Le soluzioni non verranno dall’alto. A Glasgow, mentre ancora si susseguono convulsi negoziati sulle bozze di un accordo farcito di vaghe promesse che servono soprattutto a coprire l’ennesimo greenwashing, movimenti, comunità e rappresentanti dei popoli indigeni hanno dato vita al People Summit, tre giornate di incontri intensi per raccontare gli impatti reali dei cambiamenti climatici e smascherare le false soluzioni proposte dai leader di governo. Per la quinta volta si è riunito un vero e proprio Tribunale che rappresenta una sperimentazione di nuovi concetti giuridici, come il riconoscimento dei Diritti della Natura all’interno del diritto pubblico internazionale e locale, sulla base della “Dichiarazione Universale dei Diritti della Natura”, che prevede il diritto degli ecosistemi a esistere e il dovere dell’umanità a rispettare l’integrità dei cicli vitali. Il Tribunale doveva necessariamente esprimersi anche sull’operato delle parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e dunque sulle Conferenze di quelle parti (le note Cop). Le ha ritenute colpevoli di violare le dichiarazioni delle stesse Nazioni Unite sui Diritti Umani e di aver preferito favorire le partnership con i soggetti che hanno causato la crisi climatica rifiutando invece l’ascolto e le richieste delle popolazioni dei paesi più colpiti dalle devastazioni prodotte
Attivisti da tutto il mondo sono andati a Glasgow per partecipare al People’s Summit, il controvertice che si è tenuto dal 7 al 10 novembre a cui hanno aderito associazioni, movimenti e organizzazioni della società civile che si battono per il cambiamento climatico.
La tre giorni ha ospitato oltre 50 eventi che si sono svolti in diversi punti della città: dal Glasgow Film Theatre, al Center of Contemporary Arts CCA, al Garnethill Multicultural Centre. Gli spazi cittadini sono stati messi a disposizione di comunità, movimenti e rappresentanti del popolo indigeno che in occasione della COP26 hanno deciso di incontrarsi per raccontare gli impatti dei cambiamenti climatici e le false soluzioni dei leader di governo.
La prima giornata si è aperta con il processo all’UNFCCC, la convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nata nel 1992, i cui paesi firmatari ogni anno si riuniscono in occasione della COP per discutere delle politiche climatiche da portare avanti.
Come in un vero e proprio tribunale 5 giudici hanno ascoltato le testimonianze delle “vittime del cambiamento climatico” e le voci di attivisti e organizzazioni che si battono per la giustizia climatica. L’intero processo si è protratto per oltre 4 ore fino alla decisione da parte del giudice di dichiarare la “condanna” formale del UNFCCC.
Il Tribunale è stato istituito per la prima volta nel 2014 con il nome di Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura per volontà dell’Alleanza globale per i diritti della natura, una rete globale di movimenti nata per individuare i responsabili delle violazioni dei diritti della Natura e delle comunità che la difendono. Il Tribunale mette in scena un “mondo ideale” in cui la legge e le autorità agiscono dalla parte della Natura.
A Glasgow il Tribunale si riunisce per la quinta volta dalla sua nascita prendendo in esame due questioni fondamentali: le false soluzioni dei governi nel contrasto al cambiamento climatico e la difesa dell’Amazzonia che in questo processo svolge il ruolo di “vittima climatica”.
A svolgere il ruolo di pubblico ministero Pablo Solón, Direttore della Fundacion Solon e in passato rappresentante della Bolivia presso le Nazioni Unite.
“Vogliamo che l’Amazzonia sia riconosciuta come soggetto di diritti. L’Amazzonia vivente è sull’orlo del collasso. Se non facciamo nulla ora, non sarà lì tra 10 anni”, ha dichiarato Solon. L’accusa ha portato a suo sostegno moltissime testimonianze che hanno descritto in 5 punti i fallimenti dell’UNFCCC nella difesa del nostro pianeta.
“L’obiettivo è utilizzare il carbonio come una merce di scambio di tipo finanziario – ha denunciato Ivonne Yáñez, attivista ecuadoriana di Accion Ecologica – trasformare la Natura in una cloaca continuando a sfruttarla così come vengono sfruttate le donne e le popolazioni del Sud del mondo. Le false soluzioni sono un business che non tiene in considerazione le persone e il clima”.
Anzitutto i Paesi aderenti alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite avrebbero fallito nell’individuare le cause del cambiamento climatico e il ruolo del sistema economico e dell’industria fossile nella distruzione del nostro pianeta.
Si è poi passati a indicare i fallimenti legati al riconoscimento delle ingiustizie sociali ed economiche causate dai cambiamenti climatici, con un focus sul mancato rispetto dei target di emissione e sul forte attacco alla giustizia intergenerazionale che dovrebbe tutelare i più giovani.
“Sappiamo che il cambiamento non verrà mai dai meeting dell’Unfccc. Sono cresciuta sentendomi ripetere di continuo che noi giovani siamo il futuro, ma di quale futuro stiamo parlando se i capi di Stato non ascoltano le nostre parole e ci chiedono di scendere a compromessi sulla nostra vita?”, ha dichiarato Mitzi Jonelle Tan di Fridays For Future Filippine.
La terza accusa si è invece concentrata sul mancato avvio da parte delle Nazioni unite di una strategia di finanza sostenibile per evitare il crescente indebitamento dei paesi del Sud nei confronti dei Paesi del Nord responsabili dell’inquinamento del pianeta.
“È necessario prevedere un finanziamento di chi inquina di più per i paesi del sud globale che sono i più colpiti dalle emissioni dei paesi più ricchi”, ha tuonato Lidy Nacpil di Apmdd, rete di associazioni di tutta l’Asia impegnate sul tema del debito dei popoli. L’ultima parte delle accuse ha messo in luce l’assenza di strategie per arrivare alla transizione ecologica e la mancata capacità dell’Unfccc di regolare il comportamento delle grandi aziende inquinanti.
“Di fatto l’Unfccc ha permesso che le imprese continuassero a portare avanti false soluzioni, permettendo anche agli stati di avere degli obiettivi di riduzione evidentemente insufficienti”, ha concluso l’economista Patrick Bond.
Al termine dell’accusa il rappresentante della giuria di giudici ha espresso il verdetto dichiarando l’Unfccc colpevole di aver violato le dichiarazioni delle Nazioni Unite sui Diritti Umani favorendo le partnership con i soggetti che hanno causato la crisi climatica e fallendo nell’ascolto delle richieste dei paesi più colpiti dal cambiamento climatico.
“La Cop ha avuto il tempo necessario per studiare una strategia di phase out dai fossil fuels. Invece i governi continuano a difendere gasdotti e difendono gli interessi delle grandi corporations.
L’inquinamento di queste industrie mette a rischio la vita delle persone sulla terra. Solo l’ultimo anno ci sono state 1300 sversamenti di petrolio, quasi 5 al giorno Un record. Tuttavia la Cop continua il suo business as usual”, attivista nigeriano e membro del comitato direttivo di Oilwatch International. Lisa Mead, giurata del Tribunale, insieme a Nnimmo Bassey ha infine così commentato e riassunto il verdetto: “La nostra giurisprudenza deve essere profondamente rivista perché possano finalmente essere riconosciuti i diritti della natura e la sicurezza dei popoli che la abitano.”
Il tribunale rappresenta una sperimentazione di nuovi concetti giuridici, come il riconoscimento dei Diritti della Natura all’interno del diritto pubblico internazionale e locale, sulla base della “Dichiarazione Universale dei Diritti della Natura”, che prevede il diritto degli ecosistemi a esistere e il dovere dell’umanità a rispettare l’integrità dei cicli vitali.
Con un processo alle Nazioni Unite gli attivisti e i popoli in assenza di una giustizia climatica riconosciuta, hanno creato uno strumento di denuncia e di analisi che ogni anno si svolge in concomitanza della COP. Mentre i grandi della Terra continuano a rimandare le loro decisioni, nell’aula del Teatro di Glasgow si celebra il processo dei popoli oppressi, che hanno deciso di “farsi giustizia da soli”.
COP 26 ILLUSIONE E REALTÀ
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