Aldo Morrone, medico del mondo, scrive a proposito del suo viaggio nel Kurdistan iracheno, tra gli sfollati e i rifugiati di Ashti, Arbat e Tazade. Qui migliaia di persone ormai vivono da anni, soprattutto donne e bambini che hanno conosciuto l’orrore della guerra e del genocidio, “Guardo con commozione e tenerezza i tentativi di dare colore e vita alle loro baracche, alle loro tende, disegnando scene di vita per non perdere la speranza di tornare nelle loro case e ai loro affetti…. Disegni per insegnare a non ammalarsi… È terribile e doloroso pensare che la lotta contro la guerra in Ucraina non riesca ad allargarsi contro tutte le guerre: quelle immortalate dalle grandi agenzie giornalistiche e quelle in gran parte ignorate o dimenticate come accade per il Tigray, la Siria, lo Yemen, il Myanmar, l’Afghanistan…”
“Io vado, madre.Se non torno,sarò fiore di questa montagna,frammento di terra per un mondopiù grande di questo.Io vado, madre.Se non torno,il corpo esploderà là dove si torturae lo spirito flagellerà,come l’uragano,tutte le porte.Io vado… madre…Se non torno,la mia anima sarà parola…per tutti i poeti” Abdulla Goran (1904 – 1962)
Tornare nel Kurdistan iracheno è sempre una grande emozione. Insieme con Soran, presidente dell’Istituto Kurdo, siamo qui per continuare la collaborazione clinico-scientifica con i medici e tutto il personale sanitario di questo straordinario Paese. Il popolo kurdo ha inventato l’arte di resistere. Di resistere a tutto, anche a chi ha disegnato con il righello e senza cervello confini assurdi che hanno diviso un intero popolo tra frontiere turche, iraniane, irachene e siriane. Malgrado la promessa del Trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, la comunità internazionale si è sempre rifiutata di dare loro uno Stato.
Eppure, senza la comunità kurda e senza i loro Peshmerga che più di altri hanno lottato e combattuto casa per casa a Raqqa, Falluja, Mosul, oggi avremmo ancora l’ISIS e il Daesh. Anche oggi, se continua la lotta dei “capelli”, che sta infiammando Paesi vicini, si deve al sacrifico di Mahsa Amini, la studentessa curda uccisa a causa del fanatismo religioso. L’ultimo esempio della fierezza e dignità delle donne kurde, dalle soldatesse che combattono i terroristi del Daesh in Siria e Iraq. Qui ogni aspetto della vita ruota intorno alla figura di una donna.
Vivo sentimenti di indignazione profonda quando ritorno nei campi di sfollati e rifugiati di Ashti, Arbat e Tazade dove migliaia di famiglie ormai vivono da anni. Donne e bambini che hanno conosciuto l’orrore della guerra, del genocidio. Incontro le donne Yazide, deportate, violentate, ridotte in schiavitù e vendute dall’ISIS, come Nadia Murad, premio Nobel per la Pace, insieme con il medico Denis Mukwege per il loro impegno a mettere fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra. Guardo con commozione e tenerezza i tentativi di dare colore e vita alle loro baracche, alle loro tende, disegnando scene di vita per non perdere la speranza di tornare nelle loro case e ai loro affetti. Per chiedere giustizia per i crimini contro l’umanità. Disegni per insegnare a non ammalarsi, a provare a curarsi pur in condizioni drammatiche.
È terribile e doloroso pensare che la lotta contro la guerra in Ucraina non riesca ad allargarsi contro tutte le guerre: quelle immortalate dalle grandi agenzie giornalistiche e quelle in gran parte ignorate o dimenticate come accade per il Tigray, la Siria, lo Yemen, il Myanmar, l’Afghanistan. Eppure le vittime hanno tutte uguale dignità. Sono tutte frammenti di stelle che si spengono e, senza la loro luce, anche tutti noi ci spegniamo lentamente.
LEGGI ANCHE:
Lascia un commento