Camminare ha offerto spesso la possibilità alle donne di ritrovarsi insieme, di sottrarsi al controllo, al potere, alla violenza, al dolore. Camminare ha favorito anche il recupero di una propria narrazione, personale e collettiva, come quella sorprendente e intensa emersa con la maratona di incontri web del “Festival delle Ragazze in Gamba”. Lo slogan del festival era “Il cammino di una è il cammino di tutte”: pare sia stata una promessa di solidarietà decisamente mantenuta
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Qui raccontiamo cosa è successo qualche giorno fa su web e anche cosa è davvero un “successo”. Non è una questione di applausi – che oggi in tempi di virtualità sociale sono ridotti ai like sui social – o di complimenti ed elogi, grande audience e attenzione mediatica. Il successo è quando ci si trova insieme a condividere la propria vita, le proprie vocazioni e talenti, e ci si sente compresi. Ecco quello che è accaduto durante il primo “Festival delle Ragazze in Gamba” e quale è stato il suo successo. Non a caso lo slogan del festival era “Il cammino di una è il cammino di tutte”. Una promessa di solidarietà che è stata mantenuta. Per una intera settimana si sono alternate testimonianze di cammini di donne inarrestabili sui sentieri e nella vita che, con le loro parole, hanno toccato le corde più profonde di chi ha ascoltato, avviando una sorta di terapia di gruppo con migliaia di partecipanti e oltre sessanta interventi tutti seguitissimi tanto da dare vita anche ad un “post-festival”. Perché quando la meraviglia ha inizio, non si vorrebbe che finisse mai.
Ilaria Canali e Cinzia Pennati, rispettivamente ideatrice della “Rete Nazionale Donne in Cammino”, e autrice, la seconda, del blog “SOSdonne”, di due libri nonché madrina del Festival, si sono date appuntamento online per inaugurare insieme il “Festival delle Ragazze in Gamba” in una giornata significativa – l’8 marzo – in una diretta dal titolo “Saziamo la nostra fame. Quando alle donne è chiesto di rimpicciolirsi” ispirata dal libro Le divoratrici di Lara Williams. Un incontro nel quale Cinzia Pennati ha parlato della conquista dello spazio delle donne e per le donne, della visibilità, e della felicità come concessione del desiderio di essere una donna che “straborda” nelle richieste e nei ruoli che assume.
Cinzia Pennati, si diceva, è stata indicata come madrina del Festival delle Ragazze in Gamba per molti meriti tra cui quello di vedere che Cinzia è una donna in cammino che sa perfettamente come miracolosamente e splendidamente “strabordare” nella molteplicità di ruoli che riesce a tenere insieme: è insegnante, scrittrice, madre, attivista sui temi femminili attraverso un’intensa attività social e di blogger, collabora con Comune, insegna da più di vent’anni in una scuola pubblica ed è specializzata nell’insegnamento ai bambini con disabilità. Nel 2016 ha aperto il blog Sosdonne che ha avuto ad oggi 4 milioni di visitatori. Ha pubblicato nel 2018 un romanzo di narrativa per Giunti Il matrimonio di mia sorella, ad ottobre 2020 è uscito per Mondadori un albo illustrato dal titolo: Ai figli ci sono cose da dire.
La “Giornata Internazionale della Donna” dell’8 marzo è stata la cornice di riflessione più giusta per dare avvio a un percorso innovativo rappresentato dal “Festival delle Ragazze in Gamba”, un’idea che trae la sua ispirazione dal gruppo social delle “Ragazze in Gamba” della Rete Nazionale Donne in Cammino, la più grande community di donne in cammino in Italia. È stato il momento di lancio di una vera e propria maratona di incontri on line durato sette giorni, in un incredibile lavoro di squadra, composto da molte donne, ognuna con una propria e specifica identità personale e professionale che si è fatta racconto, raccordo e anche accordo di una nuova armonia.
Testimonianze, approfondimenti, pensieri, ispirazioni che hanno segnato questo “cammino” corale, partecipato e sentito. Un cammino di gruppo probabilmente iniziato nell’antichità e mai terminato che continua ancora oggi, con tutte noi, con la nostra fame, come ha ben detto Cinzia Pennati, per un nutrimento di abbondanza, di parole piene e quasi tangibili, di bellezza, di arte, intuizioni, esplorazioni, energia, slanci, percezioni e tutte le infinite declinazioni della curiosità.
Un percorso inesorabile e potente che si fonda, come la storia rivela alle nostre attente riflessioni, sulla condivisione di un nostro potere valoriale che ci appartiene da sempre, che è lì nelle nostre radici di donne, simbolo della fertilità/vitalità femminile, come ritroviamo espresso attraverso i pensieri e le parole di Clarissa Pinkola Estes, scrittrice, poetessa, psicanalista, nel libro La Danza delle grandi madri (di lei non possiamo non ricordare il suo libro d’esordio Donne che corrono coi lupi) ; donne che si ritrovano insieme “per mantenere il proprio spirito vitale, in quello spazio, diverso nei tempi e nelle forme, ma comunque sempre pronto ad accoglierti, senza giudizio, senza sopraffazione o guerre, in uno spazio che è di vicinanza sensibile, proprio come fossimo tante “Comadri” (in spagnolo significa “essere contemporaneamente l’una la madre dell’altra), una vicina all’altra, una a protezione dell’altra.
A rappresentare oggi il significato di questa parola spagnola ed il senso che porta con sé, possono essere proprio loro, Ilaria Canali e Cinzia Pennati, entrambe un po’ “comadri” di tutte noi della Rete Nazionale Donne in cammino e di SOSdonne.
È difficile pensare a una “sintesi di contenuto” del Festival delle Ragazze in Gamba sia per la varietà degli interventi sia per la loro quantità e qualità. Un resoconto puntuale di ogni testimonianza non potrebbe restituirci ciò che è dietro alle parole, alla ricerca che consente di elaborare temi che da sempre ci riguardano tutte, ognuna con la propria storia. Ciò che emerge dal Festival, però, è un impegno, sia ideale che fattuale e operativo, che riesce a dare forma ad un linguaggio di senso, denotativo delle differenze di genere costruite dalla cultura maschilista e dalla sua influenza in ogni campo, dalla sfera politica fino all’uso corrente di un linguaggio, ritenuto erroneamente neutrale, come ha spiegato Giulia Siviero, giornalista de il Post, nel suo intervento nel corso del Festival delle Ragazze in Gamba dal titolo “Il linguaggio di genere spiegato bene”.
Il nostro compito, prima verso noi stesse, poi verso la società, per la decostruzione di modelli maschilisti di riferimento considerati non contraddittori e ormai acquisiti come naturali, è proprio quello di “scucire” (noi siamo “tessitrici culturali”), di dilatare le maglie strette di una realtà predefinita e funzionale ad un racconto declinato “monograficamente” nei secoli e per questo percepito poi come naturale, ovvio, ormai acquisito e perciò egemonico.
Noi rendiamo visibile ciò che non lo è e il riconoscimento che operiamo come donne, della pluralità del pensiero in contrapposizione al relativismo operato dalla cultura dominante, è quello che fa la differenza. La differenza è lì, nella possibilità di nuove sintesi, di nuove narrazioni, nuovi impulsi, efficaci nel trasformare processi e pregiudizi radicati dal/nel tempo, favorendo come dichiarava la giornalista Siviero, una rappresentazione sociale delle donne corrispondente. Questo movimento, questo “cammino” di idee, di valori, di beni e simboli che appartengono alle donne, è ciò che può riformulare le nostre vite, riposizionandole centralmente in questa contemporaneità così omologata e globalizzata al maschile.
Le parole di Cinzia Pennati, come sempre, fanno centro: “Tutte le eroine sono contenute in un ruolo… saziare la propria fame…. Il diritto ad essere felici”. Attraversiamole queste parole; la storia, l’immaginario mitico degli antichi popoli, le rappresentazioni del mondo femminile nei secoli, ci hanno restituito un’idea di donna incantatrice, seduttiva (ad esempio le muse, le sirene), un’idea di donna che “illuminando” il mondo maschile, oscura il proprio. Una strategia politica, sociale, affettiva che espropria la donna da se stessa per riconsegnarla, funzionalmente, ai poteri dominanti di un patriarcato, di uno Stato, di una famiglia, di una chiesa. Così come tutto questo si è costituito e rafforzato in un progetto storico e articolato che ha determinato la differenza di genere, valoriale e asimmetrica, così noi abbiamo la capacità, oggi, di credere in qualcosa che lo trascenda, un qualcosa che disgreghi la trama dei racconti monografici maschili, racconti ad alto rischio di perdita dell’identità femminile, qualcosa che è la fede nella nostra rappresentazione identitaria, l’unica che può farsi “progetto possibile”.
Ilaria Canali e Cinzia Pennati rappresentano, oggi, il senso di questo possibile progetto. Se è vero che ogni processo identitario si delinea, si forma attraverso le relazioni con gli altri, questo è ancora più reale per le donne che storicamente hanno subito nel loro isolamento sociale, affettivo, questa grande operazione “disconoscitiva” che ha impedito la conquista di quel diritto acquisito e riconosciuto, per ogni uomo, ma non per ogni donna, ad essere felice. Un progetto strutturato e consolidato storicamente che ha sancito l’inadeguatezza femminile nel proprio diritto alla felicità. Divergenze, subalternità, svalorizzazioni e differenziazioni del “diritto” che non sono riconducibili alla realtà biologica, bensì a quella culturale che si struttura attraverso una diversa distribuzione dei poteri, dei ruoli, del controllo.
La discontinuità storica ha sempre rappresentato un modo, un’opportunità per sovvertire un ordine e le donne hanno fatto propria questa discontinuità nel seguire, in ogni tempo, un loro richiamo interno, potente, segreto, da difendere e proteggere. Quel sé inteso come possibile via di fuga che è la forza per catalizzare energie, aprendo mente e corpo a una bellezza interiore femminile, non riconosciuta nella solitudine, ma resa visibile, invece, nella condivisione. È quello che credo si possa leggere tra le righe, nelle storie del mondo, attraverso i simbolismi delle arti femminili, quelle presenti nelle nostre mani o nella “cruna dell’ago”, un modo di tessere collettivamente le proprie identità di genere, di lasciare un segno di sé nelle trame delle tessiture, dei ricami, come prova indelebile del personale senso di esistere nel tempo, nel proprio tempo, come Penelope ha dimostrato.
I fili della vita, il significato del ricamo, della tessitura, di un’arte raffinata di sensibilità preziose e capacità, di competenze considerate sempre “minoritarie” rispetto alle arti maschili, ma diffuse e trasversali in ogni epoca, in ogni luogo, in ogni ceto sociale.
Un modo di affidare all’arte femminile, compresa l’arte del camminare oggi, quasi come un nostro mantra silenzioso, il proprio destino, di cercare una forma terapeutica per affermare quell’identità negata, eppure “affamata”, come ci ricorda Cinzia Pennati nell’incontro video con Ilaria Canali, di desideri, di saperi, di culture, di affetti, di condivisione. Un’arte, una forma terapeutica, che ha sancito la possibilità delle donne di ritrovarsi insieme, di sottrarsi al controllo, al potere, all’ingiustizia, al dolore, recuperando una propria narrazione, personale e collettiva, che scorre sulla trama di un filo di seta, simbolo della trama della propria vita (“I fili della vita” di Clare Hunter, storie scritte con ago e filo).
In proposito, mi colpÌ molto una mostra insolita che vidi pochi anni fa, “Le madonne vestite”. L’uso di questo culto risale al 1.500 ed ebbe un gran successo nei secoli ma fu interrotto, senza conoscerne le ragioni, dal Papa Pio X (1903/1910). Forse questa intimità che scaturiva durante le vestizioni praticate dalle donne, abbellendo le madonne di tessuti preziosi, ricamati e ornati di pietre, questa confidenza con il sacro femminile, con un’immagine venerata e così potente, tanto che era vietato l’accesso agli uomini durante tutto il periodo della vestizione, non era forse gradita a un papa. Fu così che i vescovi, obbedendo al papa, distrussero molte statue di legno, che rappresentavano la madonna; alcune sono state ritrovate ed esposte nella mostra, altre potrebbero ancora trovarsi in luoghi nascosti. Potremmo cercare i contenuti antropologici in questa ricerca identitaria, sociale, affettiva, artistica, culturale delle donne nei secoli, ma intendo avvicinare il passato al presente e viceversa, per rappresentare quell’energia femminile che scorre oggi sui social di Ilaria e di Cinzia, a dimostrazione di un’identità di genere che ha necessità di essere riconosciuta nella sua differenziazione dai modelli maschili e in grado di poter modificare regole e norme accettate come assolute.
Il Festival delle Ragazze in Gamba si è fatto racconto di una pluralità femminile rivoluzionaria e diversa a dimostrazione che le “storie sono realtà” nel momento stesso che le raccontiamo, che le rendiamo visibili e condivise. Esiste un fenomeno che gli psicologi definiscono negativity bias, predisposizione alla negatività, ossia sembra che siamo più sensibili alle storie che raccontano il male che a quelle che raccontano il bene, creando una distorta visione del mondo.
E noi? Le pagine della “Rete Nazionale Donne in Cammino” e il gruppo delle Ragazze in Gamba mostrano con forza un cambiamento di rotta, una visione creatrice e fiduciosa del mondo, un mondo non di guerre, di potere, di violenza e sopraffazione, un mondo che non è più corrispondente alla visione storica dell’evoluzione del “gene egoista”. Un mondo in cui ognuna è lì per l’altra. “Il Cammino di una è il Cammino di tutte”. Appunto.
Informazioni
Pagina Fb: Rete Nazionale Donne in Cammino
GRUPPO “ RAGAZZE IN GAMBA”
Link: Ragazze in Gamba
FESTIVAL DELLE RAGAZZE IN GAMNA
Pagina FB: Festival delle Ragazze in Gamba
Quando leggo di queste iniziative come uomo di 62 anni disabile bisessuale mi viene l’acquolina in bocca come mi piacerebbe che tutto ciò fosse possibile in un contesto allargato sia a donne che a uomini.