La pandemia ha moltiplicato in tutto il mondo i debiti, esasperando un quadro globale già folle. Strumenti come Recovery Fund e Mes si collocano in questo orizzonte: vengono proposti come la panacea, ma sono la causa dei problemi che si finge di affrontare. Si continua infatti a ritenere che l’infrastruttura finanziaria globale sia il terreno in cui proporre cambiamenti senza vedere che essa riproduce le crisi. Del resto il debito è un rapporto sociale, non solo una grandezza economica: l’individuo o la comunità che si indebita realizza un proprio rischio, ma al tempo stesso esprime sudditanza verso il creditore e la mancata realizzazione si trasforma in colpa. Intanto, i fattori che favoriscono la crescita del debito dei paesi (iperconsumismo, disuguaglianze di ricchezza, dominio del profitto, lotta tra stati…) e che rafforzano l’importanza di rispettare i programmi per la sua riduzione sono gli stessi che spingono verso la catastrofe ecologica del pianeta. Il debito infatti serve a trasformare la natura in merce. La questione, dunque, non è affidare la gestione del debito a banchieri, a bravi governanti o a banchieri governanti, ma liberarci di questa gabbia
La pandemia ha sommerso il mondo in un mare di debiti. Non che la situazione fosse del tutto sotto controllo prima dello scorso marzo ma le misure d’urgenza intraprese dai governi per contrastare gli effetti della pandemia sull’economia reale hanno esasperato il quadro. I governi, di concerto o meno con le banche centrali riusciranno a tornare indietro? I paesi riusciranno a ridimensionare le politiche fiscali e monetarie su livelli più consoni? Anche secondo il FMI gli stati dovrebbero pensarci due volte prima di riprendere a tagliare la spesa perché c’è il serio rischio di stroncare sul nascere la ripartenza. È un caso che i due più grandi paesi, Usa e Cina, siano in una situazione simile? I meccanismi di guida sono del tutto diversi, ma il risultato in termini di debito è sostanzialmente pari.
Nel libro dal titolo Il debito sovrano. La fase estrema del capitalismo di Paolo Perulli (La nave di Teseo editore), si parte da questo contesto e come una lama tagliente si entra nel merito di un sistema che è dentro di noi e che ci condiziona a tal punto da farci sentire liberi dentro una gabbia.
Ecco alcuni spunti interessanti di riflessione che ci dicono di come siamo e di come forse poterne uscire.
La religione chiamata economia
Mente finanziaria e corpo tecnologico del capitalismo sono intrecciati globalmente. La finanza mondiale si sviluppa in ambienti dominati dalla tecnologia dell’informazione istantanea, che rende possibili le transazioni nei mercati ufficiali e paralleli in cui circola il capitale finanziario globale entro sempre nuovi prodotti e veicoli. Il cui valore supera di molte volte il Pil mondiale. La tecnologia a sua volta dipende dall’immensa disponibilità finanziaria di capitale di rischio, che permettono alle piattaforme digitali di transitare dallo stadio iniziale a quello di imprese globali in poche anni. Ma le imprese di punta possono permettersi perdite iniziali di mld di $ all’anno, certe che saranno ampiamente recuperati.
Nonostante la differenza quasi antropologica tra gli imprenditori digitali e gli speculatori finanziari un tratto culturale li unifica: è la credenza di una “religione secolare planetaria” che pone il proprio sguardo nella nostra disponibilità immediata e il fine nella nostra pronta realizzazione. Nessun’altra religione di salvezza ha elaborato una simile escatologia, perché lo sguardo sul fine è nelle religioni sempre spostato in un altro tempo, in un altro luogo. Non è così nel capitalismo: il suo orizzonte pratico è la valorizzazione attuale, cui tutti possiamo accedere! Il ruolo del tempo è certamente cruciale nel capitalismo e nel denaro che ne è l’istituzione chiave. Questo tempo futuro ha forti analogie con il tempo escatologico delle religioni, salvo che qui si realizza in un “incantamento secolare” nel mondo costruito attraverso proiezioni sociali e pratiche collettive. L’economia procede dunque per finzioni in cui “credere”. Esattamente come hanno fatto in passato le religioni. Questo è tipico della religione romana, che si basa sul rispetto di formule dettagliate. Anche i popoli moderni hanno seguito questo modello.
Si può così cogliere la dinamica di fenomeni come l’economia del debito che, partendo da assunti e aspettative non logiche – immaginare certi rendimenti futuri ecc -, dà il via libera a finzioni (rituali, atti e formule) del sistema finanziario che ne assicurino la continuità. La verità è che il debito cresce ovunque, nel mondo avanzato e in quello emergente, negli Stati, nelle imprese, nelle famiglie. Il suo principale strumento è il capitalismo finanziario.
È come se l’autore ci dicesse: finché continuiamo a indebitarci è come dire a un tossico solo assumendo ancora altra droga guarirai. Mentre in realtà è quando smetti che inizi a guardare i veri problemi che la droga nasconde. Oggi il debito svolge la funzione di surrogato politico e sociale per la crescita del reddito, nasconde i problemi reali attraverso un’enorme, globale spirale debitoria.
Se la soluzione è la causa del problema
I meccanismi che stanno alla base di questa crisi, l’aumento continuo del debito connessi alla globalizzazione, non sono stati analizzati. Si continua a ritenere che l’infrastruttura finanziaria sia la base dello sviluppo senza vedere che essa riproduce le crisi, non occasionali turbolenze, ma ormai regolarità costanti nel mondo contemporaneo. Oltre che non studiare i modi in cui il debito si riproduce, non vi è un’interpretazione del perché il debito sia alla base del capitalismo nell’epoca globale.
La radice dell’indebitamento risiede nel funzionamento essenziale del capitalismo finanziario. Esso si riproduce mediante l’indebitamento veicolato in prodotti finanziari che il capitalismo finanziario deve continuare a produrre illimitatamente, che a loro volta riproducono debito in una spirale senza fine. E per questa via procede indebitando tutti, perché non vi è protezione o isolamento dal contagio. La globalizzazione attuale, essendo un sistema di tipo finanziario cui tutti partecipano, ne è il principale veicolo.
Il debito è un rapporto sociale
Il debito è un rapporto sociale, non solo una grandezza economica. L’individuo o la comunità che si indebita realizza un proprio rischio, esprime sudditanza verso il creditore la cui mancata realizzazione si trasforma in colpa.
L’antica remissione del debito si trasforma in una complicità allargata tra debitori, che sono però a vario titolo tutti i soggetti protagonisti del capitalismo. Le istituzioni, i governi indebitandosi con i mercati finanziari realizzano la propria piena subordinazione ai meccanismi di mercato e ai suoi requisiti. Primo fra tutti, quello di mantenere una completa opacità sui meccanismi finanziari che guidano il mercato.
Il termine debito sovrano, che inconsapevole ironia, designa la dipendenza degli stati dai mercati, a cui è quindi stata trasferita l’effettiva sovranità. Perciò occorre mettere il debito nel modello economico politico di ogni spiegazione del capitalismo. Perché il debito e con quali conseguenze sulla società?
Il capitalismo funziona perché aumenta la ricchezza e ne allarga l’accesso potenzialmente a tutti, mediante il lavoro e il consumo: ricchi e poveri, sviluppati ed emergenti. Ma se questa ricchezza è prodotta, e questo reddito è distribuito e consumato, grazie al debito e al suo continuo incremento? Se il capitalismo cresce indebitando il futuro? Il modello attuale di capitalismo si basa quindi su questo nascondere un’essenza. Si occulta il perseguimento del “potere e delle ricompense” pecuniarie e psicologiche. Solo un modello che rimetta al centro entrambe le dimensioni occultate, potere e ricompense, e al centro dell’analisi e dell’azione pratica potrà sostituire il modello precedente.
Debito e catastrofe ecologica
I modelli di iperconsumismo, le disuguaglianze di ricchezza, la necessità di crescita dei “paesi in sviluppo”, il bisogno di restare a galla dei paesi già sviluppati, finché questi fenomeni non incontrano un freno il debito si perpetua. Gli stessi fattori che spingono verso la catastrofe ecologica del pianeta. Le principali risorse da sfruttare sono: terra, lavoro, denaro. Ogni volta che viene richiesta una garanzia collaterale al debito, sia di stato, che d’impresa e famiglia, essa si tradurrà in un nuovo affondo su natura, persona, lavoro.
Nell’indebitamento universale si approfondirà l’estrazione di risorse naturali dal suolo, dal sottosuolo e dall’etere, di pluslavoro da lavoro umano planetario, di valore di scambio di relazioni asimmetriche e indebitanti tra capitalismo globale e paesi poveri. La privatizzazione della natura si accentuerà e la proprietà privata si universalizzerà. Ogni progetto di trasformazione privata dell’ambiente naturale comporta un aumento del debito in un doppio significato: Verso il pianeta che viene materialmente intaccato; Verso il pubblico che deve sopportarsene il costo economico e sociale. In ogni progetto di trasformazione della natura da bene comune a risorsa da sfruttare sono pochi gruppi privati a trarne profitto, mentre lo Stato si indebita e la popolazione impoverisce. Elites si arricchiscono mentre la gran parte della popolazione subisce un indebitamento crescente, sia monetario-finanziario che più ampiamente sociale. Questo processo è oggi visibile soprattutto nei paesi emergenti: Sud America, India, Africa, Cina. In alcuni di questi paesi la massima trasformazione è appena iniziata. La persona fa del proprio lavoro di produzione il proprio annientamento, la propria punizione, come pure fa del proprio prodotto una perdita.
Mediante il lavoro estraniato la persona si aliena e infatti si aliena attraverso la degradazione che l’umanità infligge alla natura. Il debito infatti serve a trasformare la natura in merce dovunque nel mondo.
Un inedito scontro finale?
Un inedito scontro finale tra capitalismo ed ecologia si prepara, occultato dai comportamenti dei governi e dalla retorica delle organizzazioni internazionali. I possibili frenatori sono a vario titolo coinvolti nel debito; i governi ne dipendono e lo alimentano; Le banche centrali sono prestatori a qualunque costo.
Anche gli strumenti finanziari come Recovery Fund e Mes si collocano all’interno della scia di strumenti di debito. Essi vengono proposti come la panacea, ma non lo sono. È come dire ai paesi che soffrono di debito anche ambientale: solo indebitandoti ulteriormente potrai uscirne. Ma questo è come dire ad un tossico, solo con un overdose potrai farcela. Gli investimenti di trasformazione sociale e ambientale necessari vanno fatti, ma solo in cambio di una cancellazione del debito che si attua anche attraverso una riforma fiscale e finanziaria globale.
Dal libro possiamo trarre anche un altro insegnamento. Forse oltre che a prefigurare la società della cura, dovremmo imparare a prenderci cura della società, di noi stessi, delle nostre relazioni e di arrivare ad “uscire da noi stessi”, cambiando, perché anche noi siamo chiamati a cambiare se vogliamo trasformare l’esistente. Fiduciosi che un nuovo mondo è già in atto, ma non è consapevole della propria forza.
PIERA dice
Ponete dei dilemmi irrisolvibili a qualunque livello, da saggia pessimista non oso credere a niente ed a nessuno che mi prometta la luna… nel secchio!