Al tempo in cui scriveva il Manifesto, Marx parlava solo di un modo capitalistico di produzione. Non ha mai usato, al suo tempo, il termine “capitalismo”. Oggi l’intera società è modellata in tutti i suoi aspetti dal capitale, che definisce il modo di vivere di gran parte delle popolazioni del mondo. Un modo spacciato quasi sempre per il solo possibile, magari con qualche inevitabile difetto da correggere – da riformare, insomma – ma comunque un modo sempre presentato come desiderabile, attrattivo. Secondo Gustavo Esteva, nel tempo drammatico che stiamo vivendo questa sorta di pensiero magico s’è infranto. Il capitalismo ha rivelato come non mai il suo carattere insopportabile: la voracità criminale e irresponsabile dell’industria della salute che subordina ai propri scopi un servizio medico che fa ammalare e un sistema sanitario smantellato, per fare un solo esempio. Sebbene il confinamento in casa abbia avuto molte conseguenze nefaste – come per esempio l’aumento della violenza contro le donne, le bambine e i bambini – ha mostrato pure la possibilità, per milioni di persone, di altri modi di vivere, altre esperienze di vita quotidiana, forme più piacevoli e creative di amare, giocare, mangiare, sperimentare la vita in famiglia. Cose che prima dovevano essere riservate, magari, solo ai fine-settimana o alle vacanze. Oggi, così, un numero crescente di persone nel mondo (Esteva scrive dal Messico, ndr) si unisce a coloro che cercano, più con le mani e il cuore che con la testa, un diverso modo di vivere, un mondo che non continui a essere prigioniero di queste condizioni disumane e insopportabili
In questi mesi così significativi molta gente ha scoperto la natura incorreggibile del regime dominante. Sta già cercando altre modalità di esistenza sociale. Il capitalismo e la sua forma politica si sono presentati sempre come una maniera desiderabile di vivere. Allorché il percorso socialista sembrò fallito o perse attrattiva, negli anni ‘80 e ‘90, la via capitalista sembrò non solo desiderabile ma anche la sola possibile. Fukuyama divenne famoso proclamando la fine della storia. Arrivò a dire che il matrimonio del capitalismo con la democrazia liberale era il culmine della storia umana e che non avremmo potuto neanche immaginare nulla di migliore. Molta gente gli ha creduto.
L’idealizzazione del capitalismo viene da molto lontano. La formulazione di Marx nel descrivere – nel Manifesto del partito comunista – le prodezze della nuova classe dominante non ha rivali: “La borghesia ha creato forze produttive più ingenti e più colossali di quanto abbiano fatto insieme tutte le generazioni passate. (…) Ha realizzato ben altre meraviglie che le piramidi egizie, gli acquedotti romani e le cattedrali gotiche; ha compiuto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate” [Manifesto del partito comunista, trad. di Domenico Losurdo, pp. 9.12]. Fra le sue creazioni ci sarebbe il moderno Stato rappresentativo, che sarebbe il consiglio di amministrazione delle sue attività.
Per buone ragioni Marx non ha mai usato la parola “capitalismo”. Si è attenuto alle condizioni del suo tempo, per rifererirsi solo al modo capitalista di produzione. Attualmente, l’intera società, in tutti i suoi aspetti, è modellata dal capitale. Perfino i nostri desideri più intimi ne possono essere determinati da quest’ultimo, è il capitale che definisce il modo di vivere della maggioranza della popolazione. I difetti di questo regime, sebbene siano sempre apparsi evidenti a quasi tutte le persone, non gli toglievano la sua magia, la sua forza di attrazione; in generale si pensava che fosse possibile correggerli per mezzo di riforme nelle quali era impegnata la lotta politica.
È questo che per molta gente sarebbe finito in questi mesi. È apparso chiaro che questo modo di vivere è insopportabile. Che non vi è modo di giustificare le condizioni imposte alla maggioranza. Sebbene il confinamento abbia causato serie difficoltà domestiche, come la violenza contro le donne, le bambine e i bambini, è altrettanto certo che ha dischiuso, per milioni di persone, altri modi di vivere, altre esperienze di vita quotidiana, forme più piacevoli e creative di amare, di giocare, di mangiare, di vivere, di sperimentare la famiglia, cose che prima dovevano essere riservate solo ai fine-settimana o alle vacanze.
Allo stesso tempo, nel corso della stessa esperienza, si è mostrato il carattere profondamente immorale e irresponsabile delle classi dominanti. Sono circolate prove chiare e inoppugnabili di quello che tutto il mondo sospettava: ormai è impossibile tracciare una linea che distingua chiaramente il mondo del crimine dal mondo delle istituzioni.
Ayotzinapa [località messicana dove polizia, esercito e altre forze oscure, in combutta fra loro, uccisero 43 studenti che il 23 settembre 2014 in autobus andavano a una manifestazione di protesta. La strage è tuttora impunita – ndt] continua ad essere il detonatore di una chiara consapevolezza: non c’è area o settore della società e del governo che sia estranea a condotte criminali. Così, emergono prove di quello che tutto il mondo sospettava: il legame profondo fra i cartelli della droga e le banche, ad esempio. Allo stesso modo, si è resa manifesta la voracità criminale e irresponsabile dell’industria della salute, che subordina ai propri scopi un servizio medico che fa ammalare e un sistema sanitario smantellato.
Poche cose hanno reso più evidente la natura di questo regime di quanto non abbia fatto il suo comportamento nel settore del cibo. Già ha un carattere criminale il fatto che i capitalisti producano alimenti che sono causa di ogni genere di infermità e disfunzioni, e che nel farlo distruggano l’ambiente e contaminino tutto al loro passaggio, ma è criminale anche il modo col quale generano i modelli di consumo di questi alimenti. È risultato impressionante il modo in cui i responsabili di questa attività criminale si sono impegnati a difenderla di fronte ad alcuni timidi tentativi legali contro il cibo spazzatura o per l’etichettatura degli alimenti. Il carattere osceno e ingannevole dei loro argomenti è apparso subito evidente agli occhi di tutte e di tutti.
Nulla di tutto ciò è nuovo. Era una realtà nota e riconosciuta, sebbene non tutte le persone lo percepissero con chiarezza. Ma non per questo tentennava la credenza nella bontà del sistema, quando non nella sua onnipotenza. Né i fatti né gli argomenti erano riusciti a confutare questa credenza, formatasi e affermatasi in un ordine diverso da quello della realtà. Ed è qui, in questo ordine, che l’esperienza di questi mesi alla fine sarebbe riuscita a minare e per moltissima gente smantellare quella credenza.
Oggi un numero crescente di persone si unisce a coloro che cercano, più con le mani ed il cuore che con la testa, un diverso modo di vivere, un mondo che non continui a essere prigioniero di queste condizioni disumane e insopportabili. Cresce l’urgenza di arrestare il “terricidio” che continua ad essere praticato insensatamente. E soprattutto si moltiplicano, perfino nei luoghi più impensati, le iniziative di coloro che per stretta necessità di sopravvivenza o per dovere morale hanno deciso di iniziare un cammino che fino a poco tempo addietro appariva impensabile, un cammino che va al di là del capitalismo.
Fonte: “Aprender capitalismo”, in La Jornada, 05/10/2020.
Traduzione a cura di Camminardomandando.
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