Non se ne parla nei periodi di calma apparente, figuriamoci ora che tutta l’informazione in Italia è assorbita da un’emergenza mai vista prima, almeno sul piano mediatico. Eppure, al di là delle statistiche in sensibile crescita rispetto allo scorso anno, complessivamente il peggiore degli ultimi dieci, 52 persone che hanno perso la vita per “incidenti con esito mortale” nel solo mese di gennaio sono un fatto. Un fatto tremendo e intollerabile ma, oggi più che mai, sostanzialmente invisibile agli occhi dell’informazione che conta (solo i morti che fanno notizia) e, soprattutto, di chi potrebbe fermare una strage a cui non possiamo abituarci e non lo fa
Il primo bollettino Inail del 2020 sugli infortuni e i decessi sul lavoro è inquietante: 52 persone hanno perso la vita in incidenti con esito mortale solo a gennaio, otto in più rispetto alle 44 registrate nel primo mese del 2019 (+18,2%). Sono aumentate soprattutto le denunce di incidenti mortali avvenuti in itinere (da 13 a 19) mentre quelle per infortuni in occasione di lavoro sono passati da 31 a 33. Si muore più nel Nord Est (da 9 a 14 casi mortali), tre al Centro (da 9 a 12) , uno al Sud (da 8 a 9) e Isole (da 4 a 5). Calano gli infortuni sul lavoro: 46.483, meno 1.400 casi. Ma è solo gennaio. Se il 2019 è stato l’anno più traumatico da dieci con 1089 morti, il 2020 sarà peggiore?
Al tempo dell’«infodemia», epidemia mediatica, da Coronavirus c’è un’emergenza lampante ma invisibile: i morti e gli infortuni sul lavoro e per raggiungere i posti di lavoro. È un’emergenza tragicamente e orrendamente concreta, che miete vittime tra chi esce di casa e non torna più per sempre. Con la metà dell’energia che ha schizofrenizzato i media per il virus si potrebbe almeno dimezzare la velocità di questa strage, veicolare fondi e facilitare politiche strutturali, creare una protezione contro la violenza del lavoro precario che porta a morire a 75 anni mentre cerchi di sopravvivere perché la tua vita, e quella dei tuoi cari, agonizza. Solo l’intelligenza collettiva e la sanzione sociale contro l’organizzazione del capitale possono fermare questa corsa verso l’annientamento della forza lavoro per di più sfruttata.
E invece non accade niente. La mancanza di verifiche tecniche nella costruzione e manutenzione delle infrastrutture, la scarsa adozione di misure collettive ed individuali di protezione, la carenza di ispezioni e controlli nei luoghi di lavoro non scuote l’economia dell’attenzione. Ed è alienante constatare lo strabismo che porta l’economia dell’attenzione a visualizzare più la possibilità percentuale di una morte da virus e non la realtà delle morti causate dal lavoro. Ed è umiliante soppesare la diversa visibilità attribuita dal capitalismo informazionale alla contabilità degli scomparsi per l’una o per l’altra tragedia. Non ci sono morti più importanti degli altri.
È lo stesso strabismo che non vede le conseguenze del riscaldamento globale. Gli effetti mortali del capitalismo sulle vite che lavorano, o sulla natura che distrugge, restano invisibili rispetto alla sovraesposizione dell’emergenza indeterminata di un virus e le sue conseguenze sui mercati finanziari. L’impotenza raddoppia. È il prodotto di un unico sistema.
Fonte: il manifesto
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