Stralci di un articolo pubblicato da Repubblica il 13 aprile, a proposito del movimento nato a Londra per recuperare strade e negozi svuotati dalla crisi con iniziative sociali. Quando a Roma e in Italia, dove pure i centri sociali sono attivi da molti anni?
Tra un’impalcatura e una lavanderia, dove prima c’era un’agenzia per il lavoro oggi sono in mostra sculture di legno e stampe colorate dietro a due vetrine sormontate da un’insegna a caratteri rosa: Utrophia. “Una parola – spiega Stephen Molyneux, per tutti Steve – che inventai per la mia tesi in Letteratura. Un gioco di parole tra utopia ed eutrofizzazione”. Sono stati creativi come Steve e comunità locali ad avere ridato vita negli ultimi mesi alle vie britanniche dello shopping svuotate dalla crisi colonizzando i negozi e gli uffici rimasti vuoti.
“S lack space”, li chiamano, prendendo in prestito il termine informatico che indica i byte non occupati in un file. In febbraio la percentuale di negozi vuoti nelle high street britanniche era del 14,6 per cento, il tasso più alto da quando nel 2008 la Local Data Company (Ldc) ha iniziato i suoi rilevamenti mensili. «Nel 2011 la percentuale è stata del 14,3 per cento, mentre nel 2008 era del 5,5 per cento. Parliamo – precisa Matthew Hopkinson, il direttore di Ldc – di 48.000 unità inoccupate. Un negozio su sette». (…)
«Se sei un’organizzazione senza scopi di lucro – commenta Steve, 36 anni, scompigliandosi i capelli – godi di condizioni di favore. È un incastro perfetto dove noi aiutiamo i proprietari degli immobili prendendoci cura delle loro proprietà e loro aiutano noi mettendoci a disposizione spazi per le nostre attività. E anche la gente è contenta perché riportiamo vitalità in angoli della città che stavano diventando desolati e quindi pericolosi». (…)
Poi si è formato un collettivo di artisti sempre alla ricerca di spazi dove esporre le proprie opere: prima un bar, poi una chiesa sconsacrata e infine un vecchio magazzino industriale. È con la crisi del 2009 che hanno iniziato a pensare in grande. Prima trasformando una vecchia fabbrica di gelato in un centro culturale, poi aprendo uno spazio per mostre e laboratori nel cuore di Deptford, nel sudest di Londra. (…)
Lo “slack space movement” londinese, come l’ha battezzato qualcuno, sostiene le iniziative locali, promuove il senso di appartenenza e rilancia i quartieri più miseri. Un movimento che ha precedenti nella Instand (be) setzung, “riabilitazione-occupazione”, della Berlino Ovest nel 1979 e che conta esempi anche oltre Manica e oltre Oceano. Come il centro commerciale “Galleria at Ereview” di Cleveland, in Ohio, che oggi ospita una serra. A Dalston, nel municipio di Hackney, East London, tra i centri di ricostruzione unghie e le agenzie di scommesse di Dalston Lane – i pochi commerci sopravvissuti alla crisi – spicca la facciata verde di Farm: Shop, un ex centro di accoglienza per donne come testimoniano telecamere a circuito chiuso e recinzioni sul tetto. È una vera e propria fattoria-negozio: in una sala ottanta tilapie nuotano in due vasche d’acqua e ciuffi di insalata germogliano sulle mensole. Nel cortile pomodorie peperoni maturano in giardino, mentre nello scantinato crescono funghie sul tetto galline covano uova. «La distanza tra la gente e quello che è mangia è sempre più ampia. Il nostro obiettivo è ridurla, riavvicinare la gente al cibo», spiega il cofondatore Paul Smith. «Entrano, mangiano, ci chiedono come funziona e spesso finiscono col venire a piantare le proprie verdure in giardino». (…)
Città invisibile è un piccolo collettivo attento ai temi sociali e della decrescita, nato all’interno dell’omonima libreria (info [at] editoriadellapace [dot] org).
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