di Marco Bersani*
Oltre 30.000 persone hanno partecipato sabato 7 maggio a Roma alla riuscitissima manifestazione nazionale promossa dalla Campagna Stop TTIP, una rete di oltre 250 associazioni e di 70 comitati locali. Una piazza plurale, allegra e determinata, che riassumeva in sé l’ampia composizione sociale che, in oltre due anni di lavoro nei territori, si è aggregata intorno a questa battaglia: c’erano i produttori agricoli e le piccole imprese, i sindaci di diversi Comuni, le reti dell’altra economia, del commercio equo e del consumo critico, le associazioni ambientaliste e di movimento, i sindacati e le forze politiche. E, soprattutto, tantissime donne e uomini da tutta Italia che hanno deciso di scendere in campo per fermare un trattato che mette a repentaglio diritti e democrazia.
Perché di questo si tratta. Il Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP) è un negoziato tra Unione Europea e Usa, avviato nel luglio 2013 nella più totale segretezza e opacità, che solo l’azione dei movimenti e della società civile ha potuto in qualche modo rompere, rivelando a tutti la vera posta in gioco. Il trattato si prefigge l’abbattimento di tutte le barriere “non tariffarie”, che – a detta delle multinazionali e delle lobby finanziarie – ostacolano la piena libertà d’investimento tra le due sponde dell’Atlantico. Peccato che le barriere non tariffarie siano esattamente tutte le leggi, normative e regolamenti attualmente esistenti che tutelano i diritti del lavoro, la salute, l’ambiente, la sicurezza alimentare, i servizi pubblici, la sanità e l’istruzione.
Sono quindi oggetto di negoziazione tanto l’esistenza del contratto collettivo di lavoro quanto il principio di precauzione ambientale, nonché tutte le norme di sicurezza alimentare che vietano gli Ogm, l’uso massiccio di pesticidi, la clorinatura dei polli, la carne agli ormoni. E sono sotto attacco il sistema pubblico scolastico e sanitario, nonché tutti i servizi pubblici locali.
Culmine di tutto questo processo, è la possibilità per ogni impresa transnazionale di citare in giudizio uno Stato o qualsiasi autorità pubblica, presso corti private di arbitrato commerciale internazionale (ISDS), ogni volta che queste ritengano che una legge o una normativa approvata nuocia alle aspettative di profittabilità del proprio investimento. Si tratta, a tutti gli effetti, di un attacco alla democrazia e del tentativo di passare dallo stato di diritto allo stato di mercato: se fino ad oggi è infatti la democrazia a definire i vincoli del mercato, con il TTIP sarà il mercato e definire i vincoli della democrazia.
Per molto tempo le istituzioni europee e il governo italiano hanno accusato la campagna Stop TTIP di allarmismo e di dietrologia, cercando di rassicurare l’opinione pubblica in merito al fatto che mai i diritti e le tutele acquisite nella storia dell’Europa sarebbero state messe in discussione. Sono stati ancora una volta smentiti, grazie alla recentissima pubblicazione da parte di Greenpeace di gran parte del testo consolidato su cui è attualmente attestato il negoziato, che conferma quanto la campagna Stop TTIP dice dall’inizio.
Il TTIP rappresenta il tentativo di costruire un quadro giuridico nuovo, all’interno del quale la libertà delle imprese non abbia alcun limite e i diritti divengano variabili dipendenti dai profitti. Con questo trattato, gli Usa cercano di legare a sé, dentro la competizione economica internazionale con Cina e Russia, più aree geo-economiche possibili: non a caso, il TTIP dovrebbe essere la tappa che segue l’avvenuta approvazione del TPP, l’analogo trattato siglato dai paesi – Cina esclusa – che si affacciano sull’Oceano Pacifico.
Se gli interessi statunitensi sono dunque espliciti, continua ad essere poco comprensibile l’adesione dell’Ue a questa prospettiva, se non constatando come quest’ultima sia ormai prigioniera dell’ideologia liberista e delle politiche di austerità, da perseguire nonostante gli evidenti insuccessi delle stesse: le stesse previsioni economiche dei fautori del TTIP –studio Cepr del 2011- dicono che, a TTIP in vigore dal 2017, si avrà un aumento del 0,48 per cento a partire dal 2027!
Ma i giochi non sono andati come i padroni del vapore avrebbero voluto. Trattati come questi possono essere siglati a due soli condizioni: la segretezza e la velocità. Fallita la prima, la seconda non ha potuto essere messa in campo, e il trattato, la cui conclusione era prevista nel dicembre 2014, è a tutt’oggi incagliato, tra l’incudine di una mobilitazione sociale che è cresciuta in tutta Europa e al di là dell’Atlantico, e i conflitti interni emersi tra interessi nazionalistici e poteri industriali: il recente disimpegno del governo francese, le titubanze della stessa Germania sono solo i primi scricchiolii di una costruzione edificata in fretta e senza attenzione alla solidità delle fondamenta.
La grande e bella manifestazione del 7 maggio apre il fronte italiano della partita: il governo Renzi, sino ad oggi uno dei massimi fautori del TTIP, non può più ignorare la domanda di democrazia che sta emergendo nel paese, né può più richiedere fiducie in bianco su un tema che stravolgerà la vita quotidiana delle persone.
Stanno provando, grazie alla trappola artificiale del debito pubblico, ad aprire la strada della mercificazione della società, della vita e della natura consegnandole ai grandi interessi finanziari; dicono che nessun altra strada sia possibile e chiedono, se non il consenso, una mesta rassegnazione. Le donne e gli uomini che il 7 maggio hanno riempito di allegria e determinazione le strade di Roma hanno detto a chiare lettere che non ci stanno e che nessuno può permettersi di spacciare per uscita dalla crisi lo smantellamento dei diritti e dello stato sociale.
Se i poteri forti possono a fare meno della democrazia, non è così per le persone che, grazie alla stessa, hanno avuto accesso a una vita degna e a una possibilità di futuro. Quelle donne e quegli uomini hanno capito che tutte e tutti insieme è possibile.
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