Ora è chiaro a molti: le piattaforme per fare scuola alla fine si riducono a carica compiti/scarica compiti, carica lezioni/scarica lezioni. La didattica è per lo più frontale e trasmissiva. E succede che i ragazzi e gli insegnanti non reggono: l’iperconnessione è faticosa. “Forse dobbiamo tutti rallentare un po’. Darci tempo. Darlo anche ai nostri studenti. C’è altro che preme da fuori – scrive Sabina Minuto, insegnante di lettere – Un fuori non solo metaforico. Siamo tutti solo e sempre dentro: dentro una casa, dentro uno schermo. E fuori la lezione della vita invece scorre veloce e su quella magari sarebbe meglio concentrare anche con i ragazzi la nostra attenzione”
È un mese o poco più che siamo a casa. Un mese senza scuola. Senza studenti, senza lezioni. Senza il nostro laboratorio di lettura e scrittura. Inutile negarlo: io mi sento vuota e abbastanza inutile. Cosa vedo? Vedo tanti sforzi encomiabili di tante persone, ma anche tanta confusione, tanta ipocrisia.
Nel mio plesso scolastico lavoriamo tantissimo. Lavoriamo sui contatti. Teniamo in piedi relazioni. Curiamo gli studenti come piantine in un vaso. Ho delle colleghe di sostegno fantastiche che non mollano mai. Rispondiamo a tutti, sempre. Cerchiamo di tenere in piedi una struttura anche se la struttura non c’è più. Per ora.
E appunto. Parliamo di cosa c’era e ora di cosa c’è. C’era “il luogo” per eccellenza. La scuola dove si passano ore con i ragazzi e i ragazzi con noi. C’era l’incontro. Lo sguardo, il rincorrerli nei corridoi, la pacca sulla spalla, la lezione con le consulenze individuali, le letture ad alta voce. C’era un mondo, il mondo in cui si tesse una trama che tiene in piedi la vita di una comunità educante. Tutto questo è sparito. Dopo la botta iniziale ognuno di noi ha cercato di risolvere il problema come poteva. Ognuno con coraggio ha affrontato con i suoi strumenti la situazione. Parlo dei colleghi e degli alunni. Ma quali strumenti? Non è scontato che tutti li abbiano e che tutti lo sappiano usare. Non lo è per nulla. I miei studenti inciampano in problemi banali magari, ma macigni in effetti. E allora? Come devo impiegare il tempo della mia didattica? E soprattutto che didattica devo fare?
Io ho cercato di concentrarmi sul come non sul cosa. Il cosa ha una certa importanza ma infine ai ragazzi arriva qualcosa se io cerco di tenere in piedi una relazione e quindi devo trovare un come che funziona.
Non abbiamo piattaforme. Abbiamo un registro on line. Io non amo questo modo di lavorare. Le piattaforme alla fine si riducono a: carica compiti, scarica compiti, carica lezioni/ scarica lezioni. Pochi sono in grado di farle funzionare a dovere. La didattica rimane inevitabilmente solo frontale e trasmissiva. E questo a me non piace.
Allora ho pensato ad altro. Alle video chiamate. A un canale podcast per condividere racconti e poesie. A qualche applicativo facile anche dal cellulare. Ho provato a mantenere una routine non dico quotidiana ma quasi. Le routine rafforzano l’apprendimento sempre. Ma cosa succede? Succede che i ragazzi non reggono. E nemmeno noi adulti. Perché questa iperconnessione perenne è incredibilmente faticosa. Scopriamo infatti che usare WA per gli affari propri è un conto, ma usarlo per tenere viva una classe di 26 studenti è ben altro.
Mi direte: ma perché usare quel canale? Perché, credetemi, per ora è l’unico che davvero funziona e ci tiene vivi. Come comunità intendo. Se aspettassi le aule virtuali del registro potrei arrivare a giugno. Io non posso lavorare senza contatto. Ed ecco che arriviamo al problema centrale. La scuola educa mettendo al centro l’individuo e le relazioni, non il programma. Se no non avrebbe senso di essere. Non basta dare compiti e correggerli. Perché il contorno che contorno non è ma è distanza, si perde.
Così ora dopo un mese faccio i primi bilanci. Sono soddisfatta? No. Per niente. Non mi sento in colpa ma c’è tanto da capire e tanto da fare.
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Forse da questo tempo sospeso usciranno nuove idee di scuola e nuove didattiche. Forse dobbiamo tutti rallentare un po’. Darci tempo. Darlo anche ai nostri studenti. C’è altro che preme da fuori. Un fuori non solo metaforico. Siamo tutti solo e sempre dentro: dentro una casa, dentro uno schermo. E fuori la lezione della vita invece scorre veloce e su quella magari sarebbe meglio concentrare anche con i ragazzi la nostra attenzione.
Forse dovremmo e potremmo parlare con loro di come fare scuola al tempo del Covid 19. Di che cosa si aspettano da noi. Io domani inizierò una lezione così. Con questa domanda. E poi vedremo come va.
Sabina Minuto, insegnante di lettere all’IPSIA di Savona, ha creato un laboratorio di letteratura e teatro sociale in classe.
Rossana dice
Sabina sei una grande ti ho conosciuta in un corso di scrittura creativa…e ora il tuo pensiero è anche il mio. Grazie Rossana
Stefania dice
Sabina io trovo tutto quello che tu hai detto nella piattaforma Weschool, un contatto visivo, atto a non perdere quel poco che ci resta di relazione con i nostri alunni. Grazie x il tuo articolo
Laura Fersini dice
Ero molto preoccupata per una didattica che “rimane inevitabilmente solo frontale e trasmissiva”, come tu dici; ma tu mi hai dato una speranza. La tua proposta finale può creare le condizioni perché siano i ragazzi a porre domande ai professori; e se questo resterà come metodo il periodo di isolamento non sarà passato invano.
Grazie, Sabina.
Alessia dice
Sono curiosa di sapere cosa hanno risposto i ragazzi 🙂
Luciana Farneti dice
Concordo con l’utilizzo scorretto e ossessivo delle piattaforme. Spezzo una lancia a favore del “buon fine”, per cui molti docenti stanno rincorrendo l’impossibile. Personalmente mi collego in video con 18 bambini di terza primaria, per loro richiesta; una necessità di mantenimento della normalità a cui aderisco con entusiasmo. No, interrompere non lo ritengo al momento efficace.
Gio dice
Hai perfettamente ragione. Cambio di passo. Non dirr hai fatto la scheda bene/male. Come ti sei sentito? Come ti senti? Cosa vuoi dirci?