La portata epocale di processi complessi come quelli migratori del nostro tempo, incalzati dalla molteplicità delle crisi che colpiscono il pianeta e i suoi sistemi dominanti, a cominciare da quello dell’Occidente, investito da una crisi di civiltà profondissima, viene ancora sottovalutata. Ci si strappa tardivamente le vesti per l’avanzata elettorale di fascismi e post-fascismi ormai in tutta l’Europa e, tutt’al più, ci si commuove qualche ora per la strage sistematica di decine di migliaia di persone innocenti lasciate (o spinte ad) affogare tra i flutti. Eppure la repressione feroce di una delle libertà più essenziali dell’umanità, quella di potersi muovere scegliendo di vivere dove migliori sembrano le condizioni per affermare il diritto a un’esistenza dignitosa, è un sintomo evidente. Quella repressione, una vera propria caccia al migrante, praticata senza scrupoli – oggi anche grazie all’utilizzo discriminatorio di tecnologie sempre più sofisticate e dell’intelligenza artificiale – nei posti di frontiera terrestre come nel Mediterraneo o nei deserti del Maghreb, ha da tempo dato vita a un vero e proprio migranticidio, secondo l’espressione che usa abitualmente su queste pagine Annamaria Rivera. Nell’articolo che ci ha inviato, Fabio Marcelli la riprende per metterne in luce le responsabilità morali, politiche e giuridiche che causano danni incalcolabili alle esistenze dei migranti ma anche alla democrazia italiana ed europea. Al fine di estendere il ripudio sociale nei confronti di quelle necropolitiche criminali, poi, indica – sul piano che più è affine ai suoi studi e alla sua lunga esperienza di giurista internazionale – la necessità di una risposta basata sulla riaffermazione dei principi di antica origine, riconfermati da molte convenzioni internazionali vigenti che rendono obbligatorio, per esempio, il soccorso in mare. In conclusione, Marcelli non manca di esprimere anche l’urgenza di sanzionare penalmente le condotte criminali dei responsabili del migranticidio, invocando in particolare la giurisdizione della Corte penale internazionale

Gli Stati dell’Occidente capitalistico vivono una situazione sempre più complicata e paradossale che deriva in buona misura dell’evoluzione storica della comunità internazionale negli ultimi cinquecentotrentuno anni, costantemente contrassegnata, durante tutto tale periodo, da un predominio assoluto di tali Stati, esercitato all’insegna di un potere arbitrario e sfrenato, esercitato tenendo in esclusiva considerazione i propri interessi o meglio quelli delle proprie classi dominanti. Così facendo essi hanno posto le premesse delle migrazioni attuali, dato che il dominio occidentale del mondo, sempre più brutale e devastante, nonostante la decolonizzazione formale avvenuta a partire degli Anni Cinquanta dello scorso secolo, ha generato una serie di flagelli di vario genere che hanno reso sempre meno vivibili le situazioni di quei Paesi, che ospitano la maggioranza della popolazione mondiale.
Guerre, povertà, catastrofi climatiche ed ambientali impongono a un numero crescente di persone di abbandonare i propri territori cercando disperatamente scampo altrove. Giova rilevare come la grande maggioranza si limiti a spostamenti di ampiezza inferiore, trasferendosi in altra parte della regione colpita. Una minoranza invece tenta la sorte sulla lunga distanza, tentando di superare ostacoli naturali e politici che separano il mondo ricco da quello povero.

Gli ostacoli politici alle migrazioni
Ovviamente quelli determinanti sono gli ostacoli politici. E qui registriamo una vera e propria schizofrenia da parte degli organismi politici dell’Occidente economicamente avanzato a regime economico di stampo prettamente capitalistico nella sua versione neoliberista. Per un verso infatti essi ha bisogno dei migranti, sia per fenomeni come il calo demografico, che è particolarmente sensibile in Paesi come l’Italia, sia perché si illude di poter meglio sfruttare una forza-lavoro meno sindacalizzata e consapevole, che parte da condizioni di gran lunga peggiori ed è comunque sottoposta a vario genere di ricatti, tra i quali principalmente quello della concessione del permesso di soggiorno ovvero della condanna a uno stato permanente di clandestinità ovvero semiclandestinità.
Per l’altro verso, lo stesso sistema capitalistico occidentale dominante gioca la carta delle formazioni neorazziste che usano l’odio e le discriminazioni contro i migranti come carta volta ad accrescere il loro consenso politico, legittimando in tal modo le politiche volte a negare il godimento dei diritti umani fondamentali sia ai migranti che agli indigeni, basandole su di una presunta limitatezza delle risorse disponibili, cosa che in realtà costituisce un’enorme fake news. Il tutto si traduce da un lato nella facilitazione dell’ accumulazione dei profitti e dall’altro nell’ esaltazione del dolore cui sono sottoposti i migranti, a partire dalla violenza originaria esercitata nei loro confronti colla depredazione sistematica delle risorse naturali dei loro territori di provenienza, nel contesto di un assetto globale neocoloniale caratterizzato dalla presenza di governi fantoccio privi di legittimazione democratica. Non mi riferisco solo a quelli del versante Sud, dato che anche i governi europei, e quello italiano fra di essi, hanno pressoché totalmente rinunciato all’esercizio della sovranità, anche se determinati commentatori sprovvisti di cultura e di raziocinio si ostinano paradossalmente a denominarli “sovranisti” in omaggio a un linguaggio del tutto antiscientifico invalso nei media cosiddetti mainstream.
L’odio contro i migranti viene quindi a costituire, per politici totalmente svenduti al potere economico-militare dominante, come Meloni e Salvini, una sorta di surrogato o velo dietro il quale nascondere la propria evidente nullità. Ma dallo stesso vizio non sono esenti altre forze politiche, come il PD o i Cinquestelle. L’ossessione securitaria che guida tutti costoro, come pure gli altri governi europei, ha per obiettivo impedire ai migranti di arrivare, ad ogni costo, sul sacro suolo della Patria. Se Salvini e la Meloni, specie nella sua versione di opposizione precedente al settembre 2023, hanno rappresentato la versione più apertamente trash ed horror di questo discorso, esiste al riguardo un vasto consenso delle forze politiche, che, nella loro imbecille pusillanimità, partono dal postulato, tutt’altro che dimostrato, dell’assoluta e inevitabile impopolarità di ogni politica volta a ricercare in modo serio l’accoglienza e l’inclusione dei migranti.

Le conseguenze per i migranti e per lo Stato di diritto
Da tale postulato derivano una serie di conseguenze, tutte egualmente nocive sia. per i migranti, costretti come accennato a subire inaudite e crescenti sofferenze, sia per il sistema costituzionale, inteso come insieme di norme di cui i vari Stati che si ostinano a definirsi Stati di diritto si sono dotati e che sono ancorate anche a principi fondamentali sanciti a livello internazionale, a cominciare dai Trattati dedicati ai diritti umani.
La prima conseguenza riguarda lo status dei migranti, compresso in modo permanente e sistematico all’insegna della massima precarietà possibile e dell’aperta soppressione o forte limitazione dei diritti. Ciò implica rinviare e contenere il più possibile, sia in termini di soggetti legittimati a richiederla, sia in termini temporali, ogni tipo di regolarizzazione. Un aspetto particolarmente odioso di questa politica di barbara negazione dei diritti e della soggettività dei migranti è come è noto costituito dal rifiuto di concedere la cittadinanza a giovani di seconda o addirittura terza generazione.
La seconda conseguenza consiste nel tentativo di rendere sempre più arduo e pericoloso l’arrivo dei migranti nella parte più ricca e privilegiata del Pianeta che peraltro è anche come accennato la responsabile storica ed attuale delle migrazioni stesse. Ciò avviene in primo luogo finanziando regimi e milizie cui viene assegnato il compito di contenere i flussi umani con ogni mezzo necessario. Abbiamo pertanto assistito su questo piano al finanziamento del regime antidemocratico di Erdogan in Turchia e agli accordi colle milizie libiche che praticano in modo sistematico la detenzione, riduzione in schiavitù, stupro, tortura e sterminio dei migranti. In secondo luogo è stato smontato in modo doloso e deliberato la struttura del soccorso in mare ed è stata parallelamente penalizzata e criminalizzata l’opera prestata in tal senso in modo volontario dalle organizzazioni non governative che un famigerato ministro degli Esteri della Repubblica italiana ebbe a definire spudoratamente “taxi del mare”. È noto peraltro come un altro ministro, altrettanto se non più ancora famigerato, di questa stessa Repubblica, si adoperò a lungo per chiudere i porti italiani alle navi che avevano soccorso i migranti e tentavano di portarli in salvo, con tale zelo, ispirato da biechi calcoli elettoralistici, dal dover rispondere del crimine di sequestro di persona di fronte ai tribunali penali.
Questa strategia di disumana deterrenza è fallita, come si può agevolmente constatare calcolando il numero delle persone migranti che raggiunge ogni giorno il territorio italiano. Giorgia Meloni, che all’opposizione aveva demagogicamente agitato l’impraticabile parola d’ordine del blocco navale, tenta oggi di distribuire l’onere dell’accoglienza su scala europea, ricevendo prevedibili netti dinieghi da governi ideologicamente ad essa apparentati, a cominciare da quello polacco e risposte insoddisfacenti da parte degli altri. La mancanza di una risposta solidale in ambito europeo costituisce un’ulteriore manifestazione della mancanza assoluta di identità e di prospettive da parte dell’Unione, ridotta a succursale della NATO e a strapuntino delle multinazionali.

Il migranticidio come manifestazione della crisi di civiltà
La strage dei migranti va avanti ormai da vari anni, ma negli ultimi tempi ha registrato episodi particolarmente sconvolgenti come il naufragio di Cutro, quello più recentemente avvenuto in Grecia e l’abbandono nel deserto tunisino di un numero imprecisato di migranti subsahariani.
Si tratta del risultato di un rinnegamento di principi elementari di umanità che alimenta la crisi di civiltà che stiamo vivendo e che, se non adeguatamente contrastata, comporterà l’avvento della catastrofe climatica, ambientale, sociale e bellica di cui stiamo attualmente vivendo i primi prodromi.
La strage di Cutro, la cui responsabilità si vorrebbe far ricadere su alcuni membri subalterni delle istituzioni addette al salvataggio, rappresenta in realtà l’esito, previsto e voluto, di una strategia criminale decisa ad alto livello, volta a limitare le migrazioni. Essa del resto costituisce come accennato solo uno degli ultimi episodi di una strage che ha già fatto decine di migliaia di vittime nel solo Mediterraneo. A tale fenomeno, denominato migranticidio su proposta dell’antropologa Annamaria Rivera e di altri, occorre dare una risposta basata sulla riaffermazione dei principi di antica origine ma riconfermati da una lunga serie di convenzioni internazionali vigenti che rendono obbligatorio il soccorso in mare. Occorre peraltro anche sanzionare penalmente le condotte criminali dei responsabili del migranticidio, invocando la giurisdizione della Corte penale internazionale.

La competenza della Corte penale internazionale
La disposizione da invocare a tale ultimo proposito è quella dello Statuto di quest’ultima che all’art. 7 delinea i crimini contro l’umanità, definendo tali gli attacchi alla vita e all’incolumità delle persone commessi nell’ambito di un attacco sistematico alla popolazione civile. In tale direzione vanno alcune denunce presentate alla Corte contro esponenti di istituzioni europee e governi nazionali, cui è auspicabile che se ne aggiungano altre, in modo da creare strumenti atti a dissuadere i fautori delle politiche del migranticidio dal loro intento criminale, pervenendo in tal modo a prevenire il fenomeno. Le denunce in questione non vanno intese come fini a se stesse ma come parte di una più ampia campagna volta a promuovere ed estendere il ripudio sociale nei confronti di politiche criminali ed irresponsabili. Di questi temi abbiamo discusso a un convegno svoltosi in aprile su iniziativa del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED), dei giuristi democratici e dell’Associazione Mani Rosse Antirazziste.
Fabio Marcelli è copresidente del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED)
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