Quegli strani indigeni delle montagne del sud-est messicano, quasi alla fine del secolo scorso, avevano deciso di coprirsi il volto. Indossavano un passamontagna perché il mondo intero, che non aveva voluto vederli per secoli, potesse finalmente vederli. Non brandivano la loro identità, affermavano il diritto alla dignità della vita. Per loro e per tutti. Chiunque, con il volto coperto, può essere Marcos, diceva il loro subcomandante. Nel 2011, poco prima di decidere di scomparire, Marcos mostrava al mondo come su quegli indigeni si impone la paura e la vulnerabilità. Un’imposizione – scrive oggi Gustavo Esteva, che degli zapatisti fu consigliere nelle trattattive col governo messicano, al tempo della guerra sucia (sporca) del presidente Calderon – che oggi ha preso la forma-pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana. Serve a imporre condotte che dissolvono l’umano e il confinamento esaspera tutti gli individualismi. Il dispositivo di sicurezza, la mascherina, poi, impedisce di vedere le persone sorridere. Strano il destino delle maschere, no? Oltre vent’anni fa, Marcos ci aveva avvertito che stava cominciando la Quarta guerra mondiale, la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli. Pensavamo fosse una metafora utile per capire meglio e invece era un avvertimento. Oggi, nel caos che domina il nostro tempo, è quasi impossibile trarre conclusioni analitiche, ma è più che probabile che la tormenta segnalata dal subcomandante Galeano e dalle sentinelle zapatiste sia diventata una vera guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse. Non si distrugge fisicamente il genere umano, in questa guerra. Si distrugge la sua umanità, aveva detto il subcomandante. La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita e, tra le altre cose, fin dal secolo scorso ha creato una nuova classe sociale: le persone di cui si può fare a meno, quelle che la classe dominante decide che non serviranno. Mai, nemmeno per essere sfruttate. Eppure, l’impero delle borse finanziarie affronta e affronterà la ribellione (non simmetrica) delle borse della resistenza. Sono ancora parole di Marcos, che aggiungeva: se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivere, esse sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili
Non abbiamo voluto crederci. Ci aveva avvertito, oltre vent’anni fa, il defunto subcomandante Marcos, ma non abbiamo voluto dargli ascolto. Ci sembrò una metafora utile per l’analisi, non quel che era, un avvertimento. Siamo di fronte a una guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse direttamente.
La guerra ha aspetti apertamente criminali. Il Messico è già il paese più violento del mondo, in particolare per certe categorie di persone, come i giornalisti, i dirigenti sociali e i difensori dei diritti umani. Con l’attuale amministrazione (quella progressista guidata da Andrés Manuel López Obrador, AMLO, ndt), si verificano già quattro assassinii ogni ora. Zone sempre più ampie del paese vengono controllate con la forza. In alcune di esse a farlo sono i cosiddetti “cartelli”, che distribuiscono risorse o impongono il coprifuoco. In altre c’è la Guardia Nazionale, che ha un numero di effettivi tre volte superiore a quello della guerra di Calderón, oltre alle forze paramilitari e alle squadre d’assalto. Alcune di queste sono una metamorfosi grottesca di organizzazioni sociali, come quelle che hanno appena attaccato le basi di appoggio zapatiste; altre sono frammenti agguerriti usciti dai sindacati confederali, che controllano lo stesso opere pubbliche e sistemi di trasporto. Nulla di tutto questo, naturalmente, si considera corruzione. Viene consentito e promosso dal governo.
La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita. Riduce le modalità classiche della condizione operaia ed emergina il sindacalismo, che negli Stati Uniti è già tornato ai livelli degli inizi del XX secolo. In Messico la guerra ha smantellato le nostre capacità produttive mediante il “libero commercio”, che fu siglato da Salinas (il presidente che allora AMLO indicava come “il capo di tutte le mafie”, ndt) e si è approfondito lo scorso anno (con AMLO presidente, ndt) con grande entusiasmo di Trump. I lavoratori del settore manifatturiero si trovano soprattutto nelle maquiladoras, nelle quali prevalgono le donne, molte di loro indigene.
Dagli anni Novanta la guerra ha creato una nuova classe sociale: gli scartabili, coloro che mai vorrà impiegare o usare il capitale. La Banca Mondiale ha progettato, per loro, quelli che saranno di troppo, programmi che li manterranno sotto stretti livelli di sussistenza e permetteranno loro di compiere qualche funzione di consumo. Nell’amministrazione del governo di AMLO chiamano questo programmi sociali.
Già nel 2003, il defunto Marcos sembrava anticipare la forma-pandemia di praticare la guerra, quando descriveva la nuova forma del complesso industriale: “Alcune pecore si tosano e altre vengono sacrificate per ottenere alimenti, le “inferme” vengono isolate, eliminate e ‘bruciate’ perché non contaminino il resto“. In questa guerra, “la dignità, la resistenza, la solidarietà, disturbano”. Non si distrugge fisicamente il genere umano, però lo si distrugge “in quanto essere umano”. Non sono solo i funzionari etnocidi e i sicari a perdere la condizione umana. La perdono anche coloro che si attaccano a dispositivi elettronici che li formattano e li controllano. Nel 2011, poco prima di morire, in una lettera a Luis Villoro, il defunto Marcos mostrava come si impone la paura, l’incertezza e la vulnerabilità, una imposizione che da gennaio ha preso la forma pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana, per imporre condotte che dissolvono l’umano. Il confinamento esaspera tutti gli individualismi. La mascherina impedisce di vedere le persone sorridere.
La guerra ha trasformato in nemici le persone di uno stesso settore sociale, nel quale si potevano condividere interessi, essere amici, compagni. Sono, in primo luogo, i desaparecidos che si vedono obbligati ad agire come sicari, oppure coloro che nella vita non trovano altra opzione che una forma di delinquenza, ma sono anche quelli che affidano le proprie illusioni all’apparizione di un qualche messia e poi trasformano in nemici quelli che non ne condividono la fede. Altri ancora formano le onde contrapposte di quello che oggi si chiama “polarizzazione” e che in paesi come gli Stati Uniti prende già forme di guerra civile.
Fin dal 1997, però, lo scomparso Marcos aveva aperto la porta alla speranza. “L’impero delle borse finanziarie affronta la ribellione delle borse della resistenza”, diceva. E aggiungeva: “Se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivenza, di essere migliore, quelle speranze sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili”. (Per questa e tutte le citazioni precedenti: Le 7 tessere ribelli del rompicapo globale – La IV guerra mondiale è cominciata a cura di Camminar Domandando).
Nel 2019 quelle borse si stavano moltiplicavano già da ogni parte. Estese mobilitazioni hanno scosso molti paesi. Si sono formati collettivi sempre più autonomi, che presto si consolideranno come nuclei molto solidi di resistenza. L’8 di marzo di quest’anno la speranza ha acquisito un significato nuovo, di peculiare radicalità. Le donne hanno fatto il passo avanti. Hanno rotto coraggiosamente la presunta “normalità” patriarcale, quella che per migliaia di anni ha “naturalizzato” la gerarchia maschile e il suo esercizio violento e distruttivo. Con loro, dal basso e a sinistra, si tesse ogni giorno il limite della guerra e si creano piccole isole di vita nelle quali entrano ancora il piacere e la speranza, sebbene intorno continuino a perseguitare la pandemia e la violenza, in questa guerra opprimente che sembra senza fine.
Fonte: La Jornada. Titolo originale: Aprender guerra
Traduzione per Comune-info: marco calabria
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