Hanno messo in comune molti pensieri e tanta tristezza, la capacità di mettersi nei panni degli altri ma anche, grazie alle loro maestre, un’illuminante filastrocca di Bruno Tognolini. Di fronte alla vicenda della donna dell’autobus che non voleva stare seduta vicino a un loro compagno di origine migrante, i bambini e le bambine della ormai nota classe elementare di Genova hanno fatto quello che i piccoli sanno ancora fare: scavare in profondità
“Scusi signora”, iniziano così i bambini una lettera immaginaria alla donna dell’autobus che non voleva stare seduta vicino a un loro compagno nero di pelle. E io mi commuovo per quell’inizio gentile. Si sono sentiti tristi, è questo che dicono quasi all’unisono che di quella storia ne vivono l’eco dentro e fuori da scuola. Mi ripetono che avrebbero voluto dire qualcosa a quella signora, che sia realtà o fantasia non importa, credo che l’intenzione varrà come memoria nel loro futuro.
Siccome le filastrocche e le poesie sono àncore, parlano il linguaggio dei bambini e ci aiutano a trovare le parole per spiegare fatti ed emozioni, abbiamo letto una filastrocca di Bruno Tognolini Rima dello straniero, perché la scuola è anche questo: educare alla riflessione.
Tu dici che io sono uno straniero
Ma non è vero
Io sono bianco, sono giallo, sono nero
Ma non è questo
È un pretesto per nascondere qualcosa
Una cosa da pidocchi
Una cosa vergognosa
Che si vede nei tuoi occhi quando esci
Quando aggredisci
Quando capisci che tu non hai ragione
E allora tu impazzisci e picchi forte, perché senti più in fondo
Che cos’è che non va, cosa è successo
Che io sono straniero nel tuo mondo
Ma tu sei straniero di te stesso.
Appena abbiamo finito la lettura una bambina alza la mano e dice che lei qualche volta, ai giardini, si sente una straniera, non solo con i bambini bianchi ma anche con quelli neri, “per via della mia pelle”, dice, “che non è proprio scura scura e neppure bianca bianca”. C’è sempre uno straniero più straniero, dovremmo dirlo a chi discrimina.
“Io mi sento straniero quando mi dicono che sono basso e non mi fanno giocare!” esclama un altro bambino bianco latte. Ed è così che ci troviamo a parlare di disabilità e differenze, ognuno ha un motivo per cui potrebbe essere preso in giro, essere criticato, rifiutato; una cosa è certa, quando succede, i bambini dicono che si sentono male, dicono proprio così, ci sentiamo male.
Una vocina dal niente si chiede come si sarebbe sentita la signora se fosse successo a lei di essere rifiutata da un’altra persona, ha la certezza che avrebbe percepito lo stesso loro dolore. Prova a mettersi nei suoi panni, cosa che noi non riusciamo a fare più. Allora penso che per i bambini “quel sentire” è ancora il motore di tutte le cose, quel sentire che noi adulti perdiamo per strada.
Avere o essere?
I piccoli sanno sempre che cosa conta, spesso, imparano da noi a perdere la rotta, a non sentire più.
A un certo punto un altro alunno esclama: “Forse quella signora ha deciso di essere razzista perché qualcuno l’ha presa in giro o l’ha trattata male”. Io e la mia collega ci guardiamo, grate, perché, in fondo, i bambini ci insegnano come dovremmo comportarci, cercano di trovare spiegazioni a comportamenti inspiegabili, vanno in profondità. Provano a farci recuperare. Sanno persino perdonare.
Concludiamo la nostra lezione. Non abbiamo scritto nulla, abbiamo solo parlato. Nessun lavoro sul quaderno se non una filastrocca in cui la parola straniero ritorna più volte.
Da quando è successo il fatto sono accadute solo cose belle, loro si sono stretti ancora di più gli uni agli altri, tante sono state le manifestazioni di solidarietà.
“In fondo noi siamo tutti bambini”, dice una piccoletta alzandosi dal banco mentre esce in giardino con tutti gli altri. In giardino corrono e giocano, fa freddo, esce il fumo dalle loro bocche, ogni tanto si buttano su di noi e ci abbracciano. Ha ragione lei, intorno a me vedo solo bambini. Solo esseri umani.
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Sabrina Leoni dice
Risposte commoventi,intelligenti,giuste,umane,sensibili…Risposte che in una società dove trionfa l’amore, la logica e la normalità, non dovrebbero essere date,perché scontate,nella stessa maniera in cui è scontato dire che io respiro.
Debora Calvani dice
In viaggio con il razzista.
Ore 12 e 35 di oggi 18 Novembre 2019, nella città di Arezzo, una mamma di colore è seduta tranquillamente dentro un autobus con il bimbo davanti a lei sul passeggino. Prossima fermata, sale un bianco. A guardarlo bene ha il viso assente, forse ha bevuto perché puzza di alcool, non timbra il biglietto e non si siede. L’autista frena, il bianco perde l’equilibrio e barcolla sporgendosi verso il bimbo ma per fortuna lo manca. La madre del bimbo gli tocca la spalla per lanciare giustamente questo monito: “stai attento, stavi per crollare sopra a mio figlio!” L’uomo bianco irritato inveisce contro la madre appellandola cosi:” Negra di me**a torna al tuo paese a succhiare le banane!” Poi sostituisce il frutto con una parte del corpo maschile che lui probabilmente non avrà mai usato in vita sua se non per urinare. Nell’autobus ci sono studenti e signore di una certa età, guardano e ascoltano esterrefatti, sono spaventati. La madre di colore piange, non reagisce e fa bene perché ha un bimbo piccolo. L’autista fa finta di nulla, continua la sua corsa come se niente fosse, non si ferma, non lo fa scendere, non chiama le forze dell’ordine.
Io purtroppo non ero su quell’autobus oggi, mi sento impotente e provo tanta rabbia a sentire questo racconto e vorrei dire che se fossi stata a bordo, l’uomo bianco sarebbe sceso dal finestrino ma, non lo dirò. Io non mi abbasso al livello dei razzisti, non uso il loro linguaggio, io non sono una persona di bassa lega e prenderò sempre le difese delle persone più deboli. Non mi girerò mai dall’altra parte di fronte ai soprusi, non starò mai zitta.
Mi chiedo, chissà se quell’autista oggi ha mangiato, chissà se ha una sorella, una madre, una moglie o una figlia.Quello che so è che si è comportato male.
Un abbraccio alla mamma ed al suo bimbo, le chiedo scusa perché non ero lì…