Il gesto dell’accoglienza, con tutto il suo peso politico ma anche il suo bisogno di reciprocità, non viene svuotato di senso soltanto dalle aggressioni del razzismo istituzionale esplicito. C’è anche l’ossessione di rendere tutto organizzato, amministrato, rendicontato, trasformato in numero. Cronaca di una giornata di un operatore dell’accoglienza, tra i deliri della burocrazia e l’incontro imprevisto con un gruppo di donne, uomini e bambini appena sbarcati a Roccella Jonica
Neanche il tempo di smaltire la gioia per l’assoluzione di tanti innocenti a cui è stata rovinata la vita a causa del processo Riace, che torno a scontrarmi con la demenzialità del sistema di accoglienza italiano.
Giovedì 12 ottobre 2023, si è tenuto un monitoraggio qualitativo e amministrativo del progetto di accoglienza SAI del comune di Calanna (Reggio Calabria). In sostanza due persone del Servizio Centrale, l’organismo di coordinamento del Sai (sistema di accoglienza e integrazione), hanno tenuto impegnata un’intera equipe composta da assistenti sociali, legali, interpreti, educatori, psicologi e svariate altre figure professionali, per dire cose trite e ritrite e anche decisamente inutili, visto che tra due mesi e mezzo il progetto di accoglienza di Calanna chiuderà e non potrà recepire né raccomandazioni né richieste di adeguamento. Non ce l’ho coi due simpatici signori, che facevano solo il loro lavoro e cercavano di farlo al meglio, ma con l’assurdità del sistema.
Perché per organizzare questo monitoraggio (vale per tutti i monitoraggi) si sono dovuti produrre tantissimi documenti, quindi tutti questi operatori dell’accoglienza hanno dovuto compilare carte per giorni e giorni invece di dedicarsi a quella che doveva essere la loro attività primaria: occuparsi dei richiedenti asilo e dei rifugiati. E come se non bastasse al termine del monitoraggio, svoltosi dalle 9 alle 14 inoltrate, sono stati richiesti altri documenti che hanno tenuto impegnate diverse persone fino a sera, perché i documenti erano così importanti da essere pretesi in giornata.
La faccia crudelmente inutile della burocrazia ormai si chiama, a volte, Servizio Centrale. Ti impongono di sbrigare solo cartacce e poi ti rimproverano di avere troppo amministrativi, che però non bastano mai per soddisfare le loro esigenze. Ci impongono di non lavorare coi migranti per poi rimproverarci di non farlo. E siccome sono stanco di questa deriva che sta uccidendo l’accoglienza in Italia, più dei decreti e delle politiche anti-immigrati del governo, adesso voglio dirlo a tutti. Che senso ha fare un monitoraggio a un progetto in chiusura? Quando arriverà il follow-up, così lo chiamano (ossia la relazione con le osservazioni e le richieste di adeguamento) probabilmente il progetto sarà chiuso, perché la giunta di Calanna ha legittimamente deciso che al 31 dicembre di quest’anno l’accoglienza non proseguirà. Quindi nessuno risponderà a quel follow up, se non per dire che non ci si potrà adeguare a niente, semplicemente perché non esisterà più l’accoglienza. Ma lo hanno dovuto fare lo stesso, per giustificare la loro esistenza come organismo burocratico, facendo perdere tempo prezioso a chi vive i territori e le loro problematiche, a chi sostiene tutti i giorni i migranti provando ad individuare strade che possano garantire diritti e offrire prospettive di vita.
Finito il monitoraggio/perdita di tempo collettiva, prima di rinchiudermi in un altro ufficio con altri colleghi per un controllo rendicontazione del Sai di San Roberto, ho deciso di concedermi mezz’ora di attività fisica sul lungomare di Roccella, seppur sotto il sole terribile delle 15. Avevo appena iniziato quando mi sono visto sfilare davanti un gruppo di persone, che ho immediatamente identificato come migranti. Avevano zaini e arrancavano sotto il sole. Ho immaginato si trattasse di migranti sbarcati al porto di Roccella che muovevano verso la stazione ferroviaria per ripartire verso chissà dove. Dopo pochi secondi ne ho visti arrivare altri e poi altri. Un vero esodo, erano decine. Tra gli altri moltissimi bambini e un ragazzo, forse ventenne, che faticava a camminare a causa di una disabilità. Allora ho interrotto il mio riscaldamento e mi sono avvicinato per offrire un passaggio in auto fino alla stazione. Non parlo arabo e loro non parlavano inglese, ma ci siamo capiti. Caricati gli zaini il ragazzo con difficoltà motorie si è seduto davanti, altre persone dietro. Per tutto il tragitto verso la stazione continuavano a ripetermi “thank you”, quello sapevano dirlo. Li ho lasciati alla stazione e sono tornato sul lungomare. Avrò fatto 7 o 8 viaggi avanti e indietro, tra gli altri ho trasportato un bambino con disabilità di pochi anni, neonati, anziani e donne col velo che sorridevano con gli occhi. Cercavo di fargli capire che dovevano salire in 4 alla volta ma mi sono trovato a trasportare fino a 9 persone in un colpo, coi bagagli tenuti fuori dai finestrini e bambini ovunque, sperando di non incontrare forze dell’ordine o nessuno mi avrebbe evitato una multa o magari chissà, una denuncia penale per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Coi traduttori dei telefonini mi hanno chiesto informazioni, erano afghani e volevano andare in Germania. Cercavano un treno ma non sapevano verso dove. Ho provato a fornire qualche informazione ma soprattutto ho capito la necessità che a Roccella si crei un punto informativo a sostegno di quelli che sbarcano, per dare una mano che vada oltre l’accoglienza materiale.
Poi li ho dovuti lasciare, mentre affollavano una stazione prima deserta e in cui non si vedeva nessun treno, perché il controllo rendicontazione chiamava e fino alle 19 ho perso gli occhi tra fatture e bonifici e manuali di rendicontazione.
Ormai siamo costretti a stare rinchiusi tra le carte. Ma dovremmo essere nelle strade, nei luoghi del bisogno. Oggi ho visto nettamente quanto ci si possa sentire utili nel fare qualcosa che nessuno ti chiede di fare e quanto ci si possa sentire inutili rinchiusi nel ruolo che ci impongono. Io ero un operatore dell’accoglienza, adesso sono un burocrate, un amministrativo. Prima guardavo le persone negli occhi, adesso sto attento a che sulle fatture sia indicato il decreto ministeriale giusto. Lavoro da sedici anni nel sistema di accoglienza e ne ho visto l’evoluzione e l’involuzione. Ho contribuito insieme alla Rete delle Comunità Solidali a promuoverlo, a fare aderire decine di comuni, per poi vederlo finire in questo baratro.
Ci sono tante persone che spingono affinché si cambi rotta, ma non hanno potere decisionale.
Domani torneremo a scrivere quesiti all’ufficio rendicontazione, che alle stesse e mail inviate dagli indirizzi di progetti diversi risponderà cose opposte. Alla stessa mail risponderanno da una parte in tono burbero che il fondo nazionale asilo non finanzia l’acquisto di torte per feste di compleanno di una bambina ucraina che compie un anno, dall’altro ti diranno che si, certo che sei autorizzato a comprare la torta. Di esempi così, con tanto di e-mail conservate come prova, potrei citarne decine. E poi andremo avanti così, a remare in un mare di scartoffie e regole variabili, fino al prossimo monitoraggio in cui ci accuseranno di non sapere fare il nostro lavoro e di avere troppi amministrativi, salvo chiederci di produrre ancora carte e carte e carte…
Ma ora sono davvero stanco e mi bruciano gli occhi, stacco perché domattina alle 9 ho una riunione per spiegare a degli operatori sanitari che non possono comprare la tachipirina per una donna migrante che ha la febbre senza la prescrizione del medico, e se la febbre gli viene alle 21 e non ci sono medici disponibili bisogna farsi fare la prescrizione dalla guardia medica, e se la guardia medica è fuori per una visita devono portare la donna con la febbre a 37.6 al pronto soccorso, perché senza una prescrizione medica la spesa per la tachipirina non è rendicontabile. E mentre studio e diffondo il Verbo della rendicontazione i migranti mi passano accanto e neanche li vedo più.
S.A.I.: Siamo Assurdamente Inutili.
Pubblicato anche su Ciavula (con il titolo S.A.I.: Siamo Assurdamente Inutili – Incontri a Roccella Jonica)
Odilia Negro dice
Giovanni queste parole sono bellissime e giustissime. Siamo tutti conciati nello stesso modo, anche noi CAS!!!!!!!! Si è perso il filo dell’umanità e i burocrati veri, quelli romani più che quelli delle Prefetture, hanno un unico obiettivo: parare se stessi e essere “a posto” con le formalità. Brutto momento per tutti, davvero.