Con la settima parte del settimo capitolo di «Loro e Noi», si conclude il lungo testo che ha segnato la risposta delle indigene e degli indigeni del Chiapas a chi li considerava una residua testimonianza del passato. Che gli zapatisti siano cresciuti è ora un fatto accertato perfino dai grandi mezzi di comunicazione. Marcos può riporre il computer e riprendere a camminare. Tra i dubbi, uno degli esercizi intellettuali più sani (e più dimenticati) dell’umanità, e le ombre. Perché è dalle ombre, secondo uno degli straordinari paradossi zapatisti, che nasce la luce. Per il suo saluto, il Sup sceglie la lingua maya, con l’aiuto di Eduardo Galeano: «Io sono un altro tu». «Tu sei un altro io». E per riassumere, sceglie una parola che è anche un grido: libertà.
Subcomandante Marcos
Marzo 2013. LORO E NOI. VII. – Le/i più piccol@ 7 e ultimo. 7. – Dubbi, ombre e il riassunto in una parola. I Dubbi. Se dopo avere letto i frammenti della parola delle compagne e dei compagni dell’EZLN sostenete ancora che gli indigeni zapatisti sono manipolati dalla mente perversa del supmarcos (ed ora anche del subcomandante insurgente Moisés) e che dal 1994 non è cambiato niente nel territorio zapatista, allora siete irrecuperabili.
Non vi diciamo di spegnere la televisione, o di smettere di credere che l’intellettualità di solito si distribuisce tra i suoi parrocchiani, perché restereste con la mente vuota. Continuate a credere che la recente legge sulle telecomunicazioni democratizzerà l’informazione, che eleverà la qualità della programmazione e che migliorerà il servizio di telefonia mobile.
Ma, se la pensate così, non sareste arrivati fino a questa parte della saga “Loro e Noi”, quindi, è una supposizione, diciamo che siete una persona con coefficiente intellettuale medio e cultura progressista. Con queste caratteristiche è molto probabile che pratichiate il dubbio metodico riguardo a tutto, cosicché sarebbe logico supporre che dubitiate di quello che avete qui letto. E dubitare non è qualcosa da condannare, è uno degli esercizi intellettuali più sani (e più dimenticati) dell’umanità. E di più quando si tratta di un movimento come quello zapatista o neo-zapatista, sul quale si sono dette tante cose (la maggior parte senza nemmeno essersi avvicinati a quello che siamo).
Mettiamo da parte un fatto, accertato perfino dai grandi mezzi di comunicazione: decine di migliaia di indigeni zapatisti che prendono, in forma simultanea, 5 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas.
Dunque, già avanzando dubbi, se non è cambiato niente nelle comunità indigene zapatiste, perché continuano a crescere? Non avevano detto tutti che era qualcosa del passato, che gli errori dell’ezetaelene (ok, ok, ok, di marcos) erano costati la sua esistenza (“mediatica”, ma questo non l’hanno detto)? La dirigenza zapatista non era allo sbando? L’EZLN non era sparito e di lui rimaneva solo l’ostinata memoria di chi, fuori dal Chiapas, sente e sa che la lotta non è qualcosa soggetta ai viavai della moda?
Ok, rimediamo a questo fatto (l’ezetaelene è cresciuto in maniera esponenziale nei tempi in cui non era di moda), ed abbandoniamo il tentativo di instillare questi dubbi (che serviranno solo perché i vostri commenti sulla stampa nazionale siano pubblicati o siate bannati “per sempre”).
Riprendiamo il dubbio metodico:
E se le parole apparse in queste pagine come quelle di uomini e donne indigeni zapatisti, in realtà fossero paternità di Marcos?
Cioè, e se fosse stato Marcos a simulare che erano altr@ quell@ che parlavano e sentivano quelle parole?
E se le scuole autonome in realtà non esistessero?
E se gli ospedali, le cliniche, i rendiconti, le donne indigene con incarichi di responsabilità, le terre coltivate, la forza aerea zapatista, e…?
Sul serio: e se niente di quello che dicono quelle indigene, quegli indigeni esistesse realmente?
In sintesi, e se tutto non fosse nient’altro che una monumentale bugia di marcos (e Moisés, già che ci siamo) per consolare con chimere quell@ di sinistra (sporch@, brutt@, cattiv@, irriverenti, non dimenticate) che non mancano mai e che sono sempre pochi, pochissimi, una disprezzabile minoranza? E se il supmarcos si fosse inventato tutto questo?
Non sarebbe bene confrontare questi dubbi ed il vostro sano scetticismo con la realtà?
E se fosse possibile che voi vedeste direttamente queste scuole, queste cliniche ed ospedali, questi progetti, queste donne e questi uomini?
E se voi poteste ascoltare direttamente quegli uomini e quelle donne, messicani, indigeni, zapatisti mentre si sforzano di parlarvi in spagnolo per spiegarvi, raccontarvi la loro storia, non per convincervi o per reclutarvi, ma solo affinché possiate capire che il mondo è grande e che al suo interno ci sono molti mondi?
E se voi poteste concentrarvi solo a guardare ed ascoltare, senza parlare, senza pensare?
Accettereste questa sfida o continuereste a rifugiarvi nello scetticismo, quel solido e magnifico castello di ragioni per non fare niente?
Vorreste essere invitato ed accettereste l’invito?
Frequentereste delle lezioni nelle quali le e gli insegnanti sono indigeni la cui lingua madre è classificata come “dialetto”?
Avreste voglia di studiarla a scopo antropologico, psicologico, del diritto, esoterico, storiografico, per realizzare un reportage, fare loro un’intervista, dire loro la vostra opinione, dare loro consigli, ordini?
Li guardereste, cioè, li ascoltereste?
-*-
Le ombre.
A lato di questa luce che ora brilla, non si nota la forma irregolare delle ombre che l’hanno resa possibile. Perché un altro dei paradossi dello zapatismo è che non è la luce che produce le ombre, bensì è da queste che la luce nasce.
Donne e uomini di angoli lontani e vicini di tutto il pianeta hanno reso possibile non solo quello che si vede, ma con i loro sguardi hanno arricchito il cammino di questi uomini e donne, indigeni e zapatisti, che ora innalzano di nuovo la bandiera di una vita degna.
Individui, gruppi, collettivi, organizzazioni di ogni tipo, e a livelli diversi, hanno contribuito alla realizzazione di questo piccolo passo delle/dei più piccoli.
Dai 5 continenti sono arrivati gli sguardi che, dal basso e a sinistra, hanno offerto rispetto ed aiuto. E con queste due cose, non solo si sono fatte scuole ed ospedali, si è anche sollevato il cuore indigeno zapatista che, così, si è affacciato a tutti gli angoli del mondo attraverso queste finestre sorelle.
Se c’è un luogo cosmopolita in terre messicane, forse è la terra zapatista.
Di fronte a tale appoggio, è corrisposto uno sforzo di uguale grandezza.
Credo, crediamo, che tutta quella gente del Messico e del mondo può e deve condividere come propria questa piccola gioia che oggi cammina con viso indigeno nelle montagne del sudest messicano.
Sappiamo, so, che non l’aspettate, né lo chiedete, ma vi mandiamo un grande abbraccio, che è il modo in cui gli zapatisti, le zapatiste, si ringraziano tra compagn@ (ed in particolare abbracciamo chi ha saputo essere nessuno). Forse senza volerlo, voi siete stati e siete, per tutte e tutti noi, la migliore scuola. Inutile dire che non smetteremo di sforzarci di fare in modo che, senza badare al vostro calendario e alla vostra geografia, rispondiate sempre affermativamente alla domanda se ne vale la pena.
A tutte (mi dispiace dal profondo della mia essenza maschilista, ma le donne sono la maggioranza quantitativa e qualitativa), a tutti: grazie.
(…)
Ma, ci sono ombre e ombre.
E le più anonime e impercettibili sono alcune donne e uomini di bassa statura e di pelle del colore della terra. Hanno lasciato tutto quello che avevano, anche se poco, e sono diventati guerriere e guerrieri. In silenzio e nell’oscurità hanno contribuito e contribuiscono, come nessun’altro, a che tutto questo sia possibile.
Sto parlando delle insurgentas e degli insurgentes, i miei compagni.
Vanno e vengono, vivono, lottano e muoiono in silenzio, senza far rumore, senza che nessuno, se non noi stessi, ne tenga il conto. Non hanno volto né vita propria. I loro nomi, le loro storie, vengono forse alla memoria di qualcuno quando si sono sfogliati molti calendari. Allora, forse intorno a un fuoco, mentre il caffè bolle in una vecchia teiera di peltro e si accende il fuoco della parola, qualcuno o qualcosa saluta la loro memoria.
E non importerà, perché quello di cui si trattava, di cui si tratta, di cui si è trattato sempre, è contribuire a costruire le parole con le quali normalmente iniziano i racconti, gli aneddoti e le storie, reali e fittizie, delle zapatiste e degli zapatisti. Proprio com’è cominciato quello che ora è una realtà, cioè con un:
“Ci sarà una volta…”
Salve, e che non manchino mai né l’ascolto né lo sguardo.
(non continua più)
A nome delle donne, degli uomini, dei bambini, degli anziani, delle insurgentas e degli insurgentes del
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Dalle montagne del Sudest Messicano
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Marzo 2013
P.S. CHE ANTICIPA. – Continueranno ad uscire gli scritti, non gioite in anticipo. Principalmente saranno del compagno Subcomandante Insurgente Moisés, e riguarderanno la scuola: date, luoghi, inviti, iscrizioni, documenti, regolamenti, livelli, divise, materiale scolastico, voti, consulenze, dove ritirare gli esami superati, etc. Ma se volete sapere quanti livelli sono ed in quanto tempo si arriva al diploma, vi diciamo: noi ci stiamo da 500 anni e non abbiamo ancora smesso di imparare.
P.S. UN CONSIGLIO PER FREQUENTARE LA SCUOLA – Eduardo Galeano, un saggio nella difficile arte di guardare ed ascoltare, ha scritto nel suo libro “I Figli dei Giorni“, nel calendario di marzo:
“Carlos e Gudrun Lenkersdorf erano nati e vissuti in Germania. Nell’anno 1973, questi illustri professori arrivarono in Messico. Ed entrarono nel mondo maya, in una comunità tojolabal, e si presentarono dicendo:
– Veniamo ad imparare.
Gli indigeni tacquero.
Poi, qualcuno spiegò il silenzio:
– È la prima volta che qualcuno ci dice questo.
Per anni, Gudrun e Carlos restarono lì ad imparare.
Dalla lingua maya impararono che non c’è gerarchia che separi il soggetto dall’oggetto, perché io bevo l’acqua che mi beve e sono guardato da tutto quello che guardo, ed impararono a salutare così:
– Io sono un altro tu.
– Tu sei un altro io.”
Ascoltate Don Galeano. Perché è sapendo guardare ed ascoltare, che si impara.
P.S. CHE SPIEGA QUALCOSA SU CALENDARI E GEOGRAFIE. – I nostri morti dicono che bisogna saper guardare ed ascoltare tutto, ma che al sud ci sarà sempre una ricchezza speciale. Come si sarà accorto chi ha guardato i video (ne sono rimasti ancora molti, magari in un’altra occasione) che accompagnavano gli scritti di questa serie di “Loro e Noi”, abbiamo cercato di far passare diversi calendari e geografie, ma c’è stata una prevalenza per il nostro rispettato sud latinoamericano. Non solo per l’Argentina e l’Uruguay, terre sagge in ribellione, anche perché, secondo noi, nel popolo Mapuche non c’è solo dolore e rabbia, ma anche interezza nella lotta ed una profonda saggezza per chi sa guardare ed ascoltare. Se c’è un luogo al mondo dove bisogna tendere ponti, è il territorio Mapuche. Per quel popolo, e per tutt@ le/i desaparecid@s e prigionier@ di questo sofferente continente, la memoria è viva. Non so dall’altro lato di queste lettere, ma da questo lato sì: né perdono, né oblio!
P.S. SINTETICA. – Sì, lo sappiamo, questa sfida non è stata né sarà facile. Si profilano pesanti minacce, colpi di ogni tipo e da tutte le parti. Così è stato e sarà il nostro cammino. Cose terribili e meravigliose compongono la nostra storia. E così sarà. Ma se ci domandano come possiamo riassumere tutto in una parola: i dolori, le scoperte, le morti che ci fanno male, i sacrifici, il continuo andare contro corrente, le solitudini, le assenze, le persecuzioni e, soprattutto, questo testardo ricordare chi ci ha preceduto ed ora non c’è più, è qualcosa che unisce tutti i colori che sono in basso e a sinistra, senza badare al calendario o alla geografia. E, più che una parola, è un grido:
Libertà… Libertà!… LIBERTÁ!
Bene.
Il sup che ripone il computer e cammina, cammina sempre.
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Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo:
Un poema di Mario Benedetti (che risponde alla domanda perché, nonostante tutto, cantiamo), con la musica di Alberto Favero. Qui nell’interpretazione di Silvana Garre, Juan Carlos Baglietto, Nito Mestre. ¡Ni perdón ni olvido! [youtube]http://www.youtube.com/watch?v=g6TVm-MuhL8&feature=player_embedded[/youtube]
Camila Moreno interpreta “De la tierra”, dedicata all’attivista Mapuche, Jaime Mendoza Collio, assassinato alla schiena dai carabineros. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=SSVgl8QE8L0
Mercedes Sosa, la nostra, di tutt@, di sempre, che canta, di Rafael Amor, “Corazón Libre”. Il messaggio è terribile e meraviglioso, mai arrendersi. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gwlii20ZZd8
Il link allo scritto originale è QUESTO
Traduzione a cura del Comitato Chiapas “Maribel”, presso il cui sito il testo completo e ordinato di Loro e Noi
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