
Hanno fatto il giro del mondo le immagini delle centinaia di persone ammanettate e umiliate con la testa rasata, presunti membri della gang venezuelana Tren De Aragua, identificata dagli Stati Uniti come un’organizzazione terroristica a tutti gli effetti. Il video è stato condiviso da Trump stesso, definendoli “i mostri mandati nel nostro Paese dal corrotto Joe Biden e dai democratici di sinistra radicale”.
Poi però passa qualche giorno e la storia con l’iniziale ignorata, oltre che minuscola, si palesa. E allora c’era una volta quest’ultima, che a sua volta ne contiene altre non meno trascurate, calpestate e umiliate alla stregua di coloro che la raccontano comunque con la loro stessa vita.
È una storia scritta sulla pelle con la tonalità della carnagione, la più ingiusta tra le umane maledizioni, e talvolta narrata letteralmente con un tatuaggio, che per molti, come probabilmente il sottoscritto, è solo un vezzo di natura estetica per sembrare più giovane a se stessi più che agli altri, mentre per altri è davvero quel tipo di storia. Personale, affettiva, familiare o addirittura un atto di fede.
Se non sei nato con l’epidermide fortunata, ne paghi le conseguenze fin da bambino, e anche questo lo so bene. Se poi ci si mette anche ciò che ci hai aggiunto di tua sponte, allora è proprio una persecuzione.
Si dà il caso, difatti, che le storie di cui sopra, ora che l’ignobile video ha svolto il suo compito, ovvero instillare paura e angoscia, stanno pian piano venendo alla luce per raccontarci di un numero crescente tra i suddetti “mostri” di persone arrestate e cacciate in tal modo dagli USA soltanto per i tatuaggi.
Già, perché la colpa imperdonabile, l’indizio schiacciante e la prova incriminante erano, sono e saranno sempre proprio quelle famigerate storie.
C’è chi è stato arrestato e spedito oltre confine per una rosa, un leone e una lametta da barbiere, visto che è il suo mestiere. E c’è colui che ha osato decorare il suo corpo per omaggiare la figlia tramite un orologio da tasca con l’ora della sua nascita e una scritta nera sul petto che compone il nome della bambina, la quale ora ha quattro anni e ha dovuto dire addio al padre. C’è chi ha pagato amaramente un paio di mani che pregano, il nome del papà morto quand’era piccolo e la data dell’anniversario con la propria compagna. Alla stregua di chi si è fatto incidere le parole “famiglia”, “fratelli” e in particolare il nome di uno di essi perché autistico e per questo impresso sul relativo logo arcobaleno. Un altro ha invece addirittura il volto di Gesù, il simbolo dell’infinito e di nuovo il nome della figlia. Così come per altri ci sono una corona, un pallone da calcio e la parola Dio.
Molti di costoro non hanno precedenti penali, lavoravano e avevano cura delle loro famiglie. Gli avvocati in questo momento stanno facendo il proprio lavoro ma le speranze sono ovviamente poche, visto l’andazzo.
Perché le autorità statunitensi hanno ammesso candidamente che sono stati i tatuaggi a incastrarli, nonostante gli esperti confermino che, a differenza di altre gang, i membri di Tren De Aragua non si identificano tramite questi ultimi. Perfino sul foglio di via di ciascuno c’è addirittura scritto che sono incensurati, definendoli comunque “alieni deportabili” e “sacrificabili”.
Perché ciò che conta per chi comanda oggi è il messaggio sopra detto.
Paura e angoscia.
E allora resistiamo e rispondiamo raccontando, sussurrando o urlando se occorre, le storie sulla pelle, per favore.
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