaccia, abusa in Cisgiordania da decenni, i suoi coloni si appropriano di terre, eradicano olivi, tolgono i mezzi di vita ai palestinesi, o ora spingono in Libano. E fanno questo con un senso di giustizia, come se fossero un popolo eletto, che ha pienamente diritto di far questo, perché tutta quella terra, dal fiume Giordano al mare, è loro. Sembra glielo abbia detto il loro dio, anche se nel giudaismo, il “popolo eletto” è scelto da dio per una missione morale e spirituale, non per superiorità o spirito di colonizzazione e abuso, ma per servire come esempio di giustizia e fedeltà. L’elezione implica responsabilità e non esclusività, con una continua adesione ai comandamenti, promuovere giustizia e misericordia, e, udite udite, fungere da esempio etico per l’umanità, illuminando il mondo come una “luce per le nazioni”. Ahimè, giusto il contrario di ciò che avviene sul campo. E ciò che avviene e come lo si giustifica, è molto più affine a quello che i nazisti pensavano dell’elezione della razza ariana.
Si perché anche i nazisti consideravano la “razza ariana” una sorta di “popolo eletto”, anche se era una concezione laica e razziale di “elezione” che si distaccava dalle tradizioni religiose, come l’ebraismo o il cristianesimo, che interpretano l’elezione come una chiamata divina a una missione morale o spirituale. Nel nazismo l’elezione ariana non aveva implicazioni etiche universali, ma era una giustificazione per la violenza, la discriminazione e il dominio totalitario, considerati mezzi legittimi per realizzare il destino storico del popolo tedesco. Neanche nelle parole dei coloni intervistati che supportano il governo israeliano, vi è traccia di elezione spirituale. Quando rispondono “chi se ne frega” del destino dei palestinesi, “non ci interessa”, “vadino dove vogliono, basta che se ne vadino via di qua perché questa terra è nostra”, e lo dicono non solo a parole, ma anche con la forza di un esercito armato fino ai denti, hanno proclamato la loro affinità storica con il nazismo.
Quando poi Netanyahu ha presentato al pubblico le sue due mappe, come ha fatto all’Onu recentemente, si capisce anche il nesso con l’ordine compatibile a questa “elezione”. La prima mappa rappresentava “la benedizione” di Israele e dei suoi alleati arabi, descritta come “un ponte di terra che collega Asia ed Europa”, che avrebbe potuto includere infrastrutture come ferrovie, linee energetiche e cavi in fibra ottica. No, in quella mappa non c’era traccia di Gaza o della Cisgiordania. Tutto era inghiottito da Israele. La seconda mappa, definita “la maledizione”, illustrava “l’arco del terrore” creato dall’Iran con i suoi alleati. “Da un lato, una benedizione luminosa, un futuro di speranza. Dall’altro, un futuro oscuro di disperazione”, ha detto. Bianco e nero, nessuna ambivalenza interna, lo spazio vitale benedetto di un nuovo ordine regionale, nodo cruciale di un ordine mondiale, con al centro il popolo eletto che spazia liberamente tra i suoi confini, dal fiume Giordano al mare.
Al Jazeera ha anche riportato che sono stati circa 6.000 i ponti aerei in un anno che hanno permesso a Israele di portare avanti la sua fabbrica di morte con consegne di munizioni e armamenti. 6000, la maggioranza dei quali con aerei statunitensi e britannici, e partendo da basi in tutta Europa, Italia compresa. 6000, cioè 16 voli e mezzo al giorno. Senza contare poi il trasporto per nave. Non parliamo quindi più solo di Israele e di Palestina qui, ma parliamo di un grande macchina produttiva, commerciale e sistemica che trova nella guerra sia una fonte enorme di guadagno, che una punta d’ariete nella lotta per ridisegnare l’ordine mondiale, il mito di un nuovo “Reich” della prosperità economica e consumistica, un’espressione simbolica dell’inconscio collettivo di una classe media (reale o aspirante tale) dell’occidente impossibile da realizzare.
Cosa cambia allora tra le immagini a colori del genocidio a Gaza e quelle in bianco e nero della mia memoria (oltre al contesto storico ovviamente)? Fondamentalmente una cosa. In Al Jazzeera, e gli altri media internazionali che sono sul campo e hanno un minimo di onestà professionale ed editoriale, e i social media, l’orrore è trasmesso in diretta, giorno dopo giorno, e se le vai a cercare, le immagini grafiche non mancano. Immagini che ci interpellano quotidianamente, che ci dicono “Ehi, che cazzo fai tu che guardi”? “E cosa fai tu che cambi canale?” Te lo dico io cosa faccio, abito una vita quotidiana collegata mani e piedi con questo carnaio. E proprio no, a me sta cosa non mi fa star bene. Ci vorrebbero cento, mille, un milione di collettivi come i portuali greci che recentemente hanno bloccato i proiettili diretti in Israele dicendo: «Non saremo complici». Le piccole cose della vita che speri solo che possano diventare grandi, grandissime cose.
Massimo De Angelis ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura
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