A grandi falcate sul viale del presidenzialismo. Il nuovo governo tunisino di unità nazionale rafforza il potere del presidente Essebsi. È un mix esplosivo di ultraliberismo clientelare che serve ad accelerare la deriva verso un ritorno di fatto all’ancien regime, con inquietanti conseguenze autoritarie e nuovi incentivi alla corruzione. La Tunisia resta in mano a un ceto politico colluso e incapace di alimentare speranze ma pronto a far a pezzi i diritti sociali e le conquiste democratiche ottenute nel 2011. Per dirla con la giovane e autorevole bloggeuse Amira Yahyaoui, c’è un paese che si candida a organizzare conferenze internazionali ma non sa garantire alla sua gente la possibilità di bere l’acqua del rubinetto
di Patrizia Mancini
Il 26 agosto 2016 la nuova formazione di governo detta di “unità nazionale”, guidata da Youssef Chahed, ha ottenuto il consenso del parlamento tunisino con con 167 voti a favore, 22 contrari e 6 astensioni. 23 deputati erano assenti (non ritenendo opportuno interrompere le vacanze estive neppure in tale congiuntura!).
Esaminiamo le tappe che hanno portato alla costituzione del settimo governo post-rivoluzione.
Padrino del “licenziamento” del precedente premier Habib Essid è stato il Presidente della Repubblica, l’ultra ottuagenario ex ministro di Ben Alì, Beji Caid Essebsi. Con una mossa a sorpresa e in un momento di non particolare tensione nel paese, il 2 giugno scorso Essebsi, in un’ intervista televisiva, aveva lanciato la proposta di un governo di unità nazionale. A suo dire l’iniziativa si rendeva necessaria in quanto lo Stato non era riuscito fino a quel momento a imporre leggi e diritto nel paese, ritenendo la situazione gravissima anche a causa del pericolo terrorista e invitando a farne parte tutti i partiti (ad eccezione del movimento del suo rivale Moncef Marzouki), la centrale sindacale dell’UGTT e l’Utica (l’equivalente della Confindustria tunisina).
Secondo molti osservatori politici si trattava in realtà di un tentativo di uscire dal vicolo cieco in cui l’implosione del suo partito Nidaa Tounes (1) aveva portato il governo. Con la messa in discussione dell’operato del tecnocrate e indipendente Essid, l’intenzione del presidente era di ridistribuire le carte all’interno del proprio partito, tentando allo stesso tempo di cooptare altre forze esterne al Parlamento per meglio gestire la presenza parlamentare dell’alleato/nemico Ennahda, il partito d’ispirazione islamica che ha lo stesso numero di deputati di Nidaa Tounes.
Altri fattori avrebbe accelerato la decisione del Presidente, come fa notare l’ex deputata dell’Assemblea Costituente Mabrouka M’Barek, studiosa presso il Middle East Institute:
“Nel presentare il suo rimpasto governativo lo scorso gennaio, Essid aveva preso una decisione radicale e rivoluzionaria, quella di togliere la gestione delle comunità locali dalla giurisdizione del Ministero degli Interni, una disposizione in vigore dall’epoca di Ben Alì…”
Infatti, nella bozza del documento per la decentralizzazione erano espressi principi chiave quali il diritto delle comunità locali a disporre di una parte delle risorse dei loro territori e la discriminazione positiva per le regioni più disagiate. Concetti che devono essere sembrati astrusi e pericolosi al bourghibista Essebsi e ostacoli che verranno probabilmente rimossi dal futuro nuovo Primo Ministro per facilitare la metamorfosi extra-costituzionale dell’assetto dei poteri (wait and see).
Secondo il costituzionalista Kais Saied:
“Si direbbe che stiamo assistendo alla nascita di un nuovo sistema politico diverso da quello previsto dalla nuova Costituzione. Il capo del governo non è un segretario di Stato, dipende dall’Assemblea parlamentare e deve rendere conto ai deputati e non al presidente della Repubblica”.
In realtà neanche poi tanto nuovo, infatti si tratta di praticare, in maniera dissimulata, il vecchio presidenzialismo, tanto caro ai nostalgici del regime che ormai sono “ufficialmente” tornati alla ribalta.
il 13 luglio firma del patto di Cartagine da parte di tutti i partiti che facevano parte del precedente governo a cui si sono aggiunti la potente centrale sindacale dell’UGTT, l’UTICA, il movimento Progetto per la Tunisia (nato dalla scissione di Nidaa Tounes) e altri partiti minori, fra cui “La via Democratica” che non è rappresentato in Parlamento. Fra i punti principali del patto, niente che non fosse già stato enunciato nei programmi dei precedenti governi. Il Fronte Popolare (alleanza di partiti di sinistra e nazionalisti arabi) inizialmente aveva aderito, per poi dissociarsi dall’iniziativa presidenziale.
Il 30 luglio il parlamento fa decadere, con una mozione di sfiducia Habib Essid, che, nonostante le pressioni, non aveva voluto dimettersi, appellandosi alla Costituzione.
Appare subito chiaro come non ci siano altri candidati premier a parte il quarantenne Yossef Chahed di cui si dice sia lontano parente di Essebsi. Coordinatore di un tentativo (fallito) di riconciliazione all’interno di Nidaa Tounes e da cui uscì rafforzato Hafedh Essebsi, figlio del Presidente della Repubblica, Youssef Chahed viene nominato da Essebsi non solo per la sua fedeltà.
E’ “l’uomo giusto al momento giusto”, sia per la nuova destra tunisina iperliberista di cui fa parte anche Ennahda, alleato di Nidaa Tounes al governo, sia per i governi occidentali e il Fondo Monetario Internazionale.
Come sottolinea Habib Ayeb, docente universitario e documentarista, in una lettera aperta indirizzata a Chahed stesso:
“Ciò che più mi ha allarmato (nel suo curriculum n.d.t.) è il suo passaggio, per un periodo abbastanza lungo, all’USAID. Di sicuro lei non ignorerà il vero ruolo di questo organismo governativo americano, per il quale lei è stato assunto come specialista di questioni agricole e alimentari. Così come non ignorerà la partecipazione dell’USAID all’organizzazione di vari colpi di stato , un po’ dappertutto nel mondo e in particolare in America Latina. Si ricordi di Salvador Allende. Si ricordi Cuba. Si ricordi di Abdul Karim Quasim in Iraq…non riesco a immaginarmi che il primo ministro del mio paese possa ignorare questi momenti fondamentali della storia moderna e l’implicazione diretta dell’USAID in questi avvenimenti…”
Youssef Chahed ha fatto da tramite, secondo quanto rivelano alcuni documenti di Wikileaks citati da Vanessa Szacal su Nawaat.org, fra Usa e Tunisia per favorire l’introduzione delle biotecnologie (leggi OGM) nel paese nordafricano.
Il 26 agosto dunque Chahed presenta il suo “nuovo” governo: 26 ministri (in Italia ne abbiamo 15) di cui 11 sono gli stessi del precedente governo, anche se alcuni cambiano funzione, e 14 segretari di Stato. Fra questi spiccano almeno tre figure di chiara provenienza RCD (il partito dell’ex dittatore Ben Alì) (2) e Samir Bettaieb del partito El Massar,“modernista”, di centro sinistra, nemico acerrimo di Ennahda che ritiene responsabile morale dell’uccisione dei membri del Fronte Popolare Belaid e Brahmi, ma che sembra mettere fra parentesi questa posizione per accettare il Ministero dell’Agricoltura, senza che ne abbia alcuna competenza. Presenti nella nuova compagine anche due ex quadri del sindacato UGTT.
Il discorso del giovane nuovo Primo Ministro, in occasione della sua investitura, ha avuto almeno il pregio di essere chiaro : dopo aver illustrato la disastrosa situazione economica in cui versa il paese, (3) ha avvertito che se le misure dolorose che intraprenderà verranno rifiutate o ostacolate, lo Stato dovrà licenziare migliaia di funzionari. Che è stata la Tunisia a rivolgersi all’FMI e non viceversa, perché non vi erano alternative. Ha annunciato inoltre che verranno represse duramente le manifestazioni non autorizzate.
Un mix esplosivo di ultraliberalismo, clientelismo, nepotismo e ritorno dell’ancien regime con prevedibili riflessi autoritari che s’innesta su un sistema di corruzione diffuso in ogni ganglio dell’amministrazione e che pretende far pagare alla classi medie e popolari gli errori di un’élite politica finora incapace di una visione alternativa dello sviluppo del paese. Un paese in cui, per citare le parole dell’autorevole bloggeuse Amira Yahyaoui
“ci sono una ventina di banche, una decina di aeroporti, tre operatori telefonici, in cui si spendono centinaia di migliaia di dinari per una statua (il riferimento è al ricollocamento della statua di Bourghiba al centro di Tunisi, n.d.t.), un paese che vuole organizzare conferenze internazionali e che alla fine della giornata non può bere l’acqua del rubinetto”.
-
Nidaa Tounes ha vissuto una vera e propria guerra per bande fra i sostenitori del figlio del Presidente della Repubblica Hafedh Essebsi e quelli del rivale Mohsen Marzouk, anche con scontri fisici, che ha portato alla scissione del partito. Marzouk e i fuoriusciti crearono un nuovo partito, Machrou Tounes, Progetto Tunisia.
-
La nuova Ministra della Donna Naziha Labidi, il nuovo ministro della Cultura Mohamed Zine Alabidine e il nuovo segretario di Stato all’immigrazione Radhouane Amara Zine Alabidine.
-
Il tasso di crescita è passato dal 4,6% del 2010 all’1,2% del 2016, mentre Il tasso d’indebitamento è salito al 62% del PIL. In pratica la Tunisia continua a indebitarsi per pagare i debiti!
Fonte: Tunisia in red
Lascia un commento