Cara professoressa, grazie per fare dei nostri figli qualcosa di buono. Continui a permettere che il loro sguardo vada oltre i banchi rotti e i muri scrostati. Continui a parlare del mondo. Di quello che succede. Delle ingiustizie. Delle leggi che accadono. Continui a collegare il Sapere con il “fuori”. A che serve se la Scuola è scollegata dal resto del mondo? Se i ragazzi si occupano, preoccupano solo dello spazio che abitano? Che cittadini potranno essere? Che futuri uomini e donne?
Sa, professoressa, mi permetto di dirglielo, perché ho due ragazze adolescenti. Una frequenza il primo anno del liceo artistico, l’altra il liceo classico e so che, per quanto ci si riempia la bocca, l’insegnamento del greco e del latino serve a ben poco. Serve a ben poco se dietro a quella cattedra non ci sono insegnanti che guardano negli occhi i nostri ragazzi e illuminano i loro animi di altre domande.
So cosa vuol dire vedere la propria figlia tornare a casa e fare quesiti di fronte a un telegiornale. Essere curiosa, chiedere il nome di alcuni ministri e voler sapere la funzione che svolgono. Allo stesso modo, quando scorrono immagini di conflitti domandare di che Stato si parla e dirmi soddisfatta: “Ah! Ne ha parlato oggi la prof!”.
E so che se la scuola non esplica questo compito: sviluppare lo spirito critico, sfornerá giovani che non sanno chi è stato Pertini o quando è avvenuta la Seconda guerra mondiale o chi è il nostro Presidente della Repubblica.
Res pubblica. Cosa di tutti. E la scuola fino a prova contraria è di tutti noi. Laica. Pubblica. Democratica. Non ha niente a che fare con il controllo. Le telecamere. Le sospensioni. Quello è il luogo della paura non dell’insegnamento.
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E poi, sa professoressa, noi adulti ci scandalizziamo quando i nostri ragazzi non sanno collocare nel tempo fatti storici, quando i loro occhi sono vuoti, quando non leggono, quando per passare la giornata maltrattano animali e uomini.
Ho ascoltato la sua voce, quel tono pacato che vorrei fosse mio. Me la immagino in quell’istituto tecnico, a Palermo, a insegnare il suo italiano. Come saranno le pareti? Ci sarà abbastanza materiale? Quanti ragazzi sbufferanno la mattina o avranno il cuore pieno di altre preoccupazioni?
Mi immagino le anime che ha sottratto al niente. Le anime che ha incuriosito. Me li immagino quei ragazzi chiusi in casa, intorno a un tavolo, magari in una giornata di sole, a costruire qualcosa che abbia un valore, a confrontarsi, cercare informazioni, discutere.
Ascolti professoressa, io non sono nessuno, sono solo una madre e una semplice maestra, ma le volevo dire grazie.
Grazie per quei figli che non sono miei, di cui ascolta il pensiero e lo si lascia esistere. Grazie per gli animi che fa crescere liberi.
Grazie professoressa, per lei e per gli insegnanti come lei, che hanno uno stipendio da fame, che correggono i compiti fino a notte fonda e non fanno del compito l’unica narrazione dei propri allievi. Che, nonostante tutto, nella Scuola ci credono, credono nei ragazzi e provano a tenerli “dentro”.
Grazie professoressa per le sue parole, e per la sua dedizione, la speranza è che la Scuola insegni ai nostri figli ad occuparsi degli altri, che dirlo, al giorno d’oggi, sembra quasi una bestemmia.
La speranza è che la Scuola formi giovani uomini e donne con un pensiero autonomo e critico e che nessuno si prenda la briga di tacitarlo solo perché non gli appartiene o non ci si riconosce.
Cara professoressa se ci fosse Don Milani le stringerebbe la mano e se potessi lo farei anch’io. Lei ha fatto solo il suo lavoro, che non è quello di controllare, ma sviluppare menti aperte, ovvero insegnare.
La ringrazio per tutti gli sguardi curiosi. Che a spegnere uno sguardo ci vuole un attimo. Un’idea, a quanto pare, pure. Lei resista professoressa, continui a illuminare gli sguardi. Se lo fa lei, lo faremo anche noi. E per il futuro dei nostri ragazzi ci sarà ancora speranza.
E la Scuola, quella in cui crediamo, vivrà.
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Laura Martina Gironda dice
Libertà di insegnamento!
Enrica granata dice
Condivido tutto pienamente