Che cos’è un incontro tra ribellioni? In occasione del viaggio in Europa della delegazione di zapatiste e zapatisti – che salperà il 3 maggio “da qualche porto del Messico” per arrivare a metà giugno a bordo dell’imbarcazione chiamata La Montaña – Raúl Zibechi ricorda le parole pronunciate dallo scomparso subcomandante Marcos nel lontano 2008. A proposito della gran parte di incontri rituali e mediatici che avvengono anche tra movimenti che si dicono anticapitalisti, il Sup ci tenne a precisare che “l’incontro tra leader per noi non vale niente. Nemmeno la foto che viene scattata. Se le direzioni di due movimenti non sono utili perché i movimenti si incontrino e si conoscano, quei dirigenti sono inutili”. La cultura capitalista e patriarcale non è egemonica soltanto nella società in generale, ma anche nei movimenti e nelle loro organizzazioni. Riconoscerla e impedirle di riprodursi è un compito centrale, poiché non possiamo cambiare il mondo con le stesse modalità del sistema, commenta con la consueta chiarezza Raúl. L’importante è che le persone che compongono i movimenti si incontrino, parlino, imparino gli uni dagli altri, riescano a scambiarsi saperi ed esperienze. E questo è più facile farlo in giro, davanti al fuoco, dove c’è tempo per condividere, parlare e ascoltare senza interferenze esterne. Ma per raggiungere questi obiettivi vanno bene anche le feste, le partitelle di calcio e le occasioni per ballare insieme. Tutte cose più importanti dei programmi e delle dichiarazioni, poiché trasmettono messaggi di maggior profondità e perché mettono in scena il mondo per cui i movimenti lottano. Molti si esprimono contro il capitalismo e il neoliberismo, però poi agiscono in modo opposto. La coerenza tra quanto si dice e quanto si fa è una questione etica, quella che in sostanza – per logiche emergenziali, opportunità politiche o “cause di forza maggiore” – viene generalmente dimenticata e che resta invece la stella polare che dovrebbe guidare tutte le nostre azioni
Durante un incontro con la Carovana Nazionale e Internazionale di Osservazione e Solidarietà con le Comunità Zapatiste che si tenne il 2 agosto 2008 al caracol de La Garrucha, il Subcomandante Marcos ebbe a spiegare come intendono gli incontri internazionali tra movimenti nell’ambito della Sexta Internacional. Disse che si trattava di un “incontro di ribellioni” per lo scambio di apprendimenti diretti, non mediatici ma reali.
Siccome lo zapatismo mette tutto a gambe all’aria, in questi momenti di preparazione ai tour vale la pena di tornare ai suoi modi “plebei” (come si chiamano nella mia terra le relazioni tra abajos) di stabilire rapporti e di lavorare.
Marcos raccontò che in quei mesi avevano ricevuto delegazioni da varie parti del mondo e che ai membri di Via Campesina dissero: “L’incontro tra leader per noi non vale niente. Nemmeno la foto che viene scattata. Se le direzioni di due movimenti non sono utili perché i movimenti si incontrino e si conoscano, quei dirigenti sono inutili”.
Siamo di fronte a una cultura politica completamente opposta perfino a quella che praticano movimenti che si dichiarano anticapitalisti o rivoluzionari, e questo è così trascendente che merita alcune spiegazioni.
La prima è che la cultura capitalista e patriarcale non è egemonica solo nella società in generale, ma anche tra i settori popolari, i popoli neri e autoctoni e, quindi, anche nei movimenti e nelle organizzazioni. Riconoscerla e impedirle di riprodursi è un compito centrale, poiché non possiamo cambiare il mondo con le stesse modalità del sistema.
La seconda è che per limitare l’influenza della cultura del capitale nei movimenti, non dico eliminarla perché quello è un processo molto lungo, è necessario iniziare a fare le cose in modo diverso, evitare le inerzie, mettere in discussione le pratiche una per una e farlo apertamente, nel dialogo tra le organizzate e gli organizzati.
Un tratto tipico della cultura capitalista all’interno dei movimenti è quello di dare la priorità ai dirigenti; agli uomini sulle donne; ai militanti più esperti e riconosciuti rispetto ai meno conosciuti; a chi si esprime meglio nella lingua usata dai media, togliendo di mezzo coloro che parlano le lingue originarie.
Nei media del sistema c’è una chiara tendenza a “riconoscere” e dar voce ai leader che si esprimono meglio, a quelli che si distinguono per qualche motivo in ciò che rispecchia la cultura dominante, trasformandoli spesso nei preferiti dei giornalisti che cercano sempre loro e con loro si sentono più a loro agio. In questo modo, sono i media che finiscono per eleggere i leader non le basi.
Come abbiamo imparato nell’educazione popolare, la cultura de abajo è stata colonizzata dal capitalismo e si esprime in forme complesse e distorte, con molte influenze derivanti dalla cultura dominante. Tuttavia, ancora sono presenti tratti del meglio delle cultura nere, autoctone, contadine e popolari, ma è necessario fare un lavoro interno, in seno alle nostre comunità, per vagliare e separare il grano dal loglio – gli aspetti oppressivi da quelli liberatori. Non può esser fatto in una singola assemblea, né dovrebbe essere fatto solo dagli organi superiori dell’organizzazione e dai dirigenti. È un impegno e un compito permanente di tutti noi che facciamo parte di un collettivo.
Come segnala l’EZLN, la foto tra i leader non ha senso, non porta da nessuna parte se non ad occupare spazio nei media. L’importante è che le persone che compongono i movimenti si incontrino, parlino, imparino gli uni dagli altri, riescano a scambiarsi saperi ed esperienze. E questo è più facile farlo in giro, davanti al fuoco, dove c’è tempo per condividere, parlare e ascoltare senza interferenze esterne. Ma per raggiungere questi obiettivi vanno bene anche le feste, le partitelle di calcio e le occasioni per ballare insieme.
I modi di fare pubblici dei movimenti sono ancora più importanti dei programmi e delle dichiarazioni, poiché trasmettono messaggi di maggior profondità e perché mettono in scena il mondo per cui lottano. Molti si esprimono contro il capitalismo e il neoliberismo, però poi agiscono in modo opposto. La coerenza tra quanto si dice e quanto si fa è una questione etica che, in fin dei conti, è la stella polare che dovrebbe guidare tutte le azioni.
Fonte e versione originale in spagnolo: Desinformémonos
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Silvano Brandi dice
Quello che è scritto in questo articolo non vale solo per il Messico ma comprende tutto il pianeta.