La periodica rassegna retrospettiva di Alberto Castagnola sui danni al pianeta comincia in questa occasione dai dati relativi dalle tremende ondate di calore che in luglio hanno investito il mondo dal Giappone agli Stati Uniti all’Europa. Per quanto riguarda invece i danni provocati dai meccanismi economici c’è da rilevare la drammatica situazione degli oceani con la scomparsa, o almeno la grave minaccia, di molte specie della fauna ittica, dagli squali ai coralli. Intanto, l’inquinamento è sempre più fuori controllo: otto milioni di tonnellate di plastica entrano negli ecosistemi ogni anno. La biodiversità sta collassando
Lo scorso 2 luglio un’ondata di calore ha investito il Giappone, a metà del mese in Europa un’altra ondata ha colpito la Spagna e il Portogallo, superando i 44 gradi e poi s’è spostata fino a percorrere parte del nord Italia. Nel paese iberico il picco dei 45 gradi ha causato la morte di 360 persone, in gran parte anziani e malati, mentre in Portogallo con un picco di 47 gradi le vittime sono state 238. Ma sia in Inghilterra che in Grecia sono stati superati i 40 gradi, per i paesi nordici una novità storica. Il 22 è stata invece investita la Cina.
L’Italia ha probabilmente registrato il 16 luglio i 40 gradi (che non venivano raggiunti dal 2003) e la stessa soglia è stata superata nei giorni successivi a Firenze e a Perugia, e nella pianura padana, ma il picco era previsto dopo il 20 luglio. Negli stessi giorni la Francia ha raggiunto i 42,6 gradi presso Nantes, superando tutti i livelli più alti del passato, mentre la massa di aria calda iniziava a spostarsi verso Belgio, Olanda e Germania. Su tutto l’arco delle Alpi, si sono registrati 4 gradi sulle cime superiori ai 4000 metri, (Monte Bianco, Gran Paradiso, Cervino), 6 gradi su Monte Rosa e Bernina, 10 sull’Ortles, 12 sulla Marmolada, 17 sulla Vetta d’Italia (2500 metri).
Per il pianeta, la temperatura massima è stata registrata il 19 luglio ad Al Jahra, in Kuwait, dove il termometro è salito a 51,2 gradi, mentre quella più bassa si è misurata in Antartide alla stessa data a -76,4 gradi centigradi. Temperature così elevate e ondate di calore hanno creato le condizioni ideali per la moltiplicazione degli incendi. Gli incendi che si sono sviluppati nella provincia di Sètif nel nordest dell’Algeria hanno causato numerosi morti e feriti, mentre a Cipro Nord un rogo ha distrutto 2600 ettari di vegetazione.
In Grecia, nella prima settimana di luglio, un incendio ha distrutto trecento ettari di vegetazione e novecento di boscaglia, ma soprattutto ha minacciato il grande e antico oliveto di Amfissa vicino a Delfi, che comprende centinaia di migliaia di ulivi, alcuni dei quali centenari. Mentre decine di incendi piccoli e medi si sono sviluppati in diverse parti del paese, nella Amazzonia brasiliana era dal 2007 che non si registravano così tanti incendi: le immagini satellitari hanno permesso di contarne oltre 2500.
A metà del mese, centinaia di pompieri sono stati impegnati a circoscrivere l’incendio che minacciava le sequoie giganti del parco nazionale di Yosemite, nell’ovest degli Stati Uniti, mentre una serie di incendi hanno devastato migliaia di ettari di vegetazione nella parte centronord del Portogallo. Nel nord del Marocco gli incendi hanno distrutto almeno 6600 ettari di vegetazione e causato almeno una vittima. Nell’ovest del Canada un rogo ha distrutto 1500 ettari di foreste e alcune case nella provincia della British Columbia.
Nella seconda metà del mese, si è sviluppato un numero insolitamente elevato di incendi in Spagna, dove i roghi hanno distrutto 70.000 ettari di vegetazione, più del doppio della media annuale del decennio precedente. Nella Gironda, sulla costa atlantica della Francia, due grandi incendi hanno devastato le foreste di pini marittimi intorno alla località turistica di Arcachon, distruggendo 19.000 ettari di vegetazione e costringendo ad evacuare almeno 37.000 persone. Altri incendi sono scoppiati vicino a Zara in Croazia e a De Haan in Belgio.
Anche l’Italia non è stata risparmiata: nei primi giorni del mese numerosi incendi si sono sviluppatti nelle periferie della capitale; in Friuli nella zona del Carso e in Toscana, in particolare nella Versilia, ampie aree sono state distrutte dal fuoco, che ha costretto a chiudere strade e autostrade. Ma l’evento più drammatico si è verificato nei primi giorni del mese nelle Dolomiti, sulla Marmolada, (3300 metri) dove un seracco si è staccato dal ghiacciaio e ha investito un gruppo di escursionisti, causando dieci morti e numerosi feriti.
Nel recente passato, il ghiacciaio si era ridotto di oltre il 30% e la superficie coperta del 22% e nella zona si era registrata una temperatura di 10,3 gradi, molto elevata per quella altitudine. Infine, sempre in Italia, l’otto di luglio, per una intera notte (dalle 19 del 7 e le sette dell’8) un’ondata di fulmini ha attraversato il paese, dalle Alpi dl nordest alla Calabria. Ne sono stati contati 8700 nel Triveneto e in Romagna, 15.000 in Toscana ed Umbria, 7000 sull’Adriatico, 10.000 tra Lazio e Campania, 4000 tra Puglia e Basilicata e 1100 in Calabria. E si può prevedere che il fenomeno sia destinato a ripetersi.
Meccanismi economici di danni ambientali.
In molti paesi del mondo il sapore delle pinne e anche della carne degli squali alimenta un grande mercato di questi prodotti e amplia continuamente la pesca e l’esportazione di questi cibi, con modalità spesso illegali. Ogni anno vengono soppressi circa 100 milioni di squali, e più della metà delle diverse specie sono a rischio di estinzione. Gli squali pelagici, cioè quelli che si trovano in alto mare, sono diminuiti di più del 70% negli ultimi 50 anni e del 54% quelli del Mediterraneo.
Dal 2003 al 2020 i prodotti a base di pinne di squalo importati nei tre principali paesi asiatici consumatori (Hong Kong, Singapore e Taiwan) hanno raggiunto le 188.000 tonnellate. I paesi dell’Unione Europea realizzano circa il 45% di queste esportazioni, e ciò significa che dispongono di flotte di pescherecci specializzati in queste catture. L’Italia, insieme a Spagna, Portogallo, Olanda e Francia fa parte deil gruppo di paesi maggiori esportatori, in particolare il nostro paese risulta anche essere il terzo maggiore importatore, con circa 98.000 tonnellate di prodotti di squalo importati tra il 2009 e il 2021, tra i quali 1712 tonnellate di pinne, per un valore di circa 377 milioni di dollari (circa 9 milioni per le pinne).
È all’esame dell’Unione un provvedimento che vieti qualunque attività basata sulla pesca degli squali. Molti i anche per i rischi per i consumatori, poiché spesso vengono vendute parti di squali come si trattasse di pesce spada. La situazione nel Mediterraneo è particolarmente grave, perchè almeno 13 specie sono ormai estinte, anche se è in vigore il divieto di cattura e vendita per 24 specie di squali, mentre per altre 9 è richiesta la registrazione delle catture.
Però la pesca a strascico è responsabile del 90% delle perdite, ma specie come lo smeriglio, il mako, lo squalo volpe e la verdesca possono essere catturati dagli ami. Si dovrebbe quindi far riemergere e aggiornare il Piano di Azione Nazionale per gli elasmobranchi, redatto molti anni fa ma caduto nel dimenticatoio prima di essere approvato.
Perdite e sprechi di acqua, le logiche economiche che le causano ormai da troppo tempo. Un primo fattore è la presenza di allevamenti intensivi di bestiame, in particolare lungo il Po. L’agricoltura si stima che contribuisca tra il 16 e il 20% alle emissioni di gas climalteranti, e di questo impatto il 70% è attribuibile alla zootecnia. Grandi quantitativi di acqua sono richiesti per irrigare il foraggio, mais e soia, e per abbeverare gli animali.
Ma vi è un inquinamento indiretto per la fermentazione enterica degli animali, per il continuo disboscamento per fare spazio ai pascoli e alla produzione di foraggi, e per lo smaltimento dei reflui. Una ricerca ha quantificato questi fabbisogni: servono 73 litri di acqua per cento grammi di carne bovina durante la vita di un animale (mentre ad esempio ne servono solo 6,6 litri per produrre dei piselli). Altre cause della crisi idrica sono l’insuffcienza degli invasi, la loro mancata manutenzione, il degrado della rete di distribuzione con perdite superiori al 40% dell’acqua immessa, e i metodi arretrati delle tecniche di irrigazione agricola. Esistono piani di intervento e sono stati finanziati alcuni primi progetti, ma il ritmo delle realizzazioni è ancora irrisorio rispetto alle urgenze ormai accertate.
Un terzo meccanismo di danno ambientale riguarda il recupero dell’acqua piovana: non superiamo l’11%, mentre in Europa sono già oltre il 30%. Sempre a causa del riscaldamento globale, anche le risaie hanno perso l’80% della loro acqua e metà del raccolto è a rischio. Infine, non si devono dimenticare le politiche delle imprese.
Lo stabilimento di Verona della Coca-Cola non ha minimamente rallentato la produzione, anzi ha in programma un aumento del 37% dei prelievi di acqua dalle falde sotterranee, mentre i comuni della zona hanno adottato misure per limitare i consumi di acqua.
Il mercato internazionale del grano e di altri cereali ha fatto registrare un episodio di accordo per l’esportazione difficilmente immaginabile tra due paesi in guerra fra loro. Russia e Ukraina prima dell’invasione erano presenti in misura massiccia sui mercati internazionali e i loro magazzini erano pieni di prodotti che non riuscivano a far partire verso altri paesi. All’inizio del mese di luglio il mediatore, il presidente turco Erdogan, sembrava convinto di poter giungere ad un accordo malgrado il sanguinoso conflitto in corso.
Ma subito sono sorte le prime difficoltà: l’Ukraina, preoccupata per le sue scorte di cereali che i russi potevano saccheggiare nelle zone occupate, ha chiesto di fermare la nave russa che aveva caricato 4500 tonnellate di cereali nel porto di Berdyansk, nella zona da loro occupata, in quanto poteva aver prelevato prodotti ukraini. Pochi giorni dopo, l’arrivo di otto navi straniere nel porto di Odessa per effettuare i primi trasporti di cereali.
Ma solo il 22 del mese i due paesi hanno firmato l’accordo con la partecipazione della Turchia e il coinvolgimento del’Onu per tracciare il percorso delle navi in uscita e monitorarle fino all’arrivo nei porti di destinazione. Per l’Ukraina si dovrebbero liberare i depositi prima dell’arrivo dei nuovi raccolti, per molti paesi afroasiatici sarebbe importante smettere di acquistare cereali sul mercato nero. L’accordo durerà tre mesi, rinnovabili e l’Onu esprime tutta la sua soddisfazione per questa applicazione, sia pure solo emblematica, dei principi che ispirano questa organizzazione internazioale.
Ma già due giorni dopo dei missili hanno colpito il porto di Odessa, anche se la Russia ha negato qualunque respnsabilità. La prima partenza delle navi era stata annunciata solo il 28 luglio per il giorno successivo, “navi al via tra mille incognite” avevano sottolineato i giornali. Ma i 35 milioni di tonnellate di cibo non sarebbero arrivati presto.
Un terzo del riscaldamento globale è causato dal metano, quindi la notizia che la concentrazione del metano in atmosfera non è calata nemmeno nel periodo della riduzione delle attività economiche durante la pandemia, è stata piuttosto preoccupante. Il fenomeno sembra dipendere dall’aumento degli incendi. Questi infatti producono monossido di carbonio, che si combina con una componente dell’atmosfera che svolgeva il compito di pulirla dal metano e quindi questo gas rimane nell’atmosfera in misura maggiore del previsto.
In altre parole si è creato un circolo vizioso pericolosissimo: i cambiamenti climatici stanno aumentando il tasso con il quale il metano si accumula nell’atmosfera, il pianeta si riscalda di più e più velocemente, si creano degli incendi che riducono un fattore detergente del metano. Inoltre qualche mese fa l’Agenzia Internazionale dell’Energia aveva pubblicato un rapporto nel quale si affermava che le statistiche ufficiali su emissioni e perdite di metano sottovalutavano il problema nella misura del 70%.
Quindi dal settore energia arriva più metano di quello che pensavamo, e l’atmosfera diventa sempre meno capace di smaltirlo naturalmente. Tutto questo mentre globalmente la corsa a nuove estrazioni del gas procede a pieno ritmo.
Infine, qualche dato sugli oceani. L’innalzamento del livello dei mari ha raggiunto livelli record nel 2021, con una media di 4,5 millimetri all’anno dal 2013 ad oggi. Ma un numero crescente di paesi sta sperimentando innalzamenti molto più consistenti, dalla Tailandia agli stati insulari. Un quarto delle emissioni storiche di anidride carbonica sono state assorbite dagli oceani, che oggi sono più acidi di quanto siano stati negli ultimi 26.000 anni.
L’inquinamento è fuori controllo: otto milioni di tonnellate di plastica entrano negli ecosistemi ogni anno. La biodiversità sta collassando: il 37% degli squali e della razze, il 33% dei coralli, il 21% dei rettili è minacciato di estinzione. Solo dopo 27 Conferenze delle Parti dell’IPCC si parlerà per la prima volta degli oceani, ma non si prenderanno certo dei provvedimenti concreti in quella sede.
Giovanna dice
Grazie a Castagnola per questa sintesi agghiacciante che rafforza la nostra consapevolezza del collasso del pianeta e della stupidità umana.A noi singoli non resta che il dovere di diffondere per sensibilizzare gli inconsapevoli e i distratti ed essere sempre più convintamente CONSUMATORI CRITICI come da decenni ci insegna Franco Gesualdi.