La violenza maschile contro le donne attraversa tutti gli ambiti delle nostre vite e si autoalimenta in modo particolare, com’è ormai a tutti noto, nella sfera familiare come violenza fisica, sessuale, psicologica, ma potremmo cercare molti altri aggettivi. Per prima cosa, dunque, sarebbe oltremodo opportuno sgomberare il campo dall’idea, tanto cara al linguaggio mediatico, che si tratti di “emergenza”. Al di là delle analisi che vanno alla ricerca di nessi profondi, come quello con l’amore, un riferimento essenziale ancora concretamente utile, è quello che la violenza aiuta a riconoscere individuandone, per esempio, le fasi nel ciclo proposto da Lenore Walker ormai diversi decenni fa. La riflessione sul patriarcato, grazie alle pratiche e alle culture dei movimenti femministi, ha ormai toccato molte delle corde profonde della violenza di genere, ma spesso nella vita di ogni giorno, quella che conta davvero, ci si continua a chiedere ingenuamente, magari parlando della propria compagna di classe: ma se il suo fidanzato è violento, la umilia, la picchia e perfino abusa di lei, lei perché non lo lascia?
Perché è molto difficile per molte vittime di violenza abbandonare le proprie relazioni tossiche se per loro sono così dannose? Non dovrebbe essere una conclusione ovvia? Se il tuo partner ti usa violenza, ti picchia o abusa di te, perché non lo abbandoni? Non dovrebbe essere difficile, no?
Sono queste le frasi che spesso accompagnano molte riflessioni, legate ad episodi di violenza di genere, soprattutto quando essa si codifica all’interno di un contesto domestico. Come se fosse casuale che le violenze avvengano, in più del 70% dei casi, in ambiente domestico e che il 75,7 % degli stupri in Italia siano commessi da conoscenti (partner, ex partner, amici ). In particolare, il 62,7 % delle donne che subiscono violenza la subiscono dal proprio partner.
Nonostante ciò, l’approccio della società, di molti uomini, e purtroppo anche di molte donne, a quella violenza resta estremamente superficiale: se ti maltratta, ti picchia o abusa di te, lascialo!
Ovviamente non è così facile. Perché molto spesso chi abusa non è uno sprovveduto, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, è un manipolatore esperto, che porta la sua vittima in una spirale di situazioni studiate ad arte per continuare a esercitare il suo potere: il ciclo della violenza.
Di cosa si tratta? Andiamolo a vedere più precisamente.
Il ciclo della violenza è composto da una serie di situazioni, cicliche per l’appunto, che permettono di strutturare il rapporto fra persecutore e perseguitato all’interno di un sistema senza uscita in grado di autoalimentarsi. Il ciclo della violenza non prevede una fine o un’uscita da tale relazione: l’unico modo è romperlo.
Diamo ancora un’occhiata più precisa alle quattro fasi classiche che lo caratterizzano. Nonostante ogni relazione fra vittima e perpetratore della violenza possa presentare particolarità e dinamiche differenti, esistono delle fasi che fungono in linea di massima da comun denominatore a tutte. Sono proprio gli stadi di questi tipi di relazioni che hanno permesso la codificazione, da parte della psicologa Lenore Walker, di un archetipo ben definito.
La prima fase nasce e si sviluppa tramite un costante aumento della tensione fra le due parti. Il soggetto perseguitato, in questo stadio, tendenzialmente tenta di abbassare il livello della conflittualità concentrando l’attenzione sul proprio partner allo scopo di controllarne le reazioni, mentre non sono sporadici i casi in cui la vittima si colpevolizzi per un tale sviluppo degli eventi. In questa fase il persecutore non attua attivamente nessun tipo di violenza fisica ma si definisce tramite atteggiamenti scontrosi e silenzi ostili. Un tipo di violenza che potremmo definire emotiva, mimica e verbale.
La seconda fase è la più drammatica. Vi è una vera e propria esplosione della tensione precedentemente accumulata tramite una serie di reali maltrattamenti. Nonostante che in un primo stadio la violenza possa anche essere di tipo verbale ed emotivo, tramite insulti e svilimenti nei confronti della vittima, molto presto diventa di carattere fisico. Questa violenza presenta una crescita graduale incominciando da semplici spintoni, passando per schiaffi, pugni e calci, fino all’utilizzo di oggetti contundenti o, vere e proprie, armi. Purtroppo non è infrequente anche la violenza di carattere sessuale, utilizzata dal molestatore per sottolineare e ribadire il suo potere sulla sua vittima.
A questo punto inizia la terza fase, divisa in due sottofasi che evidenziano il carattere estremamente manipolatorio del violento.
La prima delle due viene definita “Luna di miele”, in questo passaggio infatti, l’atteggiamento del persecutore è caratterizzato da scuse ed attenzioni amorevoli e compie ogni sforzo possibile per mostrarsi attento e premuroso. Non sono inconsueti regali e promesse di cambiamento radicale e in alcuni casi il vittimismo e la minaccia di autolesionismo vengono utilizzati nei confronti della vittima per impedirne l’allontanamento.
Proprio in questo momento quest’ultima spesso tende a perdonare il suo aguzzino, trovandosi di fronte l’uomo affascinante e affettuoso dei primi periodi della relazione. La vittima lo riaccoglie pensando di essere l’unica in grado di poterlo aiutare nel suo processo di cambiamento, che purtroppo non avverrà mai. Infatti nella successiva sotto fase, “lo scarico delle responsabilità”, il perpetratore della violenza attribuisce la colpa delle sue azioni a fattori esterni: il lavoro, lo stress fino ad arrivare ad accusare il proprio partner e i suoi atteggiamenti che lo hanno provocato, come se potessero giustificare la sua aggressione. Qui la vittima, nuovamente, tende a sviluppare un senso di colpa nei confronti del suo compagno per averne disatteso le aspettative. A questo sentimento si mescola spesso la vergogna. Per ciò che le è accaduto e per la sua incapacità di ribellarsi la vittima si sente debole, arrivando a sminuirsi fino a ritenersi meritevole della sua situazione. Qui il ciclo ricomincia da capo, consolidando lo squilibrio relazionale tra persecutore che abusa e la fiducia in lui riposta dall’altra persona.
La cosa più grave è che il ciclo della violenza tende a diventare una spirale sempre di più ogni volta che si ripete, aumentando di intensità e riducendo il tempo di durata di ogni fase. Più passa il tempo più la vita della vittima è in pericolo e non è possibile prevedere quando l’ennesimo episodio di percosse diventerà, tragicamente, l’ultimo.
Per questo, per una persona è sempre molto difficile abbandonare questo tipo di relazione, é necessario un atto di forza estremamente coraggioso, dall’inizio alla fine, dall’ammissione del problema all’abbandono del partner. Non dobbiamo dimenticare quanto sia importante il fattore della vergogna, non è facile per una persona ammettere di essere succube di un partner violento e di non trovare la forza necessaria per lasciarlo. Forse in questi casi dovremmo essere, tutti nessuno escluso, più pronti a tendere una mano per indirizzare la persona verso la ricerca di aiuto, a cominciare dalle strutture e organizzazioni specializzate di cui ci fidiamo. Per fortuna ormai ce ne sono molte. Altrettanto importante sarebbe evitare di esprimere giudizi semplificati sulle persone e le situazioni senza saperne niente. Perché, è questa la verità, se non ci siamo passati, non ne sappiamo niente.
Daniela Dal Lago dice
Esatto se non ci siamo passati non ne sappiamo niente. Io ci sono passata e ho trovato la forza (tanta) di chiudere. Il fatto è che per molte donne ancora oggi è una vergogna essere sole, ritorna lo stereotipo della zitella, che nessuno ha voluto…E allora? meglio maltrattate che sole! Lui è il colpevole e lei lo è altrettanto per non averlo bloccato in tempo
PIERA dice
la sudditanza a qualsiasi dittatura scelta e/o imposta è sempre tortura per noi stessi e per chi di riflesso deve subire
la droga è disagio
è dipendenza
aggressività,
offuscamento..
la droga è disordine
è tossicosi
inappetenza e,
sciatteria
droga è usurante
autolesiva è,
impoverirsi in solitudine …se, hai un parente..drogato
donagli un soggiorno in
comunità di recupero !
Alessandra dice
Io rimango dell’idea che un uomo così non meriti di essere inserito in una società. La vera difesa per le donne sarebbe un intervento che da loro prescinde. Riconoscendo la violenza come un atto da
Controllare coattivamente soprattutto in un contesto dove il sentimento è un chiaro ostacolo alla denuncia.