La fobia dell’islam, la repressione del dissenso, il razzismo contro migranti e rifugiati (Baobab). Qualcuno deve pagare per Parigi, hanno pensato quelli che sono in alto mentre continuano il loro affari. Il grande circo mediatico, in questo coro, ha subito cercato in questi giorni qualche capro espiatorio, come dimostrano ad esempio alcune trasmissioni dedicate a quello che resta uno dei quartieri più interculturali d’Europa, Tor Pignattara. Con un volantino scritto in cinque lingue (bangladese, italiano, francese, inglese, arabo) girato per le strade di questo pezzo di periferia romana incline alla vita comunitaria, è stato promosso dai cittadini, migranti e non, di ieri e di oggi, un incontro per offrire alla città uno sguardo diverso da quello fornito da media e autorità. «Una volta i denigrati erano quelli che venivano a Tor Pignattara da altre regioni italiane, come i pugliesi. Chi veniva da altre parti se non aveva un lavoro, un’occupazione, non poteva avere la residenza» ricorda Raffaele, ex operaio della Peroni, residente a Tor Pignattara dagli anni ’50
di Roberto Mondin
Tor Pignattara, uno dei quartieri più interculturali d’Europa. Questo pezzo di periferia romana ha trovato i suoi modi, le sue parole, il suo sguardo sui fatti di Parigi e sulle conseguenze per la vita dei migranti. «Noi siamo uniti e riteniamo che il vero nemico di tutti noi è in primo luogo chi ci governa, con le politiche sociali, e chi tenta di vanificare quei pochi diritti che ancora ci rimangono», ha detto in modo netto Flavio del Comitato Certosa. All’ex sala consiliare della Marranella (luogo caro a Piero Pasolini, qui al semaforo sulla Casilina, conobbe Franco Citti, che sarebbe poi diventato protagonista di molti suoi film), venerdì 4 dicembre, si sono incontrati cittadini del quartiere, migranti di ieri e di oggi. L’iniziativa, proposta dal Comitati di quartiere di Villa Certosa e dall’Associazione Dhuumcatu (associazione bangladese che si occupa principalmente del sostegno ai migranti, diritto alla casa, difesa delle minoranze e libertà di culto), ha visto un’ampia partecipazione di persone che hanno deciso di dissociarsi dalle rappresentazioni che sono state fatte del quartiere, con l’intento di disinnescare la retorica di media stile “La Gabbia” (trasmissione di LA7) o “Quinta Colonna” (programma di attualità di Mediaset) e rafforzare il dialogo tra abitanti, alla luce di quanto accaduto a Parigi.
Un altro obiettivo della serata, hanno spiegato i promotori, è costruire un messaggio diverso rispetto a quello dato dalle autorità, articolato in controlli e speciali misure securitarie. «Non cederemo alla paura», hanno ripetuto molti intervenuti all’incontro. Le notizie che arrivano da Tor Pignattara non sono mai banali e quando viene chiamata in causa è in grado di rapprendersi e farsi sentire, specialmente se le banalità arrivano da fuori.
La complessità di questa realtà emerge proprio in incontri come quello di venerdì 4. Il solo volantino girato per le strade è stato scritto in cinque lingue (bangladese, italiano, francese, inglese, arabo), lo slogan recita: «Dai fatti di Parigi… alla Marranella». «Abbiamo provato grande dolore per le morti di Parigi, come per quelle causate dalle bombe sulle popolazioni irachene, siriane, libiche, afghane, yemenite, palestinesi. Parigi come Kabul, Lahore e Baghdad» spiega un altro volantino. Probabilmente qualcuno fatica un po’ a capire l’italiano, il romanesco, il bangladese o il politichese, ma i forti applausi dopo ogni intervento dimostrano che le semplici intenzioni bastano per capirsi.
Un clima sereno e solidale, che non tradisce diversi percorsi, tuttavia fonda le proprie certezze sull’accettazione dell’alterità come base essenziale per convivere. «Una volta i denigrati erano quelli che venivano a Tor Pignattara da altre regioni italiane, come i pugliesi. Chi veniva da altre parti se non aveva un lavoro, un’occupazione, non poteva avere la residenza» ricorda Raffaele, ex operaio della Peroni, residente a Tor Pignattara dagli anni Cinquanta. La legge sull’urbanesimo, 6 luglio 1939 n.1092 (approvata dal fascismo contro i lavoratori immigrati italiani e non che raggiungevano le grandi città), viene abrogata solo nel febbraio del 1961 a seguito di incessanti lotte sociali. «Oggi gli sfavoriti siete voi, i rifugiati, i migranti degli ultimi decenni» prosegue Raffaele.
L’incontro, poi, si è svolto con un’attenzione verso il prossimo che possa scostarsi da interessi particolaristici e che coinvolga l’intera anima del territorio nel semplice proposito di affermare che le persone non andranno a dividersi per causa di dettati esterni al quartiere. Come ricordano in molti gli effetti che storicamente hanno contraddistinto quest’area comunale, tra le prime a crearsi dopo “politiche del decoro” che hanno concentrato qui gli strati sociali più deboli della città, sono stati quelli di produrre un contesto urbano incline alla vita comunitaria e partecipativa. Le prime consulte popolari nate nel dopoguerra, le lotte per la casa degli anni Settanta, la nascita di comitati a tutela dell’ambiente, si coniugano ai percorsi attuali come nel caso di #nocementoromaest (che si oppone alla speculazione) o quest’ultimo raduno di cittadini. «Qui stasera ci sono famiglie di tanti paesi e confessioni differenti, non solo musulmani», sottolinea Bachu di Dhuumcatu riferendosi ad esempio ai membri della comunità religiose hindu e buddista, nonchè ai cittadini provenienti da Pakistan, Marocco e Senegal.
L’appuntamento quindi si sposta ora a venerdì 11 dicembre data in cui avrà luogo un corteo pacifico per le strade di Tor Pignattara e dove sarà ribadita l’estraneità rispetto alle rappresentazioni diffuse recentemente da alcuni “grandi” media e correnti politiche.
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