di Valentina Guastini, mamma e maestra
Sembra quasi un tormentone: ne parli per sfogarti e trovi qualcuno che ha vissuto direttamente o indirettamente la stessa disavventura. Ma cosa sta succedendo alle nostre scuole? Per fortuna, ogni tanto, capita di incontrare dirigenti scolastici che ti passano il cuore, come è successo a me in occasione del IV convegno nazionale dell’ Associazione “C’è speranza se accade @” dello scorso fine settimana, tenuto a San Mauro Pascoli e Sant’ Arcangelo di Romagna (Rimini). Sono dirigenti che trasudano passione e voglia di fare e alla fine comprendi che non è possibile rassegnarsi alla burocrazia. La scuola è nostra. Ho indossato le scarpe comode e sono partita nella mia direzione, quella che non menziona la rassegnazione e il servilismo. Ecco il testo di una lettera che ho inviato a un dirigente scolastico.
Gentile Dirigente,
come genitore le scrivo in merito alla comunicazione ricevuta da parte delle insegnanti sul problema dell’assicurazione palestra/giardino.
Mi faccia comprendere, non avete un’assicurazione che copra anche la zona del giardino? Non è considerato parte del plesso? Come lei certamente saprà il tempo scuola è composto da diverse attività curricolari che non possono essere separate dal “tempo giardino”. Mi chiedevo dunque come potesse essere accaduto che parte dei locali adibiti all’insegnamento sono assicurati e altri no.
Forse non è più sufficiente la cifra richiesta? Al giorno d’oggi , dove la complessità delle relazioni umane è diventata evidentemente un problema insormontabile, come genitore mi piacerebbe capire e provare a risolvere questo disguido.
La burocratizzazione sfrenata alla quale siamo sottoposti continuamente genera stati di terrore diffuso fra insegnanti e genitori, non crede anche lei che sarebbe opportuno usare il buon senso più che il terrorismo psicologico? Prima di “aizzare” genitori, insegnanti e ragazzi in un clima di proibizionismo che scalda soltanto la rabbia?
Il caro maestro Cristiano Rossi mi ricorda che dagli anni ’70 in poi si è cercato di impostare la scuola su modelli pedagogici che alimentino il ruolo attivo dello studente, nell’ottica della valorizzazione delle sue abilità.
Qualche plesso ahimè è riuscito a boicottare questa tendenza, mantenendo saperi frammentati, problematizzando, escludendo e riducendo ai minimi termini la condivisione, le uscite, le esperienze personali, la cittadinanza attiva, basandosi solo su attività strutturate talmente “bene” e serratamente da creare bambini stanchi e stremati, pallidi, con repulsione per la scuola.
Altri plessi fortunatamente sono riusciti a mantenere una sufficiente autonomia dirottando invece il distacco verso tutta quell’inutile sfilza di burocrazia che distrugge inclusione, risorse, stimoli, relazioni e democrazia.
Ecco, lei potrebbe vantare la dirigenza ad uno di questi plessi, dimostrare la valenza di attività che non devono essere necessariamente strutturate su base ferrea.
Mi stupisco di come a volte ci si lasci invischiare in situazioni che se non risolte potrebbero risultare controproducenti per se stessi, per tutti e per il lavoro svolto con tanta passione.
Mi aiuti a comprendere perché davvero ammetto una difficoltà: ci si impegna affinché gli alunni siano esseri pensanti, con pensiero critico autonomo, ci si sforza a “trattare” l’educazione come qualcosa che coinvolge un tutto unico che arriva fino alla famiglia e poi ci si stupisce se non si accettano regole assurde.
Non credo che sia sufficiente la regola del “fatta la legge, fatto l’inganno” e dribblare con un bel progettino a costo zero, ovviamente autorizzato, le attività nel giardino così che la polizza possa coprire tale lavoro didattico. Secondo me è necessario andare più a fondo del problema, sposarne la causa e difenderla.
Il giardino è una risorsa insostituibile per la scuola e non soltanto per attività strutturate meticolosamente a tavolino.
La ricreazione all’aria aperta è un diritto naturale, una necessità vitale che copre ben più ampi concetti di movimento, libertà, tempo e spazio, occasione di nuove amicizie e crescita negli affetti.
Certo, un qualunque Dirigente è costretto fra due fuochi, ma a volte per risolvere i problemi nel miglior modo senza creare inutili allarmismi e dissapori deve anche valutare quanto più a cuore sta la risoluzione verso il buon senso o verso la carriera a intoppi zero.
Ma come genitore, e anche qui mi comprenderà, di due bimbe frequentanti due diversi plessi del suo istituto comprensivo le vorrei chiedere ancora qualche minuto per raccontarle la nostra breve storia.
La prima bambina è stata iscritta in uno dei “suoi” plessi dove il giardino è inesistente e quell’area circondariale che toglie ogni minimo respiro non è stata nemmeno considerata, nemmeno dalle insegnanti che non possono, vogliono, devono frequentarla in quanto davvero limitante, ma addirittura, forse è stata valutata idonea ad ospitare un nuovo tempo pieno, nell’assurdità della sua funzione.
Mia figlia in cinque anni ha sviluppato una carenza di vitamina D, tanto da indurre il pediatra ad invitarmi a non tenerla a scuola nelle ore pomeridiane invernali di bel tempo. La restituzione che arriva dai racconti delle mamme e dei bambini è paradossale: ricreazione seduti o comunque in classe (salvo rare eccezioni), i tagli imposti dai vari governi hanno annullato le compresenze e non permettono nemmeno alle insegnanti uscite sul territorio ad esplorare la natura e il cambio delle stagioni. Bambini pallidi ed agitati, incontenibili, con voglia di correre e sfogarsi che nemmeno loro riescono a gestire. Visite d’istruzione organizzate principalmente in luoghi chiusi. Poi però arrivano frammenti di lezioni o progetti su educazione alimentare, riciclo e ambiente, per lo più rigorosamente svolti in aula.
Bene, questa non è la scuola che rispetta alcuni fondamentali diritti naturali dei bambini.
La seconda figlia è stata iscritta in altra scuola. Struttura vecchiotta ma confortevole, con insegnanti capaci di equilibrare i contenuti con i valori. Dove la lentezza resta ancora una virtù e i bambini possono affrontare ragionevoli rischi nel gioco non strutturato. E qui non mi dilungherò a sviolinare le virtù del plesso, ma la criticità a cui lei lo sottopone.
Una scuola abituata alla semplicità delle cose normali. Alla sburocratizzazione di inutili cavilli. Un plesso che ha ancora al centro del rapporto educativo il bambino, nella sua più semplice accezione. Un plesso che, visto da occhi di genitore è anche dotato di un bel giardino, necessario, insostituibile, spesso parte del motivo per il quale lo si è scelto.
Forse lei mi vuol dire che la situazione è arrivata burocraticamente ad essere così aspra, da non poter trovare soluzione alcuna prima di comunicarci che i nostri bambini non ne potranno usufruire? Prima di comunicare alle insegnanti che per “culpa in vigilando” potrebbero rimetterci del proprio?
Io credo, perché spero ancora nel buonsenso a sfavore della pazzia collettiva, che il Consiglio d’Istituto riesca e possa impedire un’assurdità di cotanta portata.
Spero che il pensiero divergente possa in ordine di priorità guidare scelte condivise e di raziocinio.
Spero che l’incapacità di comunicazione, di relazioni umane alla pari e di coraggio possa lasciare posto ad una tavola rotonda di impegno e risoluzione.
Mi permetto in ultimo di citare a tal proposito il consiglio di un suo stimato e amato collega: “Nel 1994 in Italia è stato emanato il D.L.626 per la prevenzione, sicurezza e salute nei luoghi di lavoro che suggerisce i comportamenti da adottare per la protezione e il rischio d’incidenti. Da quel momento nella scuola è cambiato il clima. Si è tutti terrorizzati dall’idea che qualcuno ti possa denunciare e nel mio ruolo di dirigente scolastico mi sono spesso sentito rivolgere la domanda: Ma, se succede questo… di chi è la responsabilità?”. In altri termini si rischia una situazione generalizzata di blocco, non è più possibile fare nulla. Il presidente della Corte dei Conti rispose bene a noi dirigenti scolastici della regione Marche, affermando in maniera chiara che, al di là delle normative scritte e dei casi specifici e dettagliati, esiste comunque una legge basata sul buon senso popolare. Questo per ribadire che non è possibile prevedere tutto e legiferare su tutto.
A tal proposito, alcuni anni fa, come dirigente scolastico, ho inviato a tutte le 860 famiglie dei ragazzi una lettera su questi argomenti. Era un invito a riflettere non solo per i genitori, ma anche per tutti coloro che lavoravano nella scuola: dirigenti, insegnanti e genitori.
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A ben pensarci, è difficile credere che siamo vissuti fino ad oggi! Da bambini, andavamo in macchina senza air bag e viaggiavamo nei cassoni posteriori dei camioncini o sul carro di un trattore e in un pomeriggio torrido era un regalo speciale.
I flaconi dei medicinali non avevano delle chiusure particolari. Bevevamo l’acqua dalla canna del giardino,non da una bottiglia. Andavamo in bicicletta senza usare un casco, ci lanciavamo dalle discese e dimenticavamo di non avere i freni fino a quando ci sfracellavamo contro un albero o un marciapiede.
E dopo numerosi incidenti, imparavamo a gestire il problema da soli! Uscivamo di casa al mattino e giocavamo tutto il giorno; i nostri genitori non sapevano esattamente dove fossimo, nonostante ciò sapevano che non eravamo in pericolo. Non esistevano i cellulari.
Ci procuravamo abrasioni, ci rompevamo le ossa o i denti… e non c’erano mai denunce, erano soltanto incidenti: nessuno ne aveva colpa.
Ti ricordi degli incidenti?
… Mangiamo dolci, burro e bevande piene di zucchero ma nessuno di noi era obeso. Ci dividevamo una bibita con altri quattro amici, dalla stessa bottiglia, e nessuno mai morì a causa dei germi…
Avevamo semplicemente degli amici. Uscivamo di casa e li trovavamo.
Come siamo sopravvissuti? C’inventavamo dei giochi con bastoni e sassi, con vermi e animaletti e nessuno tolse un occhio ad un altro. I peggiori problemi a scuola erano i ritardi o se qualcuno masticava la cicca in classe. Nessuno si nascondeva dietro ad un altro e l’idea che i nostri genitori ci avrebbero difeso se trasgredivamo ad una legge non ci sfiorava…
Questa generazione però ha prodotto molti inventori, amanti del rischio e ottimi risolutori di problemi. Avevamo libertà, insuccessi, successi e responsabilità, e abbiamo imparato a gestirli tutti. Tu sei uno di loro? Complimenti! Abbiamo avuto la fortuna di crescere prima che accettassimo che la nostra vita fosse regolata da qualcun altro. La mancanza di buon senso… ci vorrebbe la certificazione Cbs : il certificato di buon senso. Il buonsenso fa parte della cultura di chi lavora quotidianamente.
Sburocratizzare è prima di tutto condividere”.
Gianfranco Zavalloni (La Pedagogia della Lumaca, La legge 626, la sicurezza e il coraggio di osare)
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