Il quartiere periferico popolare e antifascista raccontato in Accattone da Pasolini, quello abitato da artigiani e operai edili, è da tempo una cartolina bella e ingiallita. Sottoposto per decenni alla micidiale cura della gentrificazione, il Pigneto è ora un megacentro commerciale che vende divertimento e socialità. Li offrono lavoratrici e lavoratori che tutto fanno meno che divertirsi e socializzare, travolti come sono da un flusso ininterrotto di consumo di merci legali e illegali accompagnato dai gingle della movida. C’è chi tenta di opporre a un destino non ancora del tutto segnato una diversa e decisa politica dell’abitare. Un pranzo o una fiera auto-organizzata in piazza Nuccitelli diventa facilmente una possibilità di rafforzare legami e vincere la solitudine. Il 3 settembre, dalle 18 in poi, ne parleremo anche nel solo incontro romano con Raúl Zibechi e Oscar Olivera. Poi si mangia e si sta in allegria per resistere meglio
di Fucina 62
Numerosi sono stati negli ultimi anni i mutamenti del nostro quartiere. Il ricordo di un Pigneto popolare e antifascista dove Pasolini riusciva a trovare la straordinaria genuinità nei volti ormai scomparsi di un sottoproletariato “buono” che si arrangiava tra le mille difficoltà a sopravvivere, ormai è un’immagine romantica che conserviamo, ma che sicuramente non ci aiuta a capire ciò che sta avvenendo nel luogo in cui abitiamo.
Purtroppo il Pigneto è ormai diventato un quartiere della “movida” in cui i flussi economici, sempre più voluminosi e ingombranti, si sommano allo spaccio di sostanze. Insomma, senza farla lunga su queste evidenze, si può dire che il flusso ininterrotto di merci legali e illegali ormai costituisce la norma della vita di quartiere.
L’annichilente processo di gentrificazione in atto al Pigneto, come in tanti quartieri delle metropoli del mondo, è cominciato a partire dalla seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, e da allora non ha più smesso di sfigurare le città. La gentrificazione, come dispositivo di governo delle popolazioni, funziona in questo modo: nel momento in cui i vecchi quartieri operai e popolari vengono sottoposti a riqualificazione urbanistica, i vecchi abitanti a basso reddito vengono espulsi, per essere sostituiti con nuovi abitanti ad alto reddito. Alla ristrutturazione degli immobili e alla pacificazione dell’area, segue di norma un nefasto sviluppo in senso turistico e di consumo. Questo processo evidentemente giustifica il crescente numero di sfratti nel quartiere. Ma facendo piazza pulita dei poveri e degli immigrati, la piccola borghesia non ritrova il gusto dell’autentico della vita di quartiere che la ha spinta ad andare ad abitare quei luoghi. La sua venuta finisce insomma per annientare proprio quello che vi cercava. Le relazioni che rendevano un luogo vivente, improvvisamente prendono l’aspetto mortifero del folklore o dell’alternativismo commerciale. Trastevere, San Lorenzo e da ultimo il Pigneto e Centocelle, sono altrettanti esempi attraverso cui si comprende come il dispositivo di governo della gentrificazione abbia imposto una griglia mercificante a delle forme di vita che sino a non molto tempo fa abitavano quei territori.
Questo fenomeno ha portato con sé in maniera naturale e conseguente anche la modificazione delle relazioni produttive, del mercato del lavoro. Una nuova generazione di lavoratori dipendenti, per lo più giovani, vende la sua forza lavoro nei locali della movida, soggiacendo a modalità di sfruttamento caratterizzate da precarietà, lavoro nero, lavoro usurante, alienazione. Una soggettività sociale che di solito vive la sua condizione in perfetta solitudine, faticando a riconoscere nel suo simile un potenziale alleato. Una categoria di persone che si immagina “di passaggio” e che invece è costretta spesso a passare i migliori anni della sua vita nelle cucine e tra i tavoli dei locali della movida. Il vecchio quartiere di artigiani e operai edili e industriali si è quindi trasformato in un modernissimo grande centro commerciale che vende divertimento e socialità, offerti, creati da lavoratrici e lavoratori che tutto fanno meno che divertirsi e socializzare.
Del resto in un quartiere come il Pigneto (e simili) viene messo in produzione il cosiddetto “capitale sociale” ossia quell’insieme di relazioni sociali, competenze diffuse, attività culturali, tendenze alla moda, immaginario innovativo, che rendono un territorio appetibile per gli investimenti basati proprio su quelle categorie. E dentro al “capitale sociale” di un territorio come il nostro si ritrovano loro malgrado anche le attività “alternative” se non addirittura quelle “antagoniste”. Basti pensare quanto la tradizione ribelle di San Lorenzo sia stata “messa al lavoro” per affascinare i clienti paganti della locale movida.
Pensiamo che all’economia politica della gentrificazione si possa opporre una decisa politica dell’abitare. Gli incontri tra le persone, i bisogni e le lotte sono la possibilità rivoluzionaria che risiede nell’abitare un territorio. Da questa angolazione, un picchetto antisfratto non è solo uno strumento efficace per impedire agli ufficiali giudiziari e alle forze dell’ordine di eseguire uno sfratto, ma uno strumento per conoscersi tra abitanti del quartiere e costruire relazioni basate su una fiducia reciproca. Una cena, un pranzo, o una fiera autorganizzata in Piazza Nuccitelli, non è solo un modo per passare del tempo, ma una possibilità per rafforzare legami e vincere la solitudine. Una giornata di recupero al mercato, un free-shop di vestiti usati non sono solo una forma di shopping anticrisi, ma un modo per scardinare la mercificazione dei rapporti e disattivare la mediazione del denaro.
Un laboratorio di falegnameria, uno spazio per bambini, non sono solo un passatempo alternativo, ma un modo per ricostruire i legami tra le comunità, i loro mezzi di esistenza ed i saperi ad essi legati. Un volantinaggio per il quartiere non è solo un utile strumento di propaganda, ma un’occasione per favorire nuove conoscenze, nuovi incontri di solidali.
Allora, oggi, non si tratta solo di picchetti, cene, libere fiere del territorio, free-shop, laboratori, volantinaggi, ma di ricostruire un mondo per poterlo abitare pienamente. Abbiamo bisogno di esperienze di condivisione, di costruire legami solidali, di mutuo appoggio, di intensificare le relazioni, le amicizie politiche. Organizzare le nostre basi materiali, densificare la circolazione tra esse. Creare luoghi senza esserne proprietari e senza gestirli come tali, restituendoli all’uso comune. Creare un’articolazione territoriale, una forma di vita che sappia opporsi alla pervasiva dittatura dell’economia politica. Si tratta, insomma, di creare localmente degli organismi autonomi che siano capaci di opporsi alla “gentrificazione della vita”, inaugurando così una sperimentazione su cosa vuol dire uso, comune, solidarietà e certamente rivoluzione.
Il processo di gentrificazione iniziato decine di anni fa in molti quartieri di Roma, che ha desertificato perfino un quartiere come San Lorenzo, roccaforte dell’autonomia sin dagli anni ’70, dopo aver travolto l’isola pedonale, sta travolgendo ora anche quella parte del Pigneto dove molti compagni abitano, studiano, lavorano e lottano; quella parte in cui sono proliferate basi materiali, relazioni solidali, spazi di possibilità e amicizie politiche.
Crediamo che rassegnarsi e abbandonare anche questo territorio all’inesorabile destino della desertificazione e merci ficazione che la gentrificazione comporta, che trasformerà anche questo quartiere in uno dei quartieri romani della movida, significa rinunciare all’idea che altre forme di vita possano realmente opporsi alla forma di vita capitalistica. Significa rinunciare a pensare di poter vivere in maniera differente da come ci viene imposto.
Arrendersi qui significa permettere che tale processo si estenda anche a quei territori immediatamente limitrofi al Pigneto, come Torpignattara e Centocelle, mettendo a rischio quelle forme di resistenza, quelle basi e quei legami che anche lì si sono costruiti.
Per tutto questo, convinti del fatto che siamo ancora in tempo, chiediamo a tutti coloro che abitano, frequentano, lavorano o semplicemente trovano il Pigneto maggiormente accogliente rispetto ad altri spazi metropolitani, di incontrarci, discutere e organizzarci per impedire che tutto ciò accada.
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Questo testo è stato scritto in occasione di un incontro pubblico tenuto all’inizio dell’estate 2015
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