Almeno 700 migranti sono annegati negli ultimi due mesi sulla rotta del Mediterraneo centrale. Le controverse autorità della Libia non hanno raggiunto in tempo le zone da cui erano partite le chiamate di soccorso, oppure hanno comunicato di non avere i mezzi per poter intervenire. Non possiamo abituarci a questo stato delle cose. L’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare è assoluto e impone che gli stati ai quali sia riconosciuta una competenza SAR abbiano le capacità organizzative e di coordinamento, oltre agli assetti navali ed aerei necessari per garantire il rispetto di questo fondamentale diritto umano. Le regole fissate dall’UNHCR e dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare sono chiare. Il regime delle zone di ricerca e salvataggio in acque internazionali non va confuso con quello delle acque territoriali. L’affidamento della potestà di intercettazione in alto mare conferita alle autorità libiche, con il riconoscimento di una zona SAR “libica” e la cessione sistematica alle autorità di Tripoli del ruolo di Centrale di coordinamento SAR (MRCC) competente, non può comportare alcuna interdizione alle attività di soccorso svolte da mezzi di diversa bandiera, con una modifica del regime di sovranità sulle acque internazionali, come invece pretendono i libici, che minacciano la libera navigazione anche al di fuori delle loro acque territoriali e impediscono l’adempimento tempestivo degli obblighi di salvataggio da parte delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative. Un appello della redazione di Associazione Diritti e Frontiere alle Nazioni Unite, all’Imo, alla Commissione Europea e ai governi europei
della redazione di ADIF
Dal 28 giugno scorso nei data base IMO (Organizzazione marittima delle N.U.) e’ apparsa una zona SAR libica, dopo che per mesi la cd. Guardia costiera libica risultava coordinata da unità militari di un altro paese (l’Italia). Nessuno però ha controllato quale sia l’effettiva capacità di soccorso della cd. Guardia costiera di Tripoli, e chi oggi ne coordini davvero le missioni. La istituzione di una Centrale di coordinamento delle operazioni SAR a Tripoli (MRCC) rimane ancora avvolta in un alone di segreto, e non è chiaro neppure quale sia il ruolo attuale di coordinamento e di assistenza affidato ai mezzi della Marina militare italiana che si alternano nel porto di Tripoli, nell’ambito della missione NAURAS. Tra le attività di supporto della Caprera nave della missione italiana a Tripoli rientrava fino al 28 giugno scorso anche “l’importante compito di aiutare i libici a interfacciarsi con la Centrale operativa della Guardia costiera a Roma che coordina le operazioni di ricerca soccorso nel Mediterraneo centrale”.
La linea di condotta ufficiale dell’Italia, a partire dalla istituzione di una zona SAR “libica”, sembra adesso mutata ed alla fine di giugno è chiarita da un messaggio “circolare, di carattere tecnico-operativo” della Guardia costiera italiana. Secondo questo messaggio, “nell’evenienza in cui al Centro di coordinamento di Roma della guardia costiera pervenga da una imbarcazione una richiesta di soccorso in area Sar (Search and rescue) libica, cioè nelle acque di Ricerca e soccorso della Libia, un’area fuori dall’area Sar italiana, le autorità competenti sono quelle libiche e sono loro quelle con cui coordinarsi”.
La individuazione di una zona SAR di competenza, effetto della “notifica” inviata alla fine di giugno da Tripoli all’IMO, non fa diventare uno stato “paese terzo sicuro”. La Libia non è un paese terzo sicuro. La delimitazione delle zone SAR ha importanti conseguenze nella successiva assegnazione, da parte delle autorità nazionali competenti, di un POS (Place of safety), di un “porto sicuro di sbarco”, che non deve essere necessariamente quello più vicino. Non si vede come si possa riconoscere una zona SAR libica ed ammettere che i naufraghi soccorsi in acque internazionali possano essere riportati indietro in Libia, quando emerge da tempo, anche nell’attività della magistratura italiana, che la Libia non garantisce luoghi sicuri di sbarco,
Da tempo i rappresentanti di Frontex e della missione Eunavfor Med, escludono che i migranti soccorsi in acque internazionali possano essere ricondotti in Libia o in Tunisia. “Come ha tenuto a precisare Izabella Cooper, portavoce di Frontex, ( http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/564897/Soccorso-migranti-approdo-in-un-porto-sicuro-o-porto-vicino-Dubbi-su-Themis) se esiste una precisa differenza tra “porto sicuro” e “porto più vicino”, rimangono espressamente esclusi i due Paesi extra-Unione Europea interessati dai flussi migratori, la Libia e la Tunisia, per via delle violazioni dei diritti umani e dell’assenza di un sistema di asilo. Tuttavia, non è del tutto escluso che i migranti possano essere portati in Libia e Tunisia, come d’altronde già accade.” Le ultime posizioni di Frontex lasciano infatti aperta la possibilità di una più intensa collaborazione con la Guardia costiera “libica”, ed indicano alle ONG la necessità di riconoscere il nuovo ruolo di coordinamento della centrale MRCC di Tripoli con riguardo agli interventi di soccorso nella zona SAR libica “notificata” all’IMO alla fine di giugno.
Malgrado sia stata destinataria di una intensa attività diplomatica, rimane il fatto che la Libia, meglio le diverse autorità libiche, non hanno mai aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nessun paese nordafricano riconosce il diritto di asilo nella sua pienezza, attribuendo altresì ai titolari di protezione uno status legale che gli permetta di muoversi e lavorare ( con eccezioni per categorie ristrette di rifugiati, paese per paese a seconda dei rapporti politici internazionali). Nonostante la notificazione all’IMO di una zona SAR “libica”, la Libia, meglio nessuno dei diversi governi che si contendono i poteri di uno stato ancora diviso in fazioni e tribù, garantisce ancora oggi interventi SAR tempestivi e porti sicuri di sbarco. Lo ha ricordato alle autorità italiane anche l’Unione Europea.
In tale contesto le navi delle ONG, peraltro diminuite di numero causa l’abbandono di diverse organizzazioni, per non operare in un contesto caratterizzato dalla violenza sistematica delle autorità libiche, hanno dovuto arretrare il proprio raggio d’azione, ritirandosi oltre le 24 miglia dalle coste libiche (cioè oltre la presunta zona contigua, nella quale la minaccia dell’aggressione delle autorità di Tripoli è più pressante). Le poche imbarcazioni delle ONG ancora operative sono esposte anche all’arbitrio dei governi europei che, senza adottare provvedimenti formali, chiudono i loro porti, impediscono rifornimenti e sbarchi, allungano le rotte di rientro, e impongono in questo modo di allontanarsi dalla zona dei soccorsi, riducendo il potenziale di mezzi disponibili e quindi aumentando il rischio di morte per chi si trova in barconi sovraccarichi sulla rotta del Mediterraneo centrale.
Viene persino impedito di prestare soccorso delegando alle autorità “libiche” di Tripoli, ormai titolari di una zona SAR “notificata” all’IMO, compiti di coordinamento che evidentemente non sono in grado di gestire, e spesso non rimane che assistere ai respingimenti delegati alla Guardia costiera “libica” o a mezzi commerciali. Da ultimo un’ imbarcazione battente bandiera italiana, il rimorchiatore ASSO 28, il 30 luglio scorso, ha dovuto riconsegnare alle autorità libiche, nel porto militare di Abu Sittah, decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali, perché le autorità italiane e maltesi hanno negato la loro competenza, proprio sulla base della notifica di una zona SAR libica all’IMO, da parte del governo di Tripoli.
Le intese bilaterali, e le dichiarazioni inerenti le zone di ricerca e salvataggio (SAR), non possono stravolgere le regole del soccorso in mare sancite dalla Convenzione ONU (UNCLOS) di New York del 1982, dalla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, e dalla Convenzione SOLAS del 1974 . Le norme internazionali sui soccorsi in mare e la stessa individuazione di zone di ricerca e salvataggio non possono essere strumentalizzate per impedire i soccorsi alle ONG, in modo da eludere il fondamentale principio della salvaguardia della vita umana in mare, ed il principio di non respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra.
L’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare è assoluto e impone che gli stati ai quali sia riconosciuta una competenza SAR abbiano le capacità organizzative e di coordinamento, oltre agli assetti navali ed aerei necessari per garantire il rispetto di questo fondamentale diritto dell’Uomo.Le regole fissate dall’UNHCR e dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare sono chiare e tutti dovrebbero applicarle, senza tentativi di aggiramento delle competenze SAR.
Il regime delle zone di ricerca e salvataggio in acque internazionali non va confuso con quello delle acque territoriali. L’affidamento della potestà di intercettazione in alto mare conferita alle autorità libiche, con il riconoscimento di una zona SAR “libica” e la cessione sistematica alle autorità di Tripoli del ruolo di Centrale di coordinamento SAR (MRCC) competente, non può comportare alcuna interdizione alle attività di ricerca e soccorso svolte da mezzi di diversa bandiera, con una modifica del regime della sovranità sulle acque internazionali, come invece pretendono i libici, che minacciano la libera navigazione anche al di fuori delle loro acque territoriali e impediscono l’adempimento tempestivo degli obblighi di salvataggio da parte delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative.
Quanto è avvenuto dopo la notificazione di una zona SAR libica all’IMO a Londra, con conseguente inserimento di tale zona di ricerca e salvataggio nei data base dello stesso organismo, conferma i timori espressi da anni dalle Organizzazioni non governative sulla incertezza delle regole e dei protocolli operativi di intervento che possano garantire il soccorso più sollecito in alto mare e lo sbarco in un porto sicuro (place of safety) come imposto dalle Convenzioni internazionali. Anche se il numero delle persone fuggite dalla Libia è fortemente calato, si registra un preoccupante aumento percentuale delle vittime in mare, quasi una persona su sette, che vengono fatte partire da organizzazioni criminali sempre più crudeli, annega nel tentativo di raggiungere l’Europa.
A fronte delle conseguenze che ha avuto negli ultimi mesi la “notifica” di una zona SAR libica all’IMO, questa organizzazione non può rispondere che si limita a curare soltanto l’inserimento delle notifiche nel suo sistema informatico, senza però “riconoscere” l’esistenza di una vera zona SAR, che dovrebbe richiedere la preventiva verifica che lo stato competente rispetta gli standard internazionali previsti per il riconoscimento delle zone SAR e per la individuazione di porti sicuri di sbarco.
Negli ultimi due mesi, sulla rotta del Mediterraneo centrale, sono annegati oltre 700 migranti, ed in diverse occasioni le autorità libiche non sono arrivate in tempo sui luoghi delle chiamate di soccorso, oppure hanno fatto sapere di non avere i mezzi per intervenire, o di rivolgersi ad altre autorità SAR, rendendo di fatto impossibile concludere le operazioni di ricerca e salvataggio (SAR), come è successo nel caso ancora aperto, documentato dalla Aquarius della Organizzazione non governativa SOS Mediterraneè.
Per queste ragioni chiediamo all’IMO di sospendere al più presto l’inserimento nei suoi data base di una zona SAR “libica” per la evidente inadeguatezza dei mezzi a disposizione dalle autorità di Tripoli e la persistente carenza di formazione, per garantire la effettiva salvaguardia della vita umana in mare. Come del resto già verificato alla fine dello scorso anno, quando la notifica di una propria zona SAR, inoltrata dalla Libia all’IMO nel luglio del 2017 veniva ritirata. Non saranno certo le piccole imbarcazioni di soccorso promesse dall’Italia che risolveranno il problema del salvataggio delle vite umane nella vastissima zona SAR “libica” appena costituita. Come non sarà certo una maggiore dotazione della Guardia costiera “libica” a rendere più sicuri i porti di sbarco, seppure in alcuni di questi siano presenti l‘UNHCR e l‘OIM. Che però non possono rispondere della sorte dei migranti dopo i primi trasferimenti a terra. La Libia, nelle sue diverse regioni governate da autorità diverse ed in conflitto tra loro, rimane un paese “non sicuro”, privo di place of safety di sbarco e di una Centrale operativa di soccorso (MRCC) in grado di intervenire in tutta la zona SAR per la quale le verrebbe attribuita adesso la competenza.
Chiediamo di conseguenza il ripristino delle competenze di coordinamento delle attività SAR già assolto, come prassi internazionalmente riconosciuta, dal Comando Centrale della Guardia Costiera italiana (IMRCC), tenuta ad intervenire in quelle zone SAR contigue a quella italiana, quando non vi siano altre autorità in grado di garantire effettivamente la salvaguardia della vita umana in mare.
Chiediamo che alla nave Aquarius della ONG SOS Mediterraneè venga assegnata al più presto una autorità coordinatrice (MRCC) dell’intervento SAR in corso, con la indicazione di un porto sicuro di sbarco, che non può essere nè in Libia, nè in Tunisia.
Chiediamo anche un coordinamento SAR tra autorità italiane e maltesi, previsto dalle Convenzioni internazionali, al fine di evitare altri conflitti di competenza che possano ritardare i soccorsi e causare altre vittime, come già verificato in passato. A tutti i migranti soccorsi in acque internazionali sulla rotta del Mediterraneo centrale deve essere assicurato un porto sicuro di sbarco (place of safety) nel più breve tempo possibile. Non si possono “chiudere” i porti italiani solo per le ONG che hanno soccorso naufraghi in acque internazionali.
Chiediamo altresì alla Commissione Europea, ai responsabili delle missioni Themis di Frontex ed Eunavfor Med, di solgere le attività SAR, in conformità ai Regolamenti n.656 del 2014 e n.1624 del 2016, fino a 138 miglia a sud di Lampedusa e Malta, come era stato deciso dalla Commissione Europea dopo la tragedia del 18 aprile 2015, la più grande strage del Mediterraneo, con oltre 800 morti. I singoli stati UE non hanno competenze autonome per modificare unilateralmente le regole di gestione delle zone SAR nelle quali operano gli assetti navali ed aerei europei.
Perchè altre stragi non continuino a ripetersi, nel rispetto del diritto internazionale, occorre adottare regole chiare e generalmente condivise sulla ripartizione delle zone di ricerca e salvataggio e sulla correlata individuazione dei place of safety (POS) di sbarco. Un primo passo in questa direzione potrà essere costituito da una chiara presa di posizione da parte dell’IMO sulla ripartizione delle zone SAR nel Mediterraneo centrale.
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(traduzione provvisoria)
AN APPEAL TO THE UNITED NATIONS, THE IMO, THE EUROPEAN COMMISSION AND THE EUROPEAN GOVERNMENTS
Since June 28th, in the IMO (Maritime Organization of the U.N) database, a Libyan SAR area has appeared, after the so-called Libyan Coast Guard was coordinated by military units from another country (Italy). But no one has checked the actual rescue capacity of the Coast Guard of Tripoli, and who today really coordinates the missions. The establishment of a SAR Operations Coordination Center in Tripoli (MRCC) is still shrouded in secrecy, and it is also unclear what the current role of coordination and assistance entrusted to the Italian Navy’s means alternates in the port of Tripoli, as part of the NAURAS mission.
Despite the IMO notification of a “Libyan” SAR area, Libya, better any of the different governments that share the powers of a state still divided into factions and tribes, still guarantees timely SAR interventions and safe harbours.
In this context, the NGOs’ ships, which in any case have diminished in number due to the abandonment of various organizations, withdraw their range, beyond 24 miles from Libyan shores The few boats of the NGOs still operational are also exposed to the will of European governments that, without taking formal measures, close their ports, prevent supplies and landings, lengthen the return routes, and in this way impose to move away from the SAR area , reducing the potential of available means and therefore increasing the risk of death in overloaded boats on the Central Mediterranean route.
Lastly, a boat flying the Italian flag, the tugboat ASSO 28, on July 30th, had to return to the Libyan authorities, in the military port of Abu Sittah, dozens rescued in international waters, because the Italian and Maltese authorities denied the their jurisdiction, precisely on the basis of the notification of a Libyan SAR zone to the IMO, by the government of Tripoli.
Bilateral agreements, and declarations concerning the search and rescue zones (SAR), can not overturn the rules of rescue at sea sanctioned by the UN Convention (UNCLOS) of New York of 1982, the Hamburg Convention SAR of 1979, and the SOLAS Convention of 1974. International rules on rescue at sea and the identification of search and rescue areas can not be exploited to prevent NGO relief, in order to circumvent the fundamental principle of safeguarding human life at sea, and the principle of non-refoulement affirmed art. 33 of the Geneva Convention.
The obligation to safeguard human life at sea is absolute and requires that states with a recognized SAR competence have the organizational and coordination skills, in addition to the naval and air structures necessary to guarantee respect for this fundamental human right. The rules set by the UNHCR and the International Conventions on the Law of the Sea are clear and everyone should apply them, without attempts to circumvent the SAR skills.
For some time, representatives of Frontex and the Eunavfor Med mission have excluded that migrants rescued in international waters can be brought back to Libya or Tunisia. “As Frontex spokesman Izabella Cooper pointed out, if there is a precise difference between” safe harbor “and” nearest port “, the two non-EU countries that are affected by migratory flows, Libya and Tunisia, are expressly excluded , due to violations of human rights and the absence of an asylum system. However, it is not entirely excluded that migrants can be taken to Libya and Tunisia, as is already the case. “Frontex’s latest positions in fact leave open the possibility of a more intense collaboration with the” Libyan “Coast Guard, and they indicate to NGOs the need to recognize the new coordinating role of the Tripoli MRCC plant with regard to relief interventions in the Libyan SAR area “notified” to the IMO at the end of June.
The regime of search and rescue zones in international waters should not be confused with that of territorial waters. The assignment of the high seas interception powers conferred on the Libyan authorities, with the recognition of a “Libyan” SAR zone and the systematic transfer to the authorities of Tripoli of the role of the competent SAR Coordination Center (MRCC), can not entail any interdiction to search and rescue activities carried out by vehicles of different flags, with a modification of the sovereignty regime on international waters, as the Libyans claim, which threaten free navigation even outside their territorial waters and prevent the timely fulfillment of rescue obligations by non-governmental organizations.
In view of the consequences that the “notification” of a Libyan SAR area has had on the IMO in recent months, this organization can not answer with the inclusion of notifications in its IT system, without however “recognizing” existence of a true SAR area, which should require prior verification that the competent state complies with the international standards established for the recognition of the SAR areas and for the identification of safe harbours (place of safety).
Over the past two months, more than 700 migrants have been drowned on the route of the Central Mediterranean, and on several occasions the Libyan authorities have not arrived in time on the places of distress calls, or have made it known that they have no means to intervene, or contact other SAR authorities, making it impossible to conclude the search and rescue operations (SAR), as happened in the case still open, documented by the Aquarius of the non-governmental organization SOS Mediterraneè.
For these reasons we ask the IMO to suspend as soon as possible the insertion in its databases of a “Libyan” SAR zone due to the evident inadequacy of the means available by the Tripoli authorities and the persistent lack of training, to ensure effective protection of human life at sea. As already occurred at the end of last year, when the notification of its own SAR area, forwarded by Libya to the IMO in July 2017 was withdrawn. It will not be the small rescue boats promised by Italy that will solve the problem of saving lives in the vast area of the newly established “Libyan” SAR. As it will certainly not be a greater endowment of the “Libyan Coast Guard” to make the landing ports safer, even if in some of these the UNHCR and the IOM are present. But that can not follow the migrants after the first transfers on land. Libya, in its various regions governed by different authorities and in conflict with each other, remains an “unsafe” country, with no place of safety for disembarkation and a rescue operations center able to intervene throughout the SAR area.
We demand the reinstatement of the coordination skills of the SAR activities already fulfilled, as an internationally recognized practice, by the Central Command of the Italian Coast Guard (IMRCC), required to intervene in those SAR areas contiguous to the Italian one, when there are no other authorities in able to effectively guarantee the protection of human life at sea.
We ask that the Aquarius ship of the NGO SOS Mediterraneè be assigned as soon as possible a coordinating authority (MRCC), with the indication of a safe haven of landing, which can not be either in Libya, or in Tunisia.
We also ask for an SAR coordination between Italian and Maltese authorities, provided for by the international Conventions, in order to avoid other conflicts of competence that may delay the relief and cause other victims, as already verified in the past. All migrants rescued in international waters on the central Mediterranean route must be assured of a safe haven (place of safety) as soon as possible.
We also ask the European Commission, the heads of the Themis missions of Frontex and Eunavfor Med, to extend the SAR activities, in compliance with Regulations n.656 of 2014 and n.1624 of 2016, up to 138 miles south of Lampedusa and Malta, as was decided by the European Commission after the tragedy of April 18, 2015, the largest massacre in the Mediterranean, with over 800 dead. The EU states do not have autonomous competences to unilaterally modify the management rules of the SAR areas in which the European naval and air structures operate.
Because other massacres do not continue to repeat, clear and generally shared rules should be adopted on the allocation of search and rescue areas and on the related identification of place of safety (POS) of landing. A first step in this direction could be a clear position taken by the IMO on the allocation of the SAR areas in the central Mediterranean.
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