In Italia chi difende la natura e il diritto di opporsi alle Grandi Opere inutili e allo svuotamento dei territori viene criminalizzato. Lo scrive Alberto Acosta, uno degli studiosi più critici e autorevoli di quel sistema di rapina della terra e della dignità di chi la abita che in América Latina si è cominciato a chiamare “estrattivismo”. Nelle scorse settimane, Acosta – componente del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura, ex ministro e candidato alla presidenza della Repubblica dell’Ecuador – ha discusso per due intense giornate con la resistenza anti-estrattivista nel Salento: qui trovate i video dell’Associazione Bianca Guidetti Serra. Poi ha scritto un testo di saluto e sostegno ai movimenti italiani che l’8 dicembre manifestano in Puglia contro un sistema che si fonda sullo sfruttamento predatorio delle risorse, la mercificazione dei beni comuni e la violazione dei diritti umani e di tutto quel che vive nel pianeta. Grandi movimenti sono nati in tutto il mondo per fermare i frutti avvelenati e i simboli del “modello estrattivo” e dell’ideologia che lo accompagna. Tra i più rilevanti, in Italia, ci sono quello che proprio l’8 dicembre di 14 anni fa occupò il cantiere del treno ad alta velocità TAV in Val Susa e quello che a Brindisi, da dove parte oggi la manifestazione No Tap, Melendugno e in tutta la Puglia subisce persecuzioni giudiziarie e restrizioni delle libertà perché difende la terra resistendo alla violenza degli interessi predatori in modo esemplare
“Non ci sono amici nel lavoro,
la nostra amicizia è fondata sugli affari“
Don Corleone, Il Padrino
“Non arrenderti, sei ancora in tempo
ad arrivare e ricominciare di nuovo,
accettare le tue ombre, seppellire i tuoi timori,
liberare la zavorra, riprendere il volo “
Mario Benedetti
Nel bel mezzo del dibattito accademico, è successo l’inaspettato. All’Università del Salento – Lecce, Italia – mentre vari di noi stavano relazionando, è accaduto qualcosa di insolito per un paese considerato sviluppato e democratico, oltre che membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite: è stato individuato un agente della “polizia politica“ (DIGOS) ) mentre riprendeva l’evento, nel tentativo di registrare di nascosto i volti dei partecipanti. La protesta di uno degli organizzatori ha momentaneamente interrotto la “Giornata di Studio con Alberto Acosta. É reato difendere la Natura? L’uso asimmetrico del diritto nei conflitti ambientali”. L’eco sulla stampa locale e nei social network non si è fatto attendere. Il rettore dell’università, Fabio Pollice, si è scusato con il sottoscritto, affermando che “questo centro di studi è un luogo aperto a tutti e al libero confronto di idee. Chiunque può partecipare, sempre rispettando il libero confronto delle persone”. E nello stesso tempo assicurando che il suo “impegno sempre sarà di garantire a tutti questa libertà”.
Questo aneddoto (1) rivela come in tutte le parti del mondo la difesa dei diritti della natura – indissolubilmente legati ai diritti umani – comporta rischi, spesso anche gravi. Senza dubbio viviamo in un mondo perverso. Coloro che difendono la vita umana e la natura causano danno agli interessi di potenti gruppi, e perciò stesso vengono perseguitati, criminalizzati, intimiditi e purtroppo persino uccisi. Pertanto, anche se ciò che è accaduto in quel centro universitario non ha conseguenze più gravi, comunque contribuisce a ricordare ciò che le lotte di resistenza e la costruzione collettiva di alternative devono affrontare.
Sappiamo assai bene, nella Nostra America, che gli estrattivismi e le grandi opere infrastrutturali che li accompagnano comportano rischi enormi, poiché la violenza e la corruzione sono elementi intrinseci in quanto condizioni necessarie per la loro realizzazione. Nella nostra America, la persecuzione e la criminalizzazione dei difensori della vita sono pane quotidiano, sebbene i media spesso li ignorino o li minimizzino. I governi progressisti e neoliberisti, allo stesso modo, violano i diritti e indeboliscono la democrazia espandendo gli estrattivismi. Ma non solo l’America Latina vive tali abusi: questi si verificano anche in altre latitudini.
In Italia, è costante la criminalizzazione di coloro che difendono la Natura e i diritti dei suoi difensori, di coloro che si oppongono a grandi opere infrastrutturali e allo svuotamento dei loro territori per aprire le porte a enormi attività di profitto. Esiste un intero sistema che “si basa sull’accaparramento e la finanziarizzazione delle risorse e della terra, in una prospettiva utilitaristica che perpetua valori e azioni sulla base dello sfruttamento ambientale e della violazione dei diritti umani, ignorando il concetto di giustizia climatica e sostenibilità”, come chiaramente affermato in un dettagliato rapporto su questa situazione: Defend the Defenders of the Earth: A dossier on the repression of the salentinian movements (2018), curato dall’avvocato Elena Papadia dell’Associazione Bianca Guidetti Serra e coordinato dal professor Michele Carducci.
I casi sono molteplici. Basti ricordare cosa succede nella penisola salentina, includendo le zone delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. In queste terre si registrano una dopo l’altra complesse emergenze ambientali. Per anni, la centrale petrolchimica ENI e la centrale termoelettrica di Brindisi, l’impianto siderurgico ex ILVA a Taranto, hanno generato discussioni nonché l’opposizione da parte di associazioni locali, movimenti civili che difendono la Terra e – in generale – da parte di difensori dei diritti umani, per le loro gravi violazioni delle leggi ambientali nazionali e internazionali, che causano inquinamento, morte e una crisi sanitaria senza precedenti. E ci sono altri casi, come “Colacem SPA“, una fabbrica di cemento a Galatina (vicino a Lecce), una fabbrica considerata “malsana” dall’Agenzia Europea dell’Ambiente; la costruzione di una grande strada – la “S.S.275” – che collegherebbe rapidamente il sud del Salento con il capo di Santa Maria di Leuca: infrastruttura inutile che recherebbe grande danno al tipico paesaggio salentino.
Un’esperienza degna di nota è la “guerra agli ulivi“, come afferma chiaramente Alessandra Cecchi, membro dell’Associazione Bianca Guidetti Serra. Si tratta del progetto di eradicazione di migliaia di ulivi, anche centenari e millenari, con il pretesto della presenza di un batterio, la Xylella Fastidiosa, a cui è attribuita la causa di una fitopatologia che colpisce gli uliveti del Salento. Un batterio considerato – senza prove convincenti – quale causa del rapido essiccamento degli ulivi. Questo progetto di eradicazione è funzionale alle trasformazioni del territorio per operazioni speculative, sia nel segno del neoliberismo agricolo – che cerca di sostituire la coltivazione tradizionale dell’olivo con impianti superintensivi – sia al fine di creare spazi per il settore immobiliare o per installare infrastrutture energetiche, come gasdotti e grandi estensioni di pannelli fotovoltaici.
L’eradicazione di ulivi secolari imposta con la forza pubblica e con un ampio uso di strumenti repressivi ha trovato una resistenza determinata del “Popolo degli Ulivi”. Con solide argomentazioni questo movimento si oppone all’abbattimento degli ulivi affermando che quella fitopatologia può essere trattata con metodi agroecologici. Il piano adottato dalle istituzioni per
fermare l’emergenza (chiamato “Piano Silletti”) non solo riguardava gli alberi “malati” ma anche tutti gli alberi presenti in un raggio di 100 metri, con un uso massiccio di pesticidi e il conseguente grave rischio per la salute della popolazione locale. La magistratura locale ha bloccato il piano per
mancanza di basi scientifiche e per il suo approccio pericoloso, nonostante ciò gli attivisti sono stati (e continuano a essere) processati. Inoltre, l’accesso alla giustizia, imposto dalla Convenzione di Aarhus, è stato negato agli agricoltori locali che hanno rifiutato la distruzione indiscriminata dei
loro ulivi.
In questa regione esiste un altro caso paradigmatico di criminalizzazione di coloro che difendono la vita: l’esperienza del movimento NO-TAP, ovverosia No al TransAdriatic Pipeline (un gasdotto di 5.000 km, che inizia in Azerbaigian, attraversa la Turchia e la Grecia per entrare nel sud Italia). Questo è un grande esempio di resistenza civile, attivismo e difesa della Terra, così come di repressione e persecuzioni giudiziarie. Dal marzo 2017, quando il gasdotto TransAdriatico ha iniziato a lavorare sul lato italiano del progetto, attivisti, gente comune, associazioni e istituzioni locali hanno denunciato pubblicamente la loro opposizione con metodi pacifici e non violenti.
Dopo un’intensa campagna di discredito da parte dei media locali e nazionali, il governo e le autorità, avvalendosi delle forze di polizia, hanno iniziato a reprimere tutte le manifestazioni e iniziative di opposizione; sono state imposte a decine di attivisti (inclusi anziani, madri, politici locali) pesanti sanzioni monetarie per aver partecipato alle manifestazioni; a 15 attivisti è stato impedito per 3 anni l’accesso a Melendugno o ad alcuni territori della provincia di Lecce: la loro libertà di movimento personale è limitata (sono considerati soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica e, in alcuni casi, soggetti antisociali); dal 13 novembre al 13 dicembre 2017, è stata imposta una zona rossa attorno al cantiere TAP di San Basilio (vicino a San Foca – Melendugno) con il divieto assoluto di accesso o transito a tutta l’area interessata, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia.
La repressione adotta un numero incredibile di procedimenti penali contro gli attivisti al fine di punire a livello legale le loro attività, anche se sono protetti dalla Costituzione. Sono stati anche riportati alcuni episodi di violenza da parte della polizia (ad esempio l’aggressione nei confronti di
un giornalista straniero nell’ottobre del 2017 durante una manifestazione o attacchi contro attivisti feriti dalla polizia nel febbraio e aprile del 2018). Non si tratta solamente di maltrattamenti subiti dagli attivisti in quanto vittime della repressione: non può non provocare indignazione la superficialità di giudici e magistrati locali, da una parte estremamente puntuali nell’indagare e punire gli attivisti, ma non così diligenti nel perseguire allo stesso modo violazioni, comportamenti illegali , abusi da parte della società che realizza il progetto TAP, il governo e altre autorità italiane.
“Il rischio per il nostro sistema democratico è reale e tangibile“, sintetizza la relazione di cui sopra con una motivazione giustificata. Questo caso dell’Italia meridionale non è isolato. Ci sono situazioni simili in altri luoghi, in Italia. Ad esempio, spicca la lotta di varie comunità contro il treno ad alta velocità TAV nella regione della Val Susa. Lì i casi di repressione sono molteplici, come indicato dall’impressionante documentazione del recente libro di Xenia Chiaramonte: “Governare il conflitto – La criminalizzazione del Movimento NO TAV” (2019).
Queste violenze legate agli estrattivismi e alle loro grandi opere di infrastruttura, come accade in tutto il pianeta, hanno consolidato processi di resistenza sempre più forti e intensi. Se la violenza estrattivista emerge in tutto il mondo, così è anche per la resistenza. E in Italia l’8 dicembre donne e uomini difensori della vita scenderanno in piazza per una nuova giornata contro le grandi opere che distruggono i territori in memoria del giorno in cui, 14 anni fa, migliaia di persone occuparono il cantiere del treno ad alta velocità TAV in Val Susa.
Tutto ciò dimostra che non possiamo tacere di fronte ad alcun sopruso – per quanto piccolo possa sembrare – sia per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti, sia per tutti coloro che condividono queste lotte per la vita. Non possiamo tollerare restrizioni né minacce, da qualunque parte provengano, specialmente se cercano di intimidire noi che esercitiamo il diritto di esprimere liberamente le nostre opinioni, e che difendiamo i Diritti Umani e i Diritti della Natura. La libertà di pensiero, di espressione e di azione sono fondamentali per costruire democraticamente società sempre più democratiche.
(1) Quello che è successo quel giorno è solo un piccolo esempio della repressione in quel territorio che resiste alla distruzione ambientale e sociale, come è stato sottolineato in un importante seminario internazionale condotto dai movimenti del Salento e Transnational Institute di Amsterdam nel 2018.
Bottega Equomondo Potenza dice
Ci chiediamo perché non si parli quasi mai della Basilicata stretta tra estrazioni petrolifere e eolico selvaggio (noi abbiamo questa percezione poi magari non sarà così). Oggi i No Triv manifesteranno davanti a Tempa Rossa, il secondo centro oli che apre nel nostra piccola regione, ma crediamo che pochi conoscano quello che succede qui.