La chiamano lotta al traffico, ma è una chiara mistificazione di una politica fatta invece di complicità. I governi europei, e in prima fila Roma, non solo da anni portano avanti quella che più correttamente andrebbe chiamata guerra ai migranti, ma si fanno mandanti di sistematiche violazioni dei diritti.
Lo scorso luglio alla Camera si riuniva la Commissione Esteri e Difesa per discutere sulla Delibera Missioni Internazionali, tra cui la cooperazione con la Guardia Costiera libica inaugurata nel 2017 con la firma del Memoradum di Intesa Italia–Libia. Questo accordo, come ampiamente documentato, si è basato sul coinvolgimento di attori istituzionali corrotti o milizie tout court coperte da prestanome.
In occasione della discussione alla Camera sono stati convocati per un’audizione la giornalista indipendente Nancy Porsia, la prima giornalista a investigare sulla collusione tra attori statali e trafficanti in Libia, e Nello Scavo di Avvenire, che prosegue il lavoro d’inchiesta sulla mafia in Libia. Un passaggio interessante che pareva potesse riaprire un canale di dialogo tra la realpolitik e la politica di tutela dei diritti umani. Tuttavia nell’arco di ventiquattro ore ai due giornalisti è stato comunicato dalla stessa Camera dei Deputati che le loro audizioni venivano annullate. In sostituzione, avrebbero potuto inviare una breve memoria scritta.
In una nota il deputato Riccardo Magi di Europa + Radicali ha spiegato: “In questa situazione è comprensibile l’imbarazzo delle forze di maggioranza che in occasione dell’esame davanti alle commissioni Esteri e Difesa non hanno voluto audire di persone esperte di quella realtà, come ad esempio i giornalisti Nancy Porsia e Nello Scavo, che avrebbero potuto fornire argomenti utili a comprendere meglio i gravi errori che i governi italiani hanno compiuto e che continueranno a fare anche nel prossimo futuro”.
Nonostante il palese tentativo di ridurre il dibattito a un mero passaggio tecnico, privo di un reale approfondimento, Nancy Porsia e Nello Scavo hanno comunque deciso di produrre la memoria nelle modalità indicate, nel rispetto esclusivo della necessità di ricostruire la completezza dei fatti e con la ferma volontà di non lasciare mai nulla di intentato.
[Fulvio Vassallo Paleologo, Adif]
Di seguito la memoria di Nancy Porsia
Egregi Signor Ministri e Onorevoli, innanzitutto vorrei ringraziarViper aver ritenuto necessario ricevere una mia memoria in merito alla Delibera del Maggio 2020 sulle Missioni Internazionali. Al contempo però vorrei esprimere qui il mio rammarico per non aver avuto la possibilità di essere audita in compresenza in commissione Esteri e Difesa, consapevole della forza che un confronto in presenza ha rispetto a una memoria scritta. Come è noto, la mia analisi sulle evoluzioni della guerra in Libiae, di conseguenza, del ruolo delle cancellerie straniere tra cui l’Italia nello stesso conflitto,si discosta dalla narrativa mainstream sul tema. Tuttavia, cosa ben più importante, la mia analisi si discosta da quella proposta dal Governo italiano, che in più occasioni ha sottolineato la necessità di assistere e collaborare con il Governo libico. Procederò qui per gradi.
In prima battuta, io resto fermamente convinta della necessità di assistere le istituzioni libiche, dal Consiglio Presidenziale, alla Assemblea Costituente fino alla Guardia Costiera libica. Io per prima ho denunciato i casi di corruzione tra gli ufficiali della Guardia Costiera libica, facendo nomi e cognomi, e pagando per questo un prezzo relativamente alto. Non entro qui nel merito della mia vicenda personale, ma come voi rappresentanti della Res Publica mi insegnate, il pubblico è privato. Da quando nel 2016 ho denunciato il doppio ruolo svolto da alcuni esponenti della Guardia Costiera libica nel traffico degli esseri umani e il doppio ruolo di alcuni rappresentanti delle istituzioni libiche a capo della sicurezza di asset strategici petroliferi a Ovest di Tripoli, non mi viene concesso il visto giornalistico per il paese nordafricano. Successivamente alle mie denunce riprese dal Gruppo di Esperti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e successivamente ascoltata da diverse procure in Italia e all’estero, comunque il Governo italiano non ha rinunciato a proporre e sottoscrivere il Memorandum of Understanding (MoU) che prevede la massima collaborazione fino alla delega della gestione del contrasto alla immigrazione irregolare alla Guardia Costiera libica di cui, purtroppo, oggi come ieri è d’obbligo mantenere riserve sulla legittimità e legalità. Non è neanche valso a nulla il lavoro svolto dalla sottoscritta e da tantissimi colleghi di documentazione delle condizioni dei migranti nei centri di detenzione libici. Senza voler scomodare quelli illegali che operano in attesa di autorizzazione da parte del Ministero degli Interni di Tripoli, anche nei centri di detenzione gestiti dal Dipartimento per il Contrasto alla Immigrazione Irregolare (DCIM) di Tripoli le condizioni restano disumane. Il contributo offerto da agenzie governative e non poco possono in cui contesto di Stato fallito come quello libico. Parlare di collusione tra pezzi delle istituzioni libiche e trafficanti è un eufemismo. Intervistando trafficanti e ufficiali corrotti in Libia, la versione che si corrobora è solo di overlapping, come si direbbe tecnicamente in inglese, ossia sovrapposizione tra i due network. Inoltre le dinamiche non mutano tra l’Est e l’Ovest del paese, nonostante la Libia già da cinque anni sia divisa in due amministrazioni e compagini politico-militari. La differenza sta solo nella possibilità per la stampa di superare la coltre di propaganda. Sicuramente più facile a Ovest dove ci sono varie lobby che confluiscono in una coalizione a maglie larghe, più complicato nell’Est dove l’amministrazione del Generale Khalifa Haftar è assolutamente improntata sul regime militare e in quella parte del territorio non è di fatto possibile muoversi senza la concessione esplicita del Generale.
Sento la necessità di riportare qui la cornice in cui maturano le informazioni a disposizione della opinione pubblica, o meglio i cittadini elettori che voi rappresentate, da cui by default tocca partire per una discussione seria su quali criteri utilizzare per scegliere i propri interlocutori in Libia. Anche nella chiara prospettiva della salvaguardia degli interessi nazionali nel paese nordafricano. Perché la politica che si autolegittima sulle emergenze perde la visione di insieme, e nel lungo periodo mette a repentaglio gli stessi interessi che prova a tutelare. Ricordo che nel corso dei mie cinque anni di soggiorno in Libia come giornalista, ebbi la possibilità di intervistare rappresentanti del Governo, ufficiali di sicurezza e cittadini comuni. Nonostante le faide interne che già laceravano il territorio, tutti i miei interlocutori erano compatti contro eventuali campi profughi in Libia. È vero che oggi in Libia ci sono centri di detenzione e non campi profughi, e questo è bene ricordarlo. D’altro canto però l’Europa e l’Italia continua imperterrita in questa schizofrenia lessicale alla ricerca di come autolegittimare chiare violazioni alle convenzioni internazionali sui diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. Fino alla fine del 2015 i libici ripetevano che non avrebbero fatto il lavoro sporco per gli Europei fermando i migranti e tendendoli in uno stato di detenzione oltre che irregolare anche a tempo indefinito. Per loro la migrazione irregolare rappresentava una minaccia alla propria sicurezza, perché da Stato fallito erano consapevoli di avere pochi strumenti per tutelarsi da potenziali infiltrazioni da parte delle organizzazioni terroristiche. Comunque erano consapevoli che non era loro compito, o comunque la loro priorità, prevenire il flusso migratorio “indesiderato” verso l’Europa. Evidentemente però gli europei così come gli italiani non hanno rispettato la volontà delle persone per bene in Libia, quei rappresentanti che per alcuni anni hanno avuto il guizzo e il coraggio di immaginare una Libia democratica. Gli europei invece hanno scelto di parlare con quella parte di libici che per un mero tornaconto personale non si fa scrupoli a svendere il proprio Paese.
Lo scellerato accordo tra gli Stati dell’Unione Europea e la Turchia sulla deportazione dei siriani dal territorio Schengen verso un paese extra-europeo, firmato nel marzo del 2016, ha consolidato infine la convinzione di alcuni pezzi delle istituzioni libiche, politici e miliziani, che per ricevere soldi dall’Europa tocca necessariamente “parlare la lingua” degli europei. Ossia farsi carico del flusso migratorio in cambio di sostegno, politico e finanziario. Gli italiani hanno poi suggellato questa collaborazione scellerata proponendo il MoU. nel febbraio del 2017. Dunque alcune milizie libiche, trasversali all’apparato di sicurezza nazionale del paese nordafricano, sono passate strategicamente dal business del traffico, o smuggling dei migranti, al business della gestione e detenzione dei migranti. I sopra citati attori libici hanno accettato il mandato da parte di Bruxelles e di Roma di fare da guardiani d’Europa. Eppure la Libia avrebbe ben altre priorità che guardare le spalle all’Europa, essendo un paese in piena guerra civile dove i propri cittadini non hanno accesso a cure mediche minime, le scuole sono funestate da scioperi del corpo docente per via degli stipendi pagati in ritardo, si ripetono blackout che durano fino a ventiquattro ore, rapimenti di gente comune a scopi estorsivi, bombe e morte.
Premesso questo, entrerò nel merito dell’oggetto all’ordine del giorno per cui sono stata invitata a dare il mio contributo, ossia la missione EUNAVFOR MED Irini. Come dichiarato nel mandato della missione, si tratta, cito testualmente, di una missione militare di gestione di crisi per contribuire a prevenire il traffico di armi nel teatro dell’operazione e nella zona di interesse convenuti, in conformità con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite relative all’embargo sulle armi nei confronti della Libia [UNSCR 1970 (2011) e successive risoluzioni relative all’embargo sulle armi nei confronti della Libia, tra cui UNSCR 2292 (2016) e l’UNSCR 2473 (2019). Tuttavia per capire la vera natura di questa missione, tocca secondo me analizzare l’elenco degli Stati-membro europei che sulla carta hanno preso l’impegno di dispiegare al largo della costa libica i propri mezzi navali. Secondo quanto riportato dalla scheda allegata alla Delibera in esame, sono Italia, Francia e Grecia. Malta invece si sarebbe ritirata già nella fase iniziale dell’operazione. L’elenco è frutto evidentemente di un lavorio diplomatico importante, perché ognuno di questi quattro paesi ha una valenza strategica nella politica europea sulla Libia. L’Italia rivendica la leadership sulla sua ex colonia, dove ancora vanta i più remuneratovi contratti sull’estrazione petrolifera. La Francia è apertamente in competizione con l’Italia sullo scacchiere libico, ma facendo parte del triumvirato europeo, tanto basta a Parigi per imporre la propria linea anche laddove è impegnata in una chiara opera di sabotaggio della politica comunitaria dal primo giorno del processo del dialogo nazionale in Libia, sponsorizzato dalle Nazioni Unite e riconosciuto da Bruxelles, in piena linea con la strategia del Generale Haftar. Infatti sin dall’inizio del processo di dialogo nazionale nel 2014, Haftar è rimasto seduto ai tavoli negoziali per poi di fatto ostacolare la risoluzione diplomatica. Era Novembre del 2014 quando la delegazione di Tripoli avrebbe dovuto imbarcarsi su un volo per Skhirat dove si sarebbero aperti i lavori del processo di dialogo nazionale: poche ore prima del volo diplomatico, le forze di Haftar hanno bombardato l’aeroporto di Maitiqaa Tripoli da cui sarebbe dovuta partire la delegazione. Una campagna di sabotaggio che è rimasta identica a se stessa fino alla Conferenza di Berlino quando poche ore prima dell’inizio dei lavori in Europa, uomini della compagine di Haftar hanno proceduto alla chiusura degli oleodotti nel Paese. Nel frattempo la Francia ha fornito risorse di intelligence e forze speciali al Generale sia nella guerra contro la fazione opposto che si è consumata per due anni a Bengasi sia nell’offensiva lanciata da Bengasi su Tripoli nell’aprile del 2019. Durante l’offensiva di Haftar su Tripoli, fu fermato in convoglio di diplomatici francesi con a bordo armi. Parigi non ha mai commentato la notizia. Tornando sulla composizione delle forze navali Irini, la Grecia rappresenta invece la forza di deterrenza europea sull’accordo siglato tra Tripoli e Ankara sulle esplorazioni di petrolio nel Mediterraneo orientale. Questo bilanciamento di natura diplomatica rischia comunque di non sortire i risultati sperati, soprattutto per l’Italia. Laddove la Francia vede come proprio tornaconto quello di presidiare il territorio che vorrebbe conquistare, la Grecia proteggere gli interessi nazionali che risiedono nel Mar Egeo, l’Italia rischia di soccombere alle priorità degli altri Stati-membro. In primis il doppiogiochismo della Francia rischia di inficiare lo svolgimento dell’operazione a bandiera europea. Infatti Parigi a commento dell’operazione IRINI ha già parlato di “morte cerebrale della Nato”. In seconda battuta, il compito principale dell’operazione EUNAVFOR MED IRINI di contribuire all’attuazione dell’embargo sulle armi imposto dall’ONU nei confronti della Libia resta un proposito di difficile applicazione. Tripoli come Bengasi si approvvigionano di armi anche attraverso vie aeree. Inoltre gli attori internazionali coinvolti nella guerra per procura in Libia e diretti fornitori di armi ai propri alleati libici, hanno de facto facoltà di contravvenire all’obbligo di embargo sulla Libia senza incorrere in sanzioni. La Russia al fianco di Haftar ha trasportato via aerea dalla Siria armi e veicoli militari senza aver ricevuto sanzioni, l’Egitto può trasferire ogni sorta di armamento via terra, e la Turchia ha un corridoio aereo oramai collaudato verso gli aeroporto di Tripoli e Misurata per il rifornimento di armi. Inoltre la stessa missione IRINI ha dovuto incassare nei suoi primi giorni di attività una aperta violazione alle proprie regole di ingaggio. Lo scorso 10 giugno il Cirkin, un cargo con bandiera della Tanzania partito dalla Turchia e scortato da frigate turche, ha rifiutato una ispezione a bordo da parte del personale militare IRINI. L’unico scenario possibile che si profila quindi per l’Italia nel prosieguo della sua partecipazione alla missione europea IRINI, sarebbe l’opposto di quello auspicato. Il multilateralismo europeo, che si può leggere in questo caso anche come schizofrenia europea sulla politica comunitaria in Libia, potrebbe portare ad una scarsa efficienza della missione stessa e al contempo a una serie di incidenti diplomatici su cui poi l’Italia dovrà soccombere sulla scorta del suo conclamato atteggiamento di remissione verso l’interventismo degli altri Stati membri.Fingere oggi che la Libia sia un interlocutore legittimo chiedendo alle nascenti organizzazioni criminali di fare da garante, significa rubare il futuro alle migliaia di giovani libiche e libici che hanno diritto a una opportunità. Avere una visione sul paese, assistere il nascente Stato della Libia addestrando gli apparati della sicurezza, non limitarsi a corsi sui diritti umani prêt-à-porter, significa garantire gli strumenti alla Libia per un processo di autodeterminazione che faccia da base per Governi stabili e duraturi, e al contempo significa investire sul proprio vicino di casa in un’ottica di interesse nazionale italiano.
Con la politica frettolosa dell’Europa, che si è alimentata di campagne elettorali e non di visione sul futuro delle prossime generazione nell’area Mediterranea, l’Europa è riuscita a creare solo l’ennesima emergenza, che va ad aggiungersi a quelle che teoricamente avrebbe dovuto risolvere, facendo patti, in un’ottica machiavellica, con partner libici dalla dubbia legittimità. Le milizie libiche che hanno conquistato terreno nel business della gestione e detenzione del petrolio, detengono, oggi come ieri, il potere di aprire e chiudere il mare alle migliaia di disperati in transito in Libia ma alla ricerca di un futuro migliore in Europa, quindi tenendo sotto scacco, oggi come ieri, l’Europa. Una emergenza interconnessa. Al fallimento della gestione securitaria del flusso migratorio attraverso la Libia, va ad aggiungersi oggi anche l’emigrazione dei libici dalla Libia.
Memoria di Nancy Porsia scritta in data 2 Luglio 2020
Fonte: Adif
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