C’é la gente che passa, si ferma, chiede. Qualcuno arriva con il sax, altri aprono il proprio orto, offrono acqua. Scrivere insieme poesie sui muri è prima di tutto un modo per ricomporre le relazioni sociali. Una comunità provvisoria di senso e di-versi. “Abbiamo portato la poesia all’aria aperta fuori dalle aule e dai libri per farla incontrare con l’umanità di passaggio. Una provocazione di bellezza. Una promozione del sensibile. Chi vuole la coglie. È questa la sua natura, delicata e gratuita”
Di seguito, alcuni stralci di uno splendido diario scritto da Rosaria Gasparro. Raccontano dell’attacco poetico “Parlo coi muri”, che in giugno ha colorato San Michele Salentino, comune di seimila abitanti della provincia di Brindisi. L’iniziativa ha preparato il Festival di poesia promosso dall’associazione culturale Generazioni* in luglio. C’è la possibilità che il diario completo insieme ad altri testi e a molte fotografie siano raccolti in una pubblicazione e c’è anche la possibilità che altri comuni promuovano questa strepitosa iniziativa: sono in molti a sperarlo.
di Rosaria Gasparro*
Primo giorno
Il nostro Attacco Poetico è iniziato. Sergio, dopo l’esperienza con Jodoroswkj, sceglie una finestra cieca per lasciarne l’eco. Domani continuiamo con Rosalia e Marica sul muro di un orto e con i versi di Bodini. Chiunque può mettere a disposizione un proprio muro e proporre la propria poesia. Il Festival di Poesia si terrà il 24 luglio in Piazza Dante a San Michele Salentino (Brindisi). Nel frattempo parliamo coi muri nel centro e nelle periferie. Seguiranno laboratori “Di che verso sei?”, appuntamenti teatrali e passeggiate poetiche. C’è anche la campagna “Adotta un poeta” (per bar, ristoranti, pizzerie…), le magliette, i manifesti e le locandine da diffuse insieme ai gerani e alle piante aromatiche in cassette colorate. Per chi volesse venir per versi, potete contattare l’Associazione culturale Generazioni (questa è la sua pagina facebook).
Secondo giorno
Un orto di calce bianca per Rosalia e per i versi di Bodini. L’attacco poetico di oggi. Tra sole e nuvole. Tra nespolo e fico.
Terzo giorno
Il cielo è incerto. Arriva la sposa. In via fiori ci sono Raffaella, Denni e Mia il cane. Daniela, Mimino ed io. C’è la finestra che ci aspetta. C’é la gente che passa, che si ferma e chiede. Ci sono i rumeni che ci danno la scopa per tirare le linee. Domenico ci dà la scala. Maurizio offre un blocco notes. Alessandro fa il caffé. Rocco farà il guelfo bianco. Ci sono le rondini che volano basse sulle nostre teste. C’é l’allegria. Arriva la mia amica fresca di chemio. Raffaella parla con tutti e rimedia con ironia ai nostri guasti. Grazie a tutti. Abbiamo onorato la nostra “semenza”. Il temporale può attendere. C’è il paese e questa è poesia.
Quarto giorno
Arriviamo in ordine sparso. Prima le donne. Quelle con la deformazione professionale, che le stesse privilegiano per definire il loro essere umane, quelle affette da “poesite” acuta e dai chili in più. Quindi arrivano gli uomini. Poi arrivano i giovani, Pietro, Nadine e Giorgia. E quindi Sergio, per il tocco che manca. Lavoriamo tutti insieme, mentre Nadine suona l’ukulele. I’m yours, Sono tuo. Siamo una grande famiglia, dice la canzone. In parte lo siamo anche noi. Una comunità provvisoria di senso e di-versi. Petrarca ne sarebbe felice. Scegliamo i versi più celebri del Canzoniere, in cui l’antitesi e il chiasmo esprimono anche la nostra sensibilità.
“Pace non trovo e non ho da far guerra/ e temo e spero; e ardo e sono un ghiaccio;/ e volo sopra ‘l cielo e giaccio in terra;/ e nulla stringo e tutto il mondo abbraccio”.
Intanto in pieno sole, nella via del poeta, abbracciamo il piccolo Cristian.
Quinto giorno
E poi succede. L’imprevisto che ci aspettavamo. Maria Grazia ci chiede se possiamo scrivere sulla sua casa ristrutturata da poco. È in un vicolo e si accorda bene con la nostra mappa dei luoghi, appartati e dimenticati. È il giorno della partita col Costa Rica. Pensiamo quindi di giocarcela da soli la via e la poesia. (…)
Pietro è il primo giorno che viene con noi, seguendo Antonella. Con la sua aria divertita ci parla di sua moglie che diventa vecchia, che ingrassa mentre lui è ancora magro, che jusque sant’anne se si guarda sotto le gonne delle nonne, che ha dimenticato la cinta e che per questo la maglietta non sta al suo posto, che gli piace la mia paglia, che un’accetta gli tagliò i tendini della mano sinistra e perciò le dita non si aprono più, che faceva il potatore e che suo nipote ha ancora il cavallo. L’angolo in fondo al vico si riempie. Arriva Isa con il piccolo Matthias e si entusiasma di ciò che stiamo facendo. Ci dice cose belle, che ci fanno piacere. Ci porta l’acqua. È molto fredda. Nella casa vuota e nel frigo vuoto c’è solo l’acqua per le loro sedute nel salotto di strada. In quell’angolo una volta c’erano le galline e i capretti. Facevano il formaggio ed erano in dieci a viverci.
Sergio intanto lavora sotto il sole su un muro celeste, sembra che si parlino. (…) I bambini lasciano subito e giocano a palla e a nascondino, qualcuno va in bicicletta. È rimasto un luogo per loro dove le macchine girano male perciò non ci passano. Perché scrivete le poesie, ci chiedono. Lasciamola aperta la domanda. (…) In fondo c’è l’orto delle sorelle Parisi, Graziella lo apre per noi. Sopravvive una riserva di bellezza che ci riempie di gratitudine. La nostra passeggiata poetica sosterà in questo vicolo e in questo orto.
Stiamo per andare. Nzinodda vorrebbe che anche sulla sua casetta scrivessimo qualcosa ma si vergogna a chiedercelo. Lo dice a Maria Grazia. Il tempo di pensarci e mi viene in mente Forough Farrokhzad, una delle mie preferite:
È quello che ci vuole. L’Italia ha perso (con il Costa Rica) ma noi no.
Sesto giorno
Nella strada larga e vuota, quando il sole si prepara a scendere dietro il muro del mondo, arriviamo lenti. In silenzio, in un sabato pomeriggio. (…) Il colore non scivola. Superficie difficile, aspra. Troppi buchi, che come nella vita restano tali, ammorbidirne il contorno è già tanto. Perseveriamo, mentre l’avena selvatica dei bordo ci solletica le gambe. (…) Per strada non passa nessuno a piedi. Un uomo in bici continua a guardarci, Qualche auto che rallenta nel vederci, che chiede, che si sorprende, che ci riconosce. Un paese è proprio questo: la possibilità di riconoscersi.
Una coccinella si poggia su Carlotta e poi cammina sui versi di Cervantes, quasi a portare una postuma fortuna ai visionari che furono e una preventiva a quelli che verranno. (…)
Settimo giorno
(…) È caldo come il sole del solstizio. Ed è diventato un corpus umano nel giorno del corpus domini, nella prima domenica d’estate. Succede che qualcuno rinvii la partenza pur di restare. Pur di tracciare sul bianco scrostato dei muri delle piazze versi e pensieri che vengono da lontano e che ci fanno sentire così vicini. Il poeta mistico Rumi, per dirci di un luogo dove c’incontreremo al di là di quello che siamo. Cesare Pavese sul perché ci vuole un paese, non fosse per il gusto di andarsene via sapendo che qualcosa di noi resta lì ad aspettarci. Per questo Sergio è restato. Metà giorno ancora per lasciare qualcosa di suo, la sua grafia che danza su spartiti di calce. L’eco che non va via.
Arriva per prima Antonella, che sarà raggiunta dal nonno che le fa da ombra. Poi quelli della corsa nel parco. Vincenzo porta il trabattello e scappano al mare. Per qualcuno il nostro è “uno sbagliatempo”, non sa che questo per noi non è il tempo sbagliato ma quello giusto. Il nostro non è un modo per “passarlo” il tempo, ma per viverlo al meglio, per intensificarlo e riempirlo di bellezza. Un tempo scelto, pertanto.
Poi arrivano i ciclisti, si fermano per prendere fiato e per capire cosa succede. Poi arrivano due grandi anziani. Uno saggio, Giovanni, novantaquattro anni; l’altro, Pietro, settantotto, che gli ridono gli occhi. (…) Arriva Jonuz con la fisarmonica, mentre le donne escono dalla messa del mattino. Ci suona un valzer, La speranza perduta. Amo la fisarmonica, dice Daniela, e la sua malinconia.
Intanto lei ed Oronzo rinunciano al mare. Ci raggiunge Giusi, undici anni, la più piccola dei writers. Quindi Giulia con macchina fotografica e le violiniste senza strumento, tranne Martina. Ma è Giovanni il maestro che aspettiamo e che arriva puntuale con sax, ciaramella, flauto, dopo il concerto della notte di san giovanni. Quindi Andrea col tamburello. Nadine con Natalie, cane e ukulele. E ancora Raffaella che vorrebbe rivoltare il paese sottosopra di laboratori, sogni e impegno. Agron, Angela con la zia sulla carrozzella, Michele, con cui studiamo il prossimo attacco, e la sua ragazza. L’ex sindaco e la suora che guarda da lontano. Maria con i capelli rasati e non per tendenza. Maria Grazia, Paolo e Teo che vogliono un altro attacco poetico su un loro muro. Giorgio e Alessandra, cugini; lui che alla fine legge per tutti i versi di Rumi, lei che balla la pizzica. I nostri applausi silenziosi, mani che si agitano, per non disturbare la funzione religiosa: siamo di fronte alla chiesa.
Giriamo l’angolo, la messa è finita. I musicisti si scatenano. Musica popolare e improvvisazione. E’ una jam session estemporanea, tranne Giovanni e Andrea, gli altri non hanno mai suonato insieme, alcuni si sono appena conosciuti. Le ragazze ballano. E finalmente in bici arriva Rosalia, ha lavorato fino a tardi. Aiuta Sergio a squadrare il muro alle spalle dell’arcangelo. Le ombre intanto si accorciano. La piazza si svuota. Restiamo soli. Sergio non demorde, sotto il sole continua. Ci sono due nidi sopra le nostre teste, un passero continua a portare fili d’erba fresca. Il colore si secca. (…)
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Stralci dello stacco conclusivo (che ha chiuso il Festival di poesia)
Apparve, anni fa, sulla parete della scuola media, tra parolacce e segnacci, tra il viva e l’abbasso del tifo calcistico. In stampato maiuscolo, una parola sola, grande: INFINITO.
Tutto quello che c’era intorno si opacizzò, diventò sottofondo. L’infinito, scritto da qualche adolescente anonimo, mi fermò e mi scivolò dentro. Rimescolò il mio vocabolario interiore, fu il sasso nel mare, aprì tanti cerchi. Aprì un varco di bellezza. L’eco del nostro essere finiti capaci di contemplare l’immenso. Accordò il mio essere con quello che c’era.
“Parlo coi muri – Attacco poetico” viene da quell’infinito, da un ragazzino che lo avvertì chissà come (forse guardando le stelle o innamorandosi, magari leggendo Leopardi) e lo depose in forma di parola su un muro sporco. È questo che abbiamo fatto. Abbiamo portato sui muri le parole dei poeti. Abbiamo portato la poesia all’aria aperta fuori dalle aule e dai libri per farla incontrare con l’umanità di passaggio. Un sapere umano profondo che attraversa leggero il tempo e si posa come un polline di assoluto nei luoghi. Una provocazione di bellezza. Una promozione del sensibile. Chi vuole la coglie. È questa la sua natura, delicata e gratuita. (…)
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* maestra di una scuola pubblica, vive a San Michele Salentino (Brindisi). Altri suoi articoli sono qui.
DA LEGGERE:
Poesia di strada, ribellione e condivisione
* Questa la pagina facebook dell’associazione Generazioni (che ringraziamo) di San Michele Salentino. Nella presentazione, si legge: “L’associazione culturale e di promozione sociale Generazioni indica un insieme d’identità anagrafiche differenti: bambini, giovani, adulti, figli, genitori e nonni che si ritrovano insieme per generare azioni significative per la nostra comunità, scegliendo come orizzonte di senso il territorio, la cittadinanza, la cultura. Un’umanità dal basso che ci vuole provare, senza recinti generazionali, ideologici e professionali, a promuovere occasioni di confronto, di proposta e di crescita”.
Anna Cecchini dice
Sicuramente una iniziativa ammirevole… da copiare!
Una iniziativa che riporta a fermarsi, ad osservare, ascoltare, a pensare, a condividere parole che nell’andare tutti leggeranno… ad avvicinarsi agli altri regalando sguardi e sorrisi leggeri, d’intesa… a respirare insieme aria nuova,… e sedersi poi ad aspettare ancora chi scriverà!
Antonella Marini dice
2 giugno: evviva le pareti poetiche abbasso le parate militari…
Umby Rey dice
Attacco poetico… bellissimo!
Luciano dice
Leggo oggi di Voi su Pressenza.
Complimenti x il lavoro che fate.
Tenetemi aggiornato ulteriormente xpiacere.
Può darsi che ci vediamno
Parabita (Lecce)
Ciao