Stralci di un articolo pubblicato su Repubblica.it.
La crisi che stiamo vivendo sta allargando spazi di disoccupazione e precarietà ma questo non è tutto. Sono sempre di più infatti le persone che hanno un’occupazione ma trovano senza senso molte delle attività dell’azienda per cui lavorano e sentono lo scarto tra le loro motivazioni ideali e quelle dell’organizzazione. L’imperativo della massimizzazione del valore per gli azionisti, a tutti i costi e senza nessuno scrupolo per le esternalità negative che esso in molti casi può generare (nei confronti dei clienti, dei lavoratori stessi, dei fornitori, delle comunità locali nelle quali l’impresa opera) finisce per generare frustrazione e alienazione in chiunque mantiene un minimo di umanità e coscienza critica (che solo fino ad un certo punto può essere soffocata). (…)
Abbiamo sentito talvolta dire che non importa dove si lavora, l’importante è far bene il proprio lavoro per essere a posto. Ma questo non è sempre vero altrimenti un padre di famiglia a un figlio che gli chiede se è meglio entrare nelle SS o nella Croce Rossa direbbe che fa lo stesso, l’importante è lo spirito con cui si fanno le cose. Lungi da noi l’identificare situazioni così estreme nella realtà di oggi. Però non possiamo pensare non conti nulla la relazione tra il prodotto o il servizio che vendo o devo cercare di vendere a tutti i costi, i miei valori e il bene comune.
Nell’economia attuale, non ancora “liberata”, esistono molte organizzazioni il cui orientamento a finalità di carattere ideale. La puntata di Report di domenica 22 aprile ce ne ha fornito un esempio. Lo sono in linea di principio banche e finanza etica, banche cooperative e casse rurali, cooperative di lavoro e di consumo, cooperative sociali, commercio equo imprese for profit socialmente responsabili, imprese che lavorano per la riconversione ambientale, per il riuso e il riciclo dei materiali. C’è insomma un vasto mondo del not for profit che è in espansione e produce innovazioni a getto continuo (peer to peer social lending, coltivazione orti per procura, nuove filiere di prodotti etici). Tal volta proprio in questi settori ci possono essere delusioni per la differenza tra le proprie aspettative e le realizzazioni osservate ma la differenza sostanziale in termini di orientamento al bene comune resta rispetto ad un modello di impresa “riduzionista” che sta portando l’economia al collasso resta. E resta molto elevato lo scarto tra la limitata domanda di lavoro che proviene da quelle organizzazioni socialmente innovatrici e l’abbondante offerta di lavoro di tutti coloro che ritengono importante la prossimità tra le proprie motivazioni ideali e gli scopi dell’ azienda in cui passano la maggior parte della propria giornata. (…)
Proprio in seguito alla puntata di Report, che credo abbia reso più solide le speranze di molti di noi, vi invito a dare un’occhiata al Bilancio per il Bene Comune e alla matrice per la valutazione delle imprese, che ho pubblicato su Zoes, cercate e trovate sul web,
http://www.zoes.it/gruppi/bilancio-sociale-pratica/economia-bene-comune
Chi non volesse iscriversi per accedere ai documenti mi scriva che glieli giellezro
Propongo di lavorarci anche noi, unirci a questo movimento utilizzandone e condividendone il patrimonio !
Ciao Antonella Albanese
Un Mondo di Bellezza -La Bellezzza di un Commercio Giusto