Il governo del Messico incassa gli elogi dei vati dell’economia mondiale e vanta il dinamismo delle sue tre grandi riforme: quella contro gli insegnanti, quella per sottrarre al paese il controllo delle risorse energetiche e quella per aumentare le entrate fiscali senza sfiorare i pilastri di una finanza pubblica ultraliberista. La quarta riforma, però, quella più importante e rovinosa, non suscita alcun interesse nei media nazionali e internazionali. È l’espropriazione della possibilità di autoprodurre il cibo, il mais e la sua cultura in particolare, vale a dire il simbolo di una storia millenaria e della resistenza campesina
di Gustavo Esteva
Le riforme non sono quello che affermano di voler essere. Per nascondere il loro vero carattere e sconfiggere quelli che vi resistono sono state preparate come campagne di propaganda più che come atti di governo. Mentre l’attenzione del pubblico resta intrappolata in questo gioco mediatico, la più grave e dannosa di queste presunte riforme avanza silenziosamente: la rapina alimentare, la liquidazione del nostro mais e della cultura che ci consente di continuare a essere quelli che siamo.
Non vengono riformate l’educazione, il settore energetico e la finanza pubblica. Si spogliano gli insegnanti di alcuni dei loro diritti e si aumenta il controllo burocratico dell’educazione per poter continuare a smantellarla; si defrauda il paese di una parte delle entrate petrolifere e del controllo delle proprie riforme energetiche per continuare a smantellare Pemex (la società petrolifera statale, ndt) e si modifica il sistema fiscale per aumentare marginalmente la riscossione senza toccare i problemi strutturali delle finanze pubbliche.
Tutto questo, è chiaro, a beneficio di alcuni.
La politica anticontadina adottata dal governo a partire dal dopoguerra sta arrivando al suo punto finale. La convinzione radicata nelle élites è che il paese non potrà modernizzarsi pienamente finché così tanti campesinos e indigeni resteranno legati alla terra. Devono esserne espulsi. Questa politica insensata, che utilizza le fondamenta dell’edificio per costruire il tetto, ha prodotto danni immensi. Una delle sue conseguenze più gravi è la politica orientata a distruggere la cultura del mais in tutti i suoi aspetti.
Attualmente si sta preparando il colpo finale, ancor più grave di quello del 1992, allorché venne riformato l’articolo 27 per gettare gli ejidos (ejido, cioè il particolare regime di proprietà comune della terra, ndt) nel mercato delle terre. Le autorità sono sul punto di approvare autorizzazioni per coltivare il mais transgenico in due milioni e mezzo di ettari.
Possiamo per un momento trascurare l’acceso dibattito sul danno intrinseco di questo tipo di mais. Ciò che più interessa è il disastro che provocherà. Queste coltivazioni contamineranno almeno cinque milioni di ettari nei quali può prosperare solo il mais criollo, quello adattato a certe nicchie ecologiche particolari attraverso millenni di selezione. Estendendovi il mais transgenico, cesserebbe la possibilità di produrvi mais (criollo, ndt). Quello transgenico potrà essere coltivato nell’agricoltura commerciale e in zone appropriate ma non possiede le caratteristiche dei mais criollo adatte a quelle nicchie.
Rendendo impossibile seminare mais in quei milioni di ettari, i contadini si vedranno obbligati a abbandonarle. Si scopre così la ragione dell’operazione. Si potrà compiere più facilmente quella espropriazione di terre che è stata tentata con altri provvedimenti e che incontra una resistenza crescente.
Silvia Ribeiro ha mostrato alcuni giorni or sono, su queste pagine (La Jornada, 11.09.13) l’importanza dei contadini. Ha mostrato che la catena industriale degli alimenti controlla il 70 per cento delle terre, dell’acqua e dei concimi agricoli ma che ciò che produce arriva solo al 30 per cento della popolazione mondiale. Il restante 70 per cento di essa si alimenta di ciò che producono i contadini.
Victor Quintana, da parte sua, ha mostrato che le azioni in corso sono volte a porre la coltivazione del mais sotto il controllo delle multinazionali e in particolare della Monsanto (La Jornada, 27/9/13). Questa operazione incontra crescenti difficoltà negli Stati uniti a causa di un movimento cittadino sempre più cosciente di ciò che essa significa. Oggi probabilmente nel senato statunitense si lascerà morire la legge di protezione della Monsanto, introdotta con sotterfugi in marzo. Per questo l’azienda intensifica le sue azioni in paesi come il Messico, dove ha trovato autorità compiacenti.
Dieci anni or sono la gravità dei danni causati dalla politica ufficiale provocò la campagna Sin maíz no hay país. Senza il mais non esiste il paese, che è tuttora in corso. Essa ha contribuito ad accrescere la coscienza delle persone sulle conseguenze di questa politica, come ha dimostrato ieri con chiarezza la celebrazione della Giornata nazionale del Mais. Contemporaneamente, si estende ovunque la consapevolezza di ciò che significa la minaccia dei transgenici. Mentre si allarga poco a poco nel mondo la proibizione del loro impiego, il governo messicano si mostra invece deciso a promuoverlo.
Ha senso, senza alcun dubbio, esprimere il rifiuto più radicale delle disposizioni che vengono presentate come “riforme” e promettono l’esatto contrario di ciò che provocano in realtà. Tuttavia non si sta dando sufficiente importanza al caso del mais e ai campesinos. In definitiva, seppure con molte difficoltà, potremmo vivere senza petrolio e senza educazione. Ma non possiamo vivere senza alimenti. Se si continuerà a distruggere la nostra capacità di produrli, si creerà la peggiore delle dipendenze, quella dello stomaco, una minaccia reale, quasi compiuta, contro la quale dobbiamo reagire.
Fonte: La Jornada
Traduzione a cura di «Camminar domandando».
La rete nazionale messicana in difesa del mais
Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.
Gli altri articoli di Gustavo Esteva su Comune-info li trovate QUI.
La Cuarta
Las “reformas” no son lo que pretenden ser. Para esconder su carácter y vencer a quienes las resisten se han montado como campañas de propaganda, más que como actos de gobierno. Mientras la atención pública se ve atrapada en ese juego mediático, avanza sigilosamente la más grave y dañina de las supuestas reformas: el despojo alimentario, la liquidación de nuestro maíz y de la cultura que nos permite seguir siendo quienes somos.
No se reforma la educación, el sector energético y la hacienda pública. Se despoja al magisterio de algunos de sus derechos y se aumenta el control burocrático de la educación para seguir desmantelándola; se despoja al país de una parte de la renta petrolera y del control de sus recursos energéticos, para seguir desmantelando Pemex, y se ajusta el régimen fiscal para aumentar marginalmente la recaudación sin tocar los problemas estructurales de la hacienda pública. Todo ello, es claro, al servicio de unos cuantos.
La política anticampesina adoptada por el gobierno a partir de la posguerra está llegando a su extremo. La convicción invariable de las élites es que el país no podrá modernizarse cabalmente mientras tantos campesinos e indígenas permanezcan en el campo. Hay que expulsarlos de ahí. Esta política insensata, que utiliza los cimientos para construir el techo, ha causado inmensos daños. Una de sus expresiones más graves es la política orientada a socavar la cultura maicera en todos sus aspectos.
Se prepara actualmente el golpe final, aún más grave que el de 1992, cuando se reformó el artículo 27 para lanzar el ejido al mercado de tierra. Las autoridades están a punto de aprobar permisos para cultivar maíz transgénico en dos y medio millones de hectáreas. Podemos dejar aquí de lado el intenso debate sobre el daño intrínseco de ese tipo de maíz. Lo que más importa es la catástrofe que provocará. Esas siembras contaminarían al menos 5 millones de hectáreas en que sólo pueden prosperar los maíces criollos adaptados a diversos nichos ecológicos a través de milenios de selección. Al extenderse en ellos el transgénico, dejaría de ser posible producir ahí maíz. El transgénico se cultivará en la agricultura comercial y en zonas apropiadas, pero no tiene las cualidades de los maíces criollos para aquellos nichos.
Al hacerse imposible sembrar maíz en esos millones de hectáreas, los campesinos se verían obligados a abandonarlas. Se revela así la razón de la maniobra. Podría realizarse más fluidamente el despojo de tierras que se ha estado intentando mediante concesiones y encuentra creciente resistencia.
Silvia Ribeiro mostró hace unos días, en estas páginas, la importancia de los campesinos ( La Jornada, 21/9/13). Hizo ver que la cadena industrial de alimentos controla 70 por ciento de la tierra, el agua y los insumos agrícolas, pero lo que producen sólo llega a 30 por ciento de la población mundial. El restante 70 por ciento se alimenta de lo que producen los campesinos.
Víctor Quintana, por su parte, mostró que las acciones actuales intentan poner el cultivo del maíz bajo control de las trasnacionales y en particular de Monsanto ( La Jornada, 27/9/13). La empresa enfrenta crecientes dificultades en Estados Unidos, por un movimiento ciudadano cada vez más consciente de lo que su operación significa. El día de hoy, probablemente, se dejará morir en el Senado la “ley de protección de Monsanto”, introducida de trasmano en marzo. Por eso la empresa intensifica sus acciones en países como México, donde encuentra autoridades complacientes.
Hace 10 años, la gravedad de los daños causados por la política oficial impulsó la campaña Sin maíz no hay país que perdura hasta hoy. Ha contribuido a profundizar la conciencia de las consecuencias de esa política para el país, que se manifestó con claridad el día de ayer al celebrarse el Día Nacional del Maíz. Igualmente, se profundiza en todas partes la conciencia de lo que significa la amenaza de los transgénicos. Mientras se extiende paulatinamente por el mundo la prohibición de su empleo, el gobierno mexicano se muestra decidido a impulsarlo.
Tiene sentido, sin duda, expresar rechazo radical a las disposiciones que se presentan como “reformas” y prometen lo contrario de lo que realmente provocan. Pero no se está dando suficiente importancia al caso del maíz y los campesinos. En último término, así fuese con muchas dificultades, podríamos vivir sin petróleo y sin educación. Pero no podemos vivir sin comida. Si se sigue destruyendo nuestra capacidad de producirla se habría creado irresponsablemente la peor de las dependencias, la del estómago, lo que es una amenaza real, casi cumplida, contra la que es indispensable reaccionar.
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