Se è vero, come sosteneva Søren Kierkegaard, che in autunno si guarda il cielo e in primavera la terra, allora oggi, 21 marzo, giornata internazionale contro il razzismo, è arrivato il momento di vincere le ipocrisie e dare una svolta netta, realistica e in profondità alle politiche sulle migrazioni in Italia. A cominciare, naturalmente, dalle condizioni dei diversi centri in cui migranti e rifugiati vivono o sono trattenuti. Non ce lo impone solo il dilagare del virus, che costituisce un pericolo immediato e gravissimo per loro e per tutti, ma il superamento di una logica di esclusivo contenimento, separazione e controllo che nega il valore di quelle relazioni sociali con il territorio che, una volta conclusa la pandemia in corso, possono essere la sola condizione per ricominciare a vivere bene insieme. Solo con un’accoglienza diffusa in appartamenti inseriti nei contesti urbani – gestita dai comuni, in collaborazione con le forme associative della protezione sociale e della solidarietà – l’emergenza sanitaria può essere affrontata con le regole generali di sicurezza necessarie. Della riduzione del ruolo e dei posti disponibili, imposta dal governo razzista e ancora non modificata in modo sostanziale da quello in carica, stiamo già pagando prezzi sconsiderati. Possiamo solo sperare che non sia troppo tardi. Filippo Miraglia, da molti anni la voce dell’Arci sulle politiche che investono i migranti, scrive sul manifesto di misure ragionevoli e urgentissime da prendere subito
C’è bisogno di aspettare un focolaio di contagio in uno dei tanti centri per stranieri in Italia affinché il governo se ne occupi davvero? Abbiamo letto che al Viminale stanno studiando questa questione, che potrebbe diventare esplosiva se non s’interviene con urgenza e con efficacia. Non c’è tanto tempo. Anzi ci sembra di poter dire che è già tardi. I centri d’accoglienza straordinaria (CAS) per richiedenti asilo, così come tutti i grandi centri gestiti dal Viminale (Hub, Hotspot, CARA, CPR), hanno ricevuto fino ad oggi raccomandazioni generiche per affrontare l’emergenza sanitaria. Ma le condizioni in cui si vive in questi centri non sono per nulla uguali a quelle delle normali abitazioni.
Solo l’accoglienza diffusa, quella dell’ex SPRAR, ora SIPROIMI, gestita dai comuni, in collaborazione con il terzo settore, si realizza in appartamenti inseriti nei contesti urbani e solo in questi casi l’emergenza può essere affrontata con le regole generali di sicurezza sanitaria definite dal governo, pur con la dovuta attenzione.
Le scelte politiche sbagliate e strumentali, fatte dal governo Conte1 a trazione leghista, e ancora non modificate sostanzialmente dal governo Conte2, stanno drasticamente riducendo il ruolo e il numero dei posti in accoglienza diffusa (al 29 febbraio sono 23 mila su 86.600 posti), a favore dei CAS, che fanno capo alle Prefetture e che oggi rappresentano ancora la maggioranza dei posti che ospitano richiedenti asilo e rifugiati, pari a 63 mila (73%).
La maggior parte di questi centri, ospita centinaia di persone, alle quali sono offerti servizi comuni e dove la distanza di sicurezza è impraticabile. Per queste persone, sia per quelle ospitate nelle strutture che per gli operatori e le operatrici, non sono sufficienti le indicazioni generali, ma servirebbero procedure specifiche e dispositivi individuali di sicurezza, come in altri luoghi analoghi.
La logica di contenimento, separazione e controllo che ha caratterizzato le politiche dell’accoglienza basate sull’emergenza, accentuatasi negli ultimi anni per ragioni politico-elettorali, rischia di ritorcersi pesantemente anche contro le comunità locali e di appesantire il nostro sistema sanitario già fortemente stressato. E’ quindi necessario intervenire con assoluta urgenza.
Una prospettiva, quella del contagio nei centri d’accoglienza, che fra l’altro verrebbe sicuramente usata per ridare fiato al razzismo di matrice leghista, sopito in questa fase, nella quale il Paese è obbligato a occuparsi di problemi drammaticamente reali, e quindi meno disponibile a dare ascolto alle sirene della destra razzista.
Le istituzioni nazionali, governo e Parlamento, più volte avevano espresso la volontà di andare verso un sistema unico, che fosse basato sulla rete pubblica gestita dai Comuni, dove, pur con limiti e contraddizioni, la dignità delle persone è rispettata e ci si prende cura anche della relazione tra i beneficiari dell’accoglienza e le comunità che li ospitano.
È il momento di rilanciare quell’obiettivo, come hanno chiesto già molti comuni, e avviare un processo inverso a quello favorito dagli interventi di Salvini, ripristinando lo SPRAR (quindi consentendo ai richiedenti asilo di essere accolti nel sistema dei comuni), avviando un progressivo e urgente trasferimento da CAS a SPRAR e quindi promuovendo l’istituzione di un sistema unico, che andrà certamente rivisto per superarne alcuni limiti e problematiche.
Oltre alle criticità del sistema d’accoglienza, l’emergenza sanitaria e i provvedimenti assunti hanno determinato difficoltà e contraddizioni nelle procedure, che in questa fase sono sospese, salvo i provvedimenti di espulsione e di rinvio in altri Paesi UE a seguito del Regolamento Dublino, peraltro impraticabili, dato il blocco della mobilità verso l’estero.
L’accesso alla procedura asilo, che secondo le disposizioni del Viminale è ancora possibile, è al momento impedito in gran parte d’Italia, nonostante le raccomandazioni dell’UNHCR e si rischia così di lasciare per strada centinaia di persone che hanno diritto all’accoglienza.
La crisi che ci troviamo ad affrontare evidenzia gli effetti drammatici che potrebbero avere le scelte sbagliate fatte nel recente passato e non solo.
Sarebbe davvero imperdonabile non intervenire con urgenza ed efficacia per invertire questo stato di cose, sia con modifiche legislative possibili nella fase della conversione in legge del decreto sull’emergenza coronavirus, che con provvedimenti amministrativi che riparino i danni provocati dall’egemonia dell’ideologia razzista.
*Responsabile Immigrazione ARCI Nazionale
Fonte: il manifesto
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