Caro Marco, ti scrivo e chiedo ai ragazzi di Comune di non correggere il mio italiano… Forse perché questo era un qualcosa che facevi solo tu quando scrivevo degli articoli per il nostro meraviglioso giornale. Ho sempre trovato formidabile che ogni articolo per te fosse una aventura, e mi hai invitato più volte a viverla insieme. Volevi sapere se la traduzione era giusta, se quello che io volevo dire era stato ben interpretato da te, se la tua poesia incontrava la mia … e non c’era dubio che era cosi.
Non mi sono mai sentita così comoda con qualcuno che mi traducesse, era una carezza piena di rispetto e comprensione. Capivi fino in fondo la mia spinta …, condividevi le sofferenze, ma anche le gioie di quello che scrivevo, di essere interprete, traduttrice, ma anche protagonista dei “diversi”, dei migranti, dei rom, dei cittadini del mondo in una terra ostile, fin troppo vecchia per cogliere la meraviglia del nuovo e del metticcio….
La tua partenza repentina ha forse impedito che tornando in Italia dopo un po’ di tempo riuscisi a ringraziarti dalle tante volte nelle quali hai incontrato la mia sensibilità e la mia differenza. Il non essere italiana al 100 per cento radoppiava la sfida per tradurre, ma hai sempre migliorato i mie testi con le tue capacità infinite di narrare la vita degli ultimi, dare forza e senso alle tante battaglie che era proprio quello che volevo imprimere nelle mie parole. Che poi non erano mie, perché noi antropologi ascoltiamo, romanziamo e rimescoliamo le parole degli altri in una grande narrazione universale che non ha tempi, ma che è fatta del senso profondo della vita e dei luoghi. E tu a tua volta prendevi le mie parole e le facevi tue, le rimescolavi perché tutti potessero capire al meglio gli affetti e le emozioni che si provano ad essere nella strada durissima di costruire il presente guardando il futuro. Ho sempre trovato sintonia perché anche tu sapevi che questa strada è piena di ostacoli, ma sopratutto di desideri e segnali inconfondibili che si stia andando nel verso giusto per cambiare questo mondo, quindi bisogna solo sostenerla, narrarla, farla camminare.
Credo di averti ringraziato tante volte, pensavo che alcuni testi dovevamo perfino firmarli entrambi…. Cosi era la tua generosità nel riscrivere le mie parole, ma poi capivo che era il tuo mestiere, che quello che sei stato era proprio quello che volevi e quindi è ovvio, non avevi bisogno di riconoscimenti…. Era semplicemente il tuo posto nel mondo, eri sempre il primo a capire quando un testo, un’idea era giusta, quando era scritta dalla pancia, dall’aggire, dall’indignarsi con l’ingiustizia sociale. Ma eri soprattutto entusiasta di metterti all’opera quando riconoscevi in un testo qualcosa che riusciva a muovere delle corde profonde nella società, una società perfino troppo addormentata per te.
Caro Marco, ti dico grazie adesso, ma so di avertelo detto e dimostrato ogni volta che scrivevi con me quei testi…. Martin sarà fiero di te, a lui un abbraccio… agli altri la pace di averti accompagnato nella tua stradda, quella che hai scelto e nella quale sei stato felice, utile al mondo e un gran compagno per tutti noi.
[Adriana Goni Mazzitelli, Montevideo]
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