Dopo il sabato di terrore di Parigi abbiamo raccolto notizie e analisi ma soprattutto commenti e proposte. “Scoppia la Francia, Rabbia e speranza” è stato uno degli articoli più letti in questi giorni e ha messo insieme voci molti diverse, tra cui il messaggio della Rete di Cooperazione Educativa. Da qui è partito un ulteriore scambio che ha coinvolto maestre, educatori, insegnanti, scrittrici: lo riproponiamo come frutto di una scrittura collettiva capace di ridare dignità alla parola pace. Si tratta di un tentativo di cercare nella tormenta in corso la speranza dove si pensa che non esista più. Alla domanda che fare con bambini e ragazzi di fronte all’orrore del terrorismo e della guerra, con quali parole raccontare e condividere pensieri e paure, provano a rispondere anche gli interventi di Alessandro Il terrorismo spiegato ai bambini, e quello di Paolo Limonta, maestro, Continuiamo a occuparci di loro (un altro, di Rosaria Gasparro, sarà pubblicato domenica 22 novembre). In uno dei messaggi dello scambio, tra l’altro, si legge: “In questi giorni surreali mi sono chiesta: dove sono i Pacifici? La risposta che mi sono data è che sono lì, nella città ferita: sono coloro che raccolgono i cocci creati dalla forza violenta e distruttrice, sono persone che aprono le porte, sono madri, sorelle, fratelli, figli, che piangono i loro cari senza desiderare la morte di quelli altrui, sono persone comuni, che decidono di non soccombere alla narrazione dello scontro di civiltà, ma instancabilmente tessono e tesseranno fili di dialogo…”
a cura di Carlo Ridolfi*
Domenica 15 novembre, a poche ore dal sabato di terrore di Parigi, messenger è diventato il luogo della scrittura collettiva di una riflessione comune. Ne condividiamo alcuni passaggi, che forse avranno sbocchi pratici, o forse no, ma non è questo che importa, oggi. Importa che non ci si lasci sovrastare dalla paura – che pure è presente e non va negata. Importa che non si perda di vista il restare umani.
Luciana
Esco ora dall’ufficio postale dove ho spedito le Cartoline dei Pacifici ai duemila bambini e bambine italiani che hanno partecipato al progetto sulla pace promosso dalla Rete di Cooperazione Educativa. Parigi è vicina, Parigi siamo noi che ogni giorno coltiviamo la speranza, con determinazione e mitezza per un mondo diverso.
Margherita
Grazie Comune, grazie a Luciana, e grazie a chi ha scritto il messaggio, che ovviamente condivido, per la Rete. Continuiamo a seminare e a parlare di pace… senza stancarci! Anzi, che questo ci dia la forza per immettere ancora maggiore energia in ciò che facciamo.
Una pedagogista mi scrive: «Ciao Margherita, mi rivolgo a te perché ho avuto modo, anche se a distanza purtroppo, di seguire il “lavoro” della Rete di Cooperazione Educativa e in particolar modo quest’anno le carovane dei pacifici. Ti scrivo “di getto”, in questo momento, perdonami le parole confuse, ma per l’ennesima volta oggi come ieri, guardando alla situazione mondiale, mi sento straziata e impotente rispetto alle logiche di potere e interesse che ci circondano e distruggono l’umanità… tutta l’umanità. Mi rimane solo la speranza, quella speranza che condividiamo e guida i nostri passi, la speranza dell’educazione, del prendersi cura di chi diventerà il cittadino di domani. Lo so, ci stiamo già provando, in varie realtà territoriali e non, prtendo dalle “piccole cose” i pacifici sperano e si impegnano per un mondo migliore. Oggi però Margherita mi chiedo se non ci sia bisogno anche di un forte segno comune, di un’azione “simbolica” che possa far sentire la voce di chi come noi educa in una direzione “ostinata e contraria” al resto del mondo. Il titolo del giornale Libero di oggi (“Bastardi islamici” ndr), solo per fare un esempio, non é solo notizia, fa anche cultura, indica una strada. La indica anche e soprattutto ai giovani. Io non ci sto più. Vorrei che si alzasse un “grido” diverso! Come quello delle vostre carovane! Possiamo fare qualcosa insieme? Fare rete e far sentire la nostra voce? Come al momento non so ma siete la prima realtà che mi viene in mente a cui comunicare la mia voglia di reagire».
Vorrei che le pagine dei social, i balconi, le strade, le scuole fossero “invase” da un messaggio di pace. Non banale, non retorico, che abbracci il mondo! non solo Parigi! che scuota i potenti… é possibile? È utopia? Ci possiamo provare?
Possiamo provare a raccogliere questa voglia di reazione e cercare di trasformarla in azione?
Emanuela
Ostinato e contrario ma anche pratico, se possibile. Urge far comprendere a fondo, nei comportamenti quotidiani, che essere pacifici significa anche correre rischi.
Un grande scrittore raccontó la storia di uno specchio che rifletteva la Luce e che andó in frantumi. I Pacifici sono coloro che con pazienza raccolgono le schegge per poterle rimettere vicino a riflettere la luce. Una piccola scheggia di specchio, vicino alle altre, puó riflettere di nuovo la luce.
Lisa
Fili che ricuciono il tessuto umano delle nostre città e periferie, sarti che confezionano un abito nuovo, multicolore, non preconfezionato ma “su misura” alle nostre città. Sono alcune immagini che mi vengono in mente.
Valentina
C’è chi propone di accendere una candela sulla finestra… È arrivato anche al gruppo classe della Marghe e la mamma di una bambina musulmana compagna di Marghe ha risposto: “No”. Un semplice “no” che mi ha gelato.
Elena
È faticoso tenere la barra della ragione e della speranza. Più facile semplificare e contrapporre.
Margherita
Beh.., bisognerebbe capire cosa c’è dietro quel “No”. Molti musulmani stanno condannando pubblicamente i fatti di ieri sera.
Elena
Non è una questione di guerra di religione. Non lo è.
Margherita
Già… La religione viene strumentalizzata: qui è solo violenza estrema, direi anche malata.
Elena
Non è questione di Islam. O meglio è una questione interna a sunniti e sciiti e benché sembri ‘religiosa’ è comunque geopolitica. La guerra di religione è sempre un concetto ‘scudo’ che nei secoli è servita alle Crociate con ‘Dio lo vuole’ contro gli Ottomanni, a Riforma e Controriforma in Europa, a fare da scudo sulle spinte egemoniche di questi o di quelli. Gli occidentali hanno deciso dopo l’11 settembre di mettersi dalla parte degli sciiti, i sunniti e il loro idolo Saddam abbattuto hanno trovato incomprensibile il voltafaccia (il famoso Islam moderato è sunnita, coi suoi pozzi di petrolio e i rubinetti d’oro) adesso cercano di destabilizzare con le armi più feroci e bestiali. Se noi raccogliamo la visione ‘Oriana Fallaci’ credo prendiamo una strada senza possibilità di ricomposizione perché ci portiamo sul terreno dell’irrazionale (cosa più irrazionale del conflitto di religione). E se questi assassini gridano ‘Allah è grande’ è perché serve a loro a giustificare se stessi e a precipitarci in un pozzo di odi contrapposti. Ma tutto è sempre molto complicato e credo, le semplificazioni non aiutano. Certo che le vittime ci straziano, perché potremmo essere noi, come dice la poetessa. Questa non è che una piccola personale riflessione, non è certo una risposta.
Luciana
Anch’io sono d’accordo con quanto scrive Elena, anche se purtroppo è diffusa l’opinione che si tratti di “guerra di religione”, un alibi per non cercare le vere ragioni di un conflitto complesso e difficile da affrontare.
Margherita
Troppa gente si ferma e giudica stando alla superficie delle cose…
Patrizia
Suggestiva l’idea dei fili che ricuciono il tessuto umano nelle nostre città, mi ha fatto venire in mente quella rete strappata con cui Giuseppe Mantovani, nel suo libro “L’elefante invisibile”, descrive la cultura occidentale, in apparenza vincente su scala planetaria. Nella prospettiva culturale di Mantovani si tratta di
«Una rete che deve più delle altre, continuamente aprirsi per far posto alle nuove esperienze che vengono portate al suo interno da ogni parte del mondo. Essa non può rinunciare ad accoglierle, sotto pena di isterilirsi […] La forza di una cultura si manifesta nella sua capacità di accogliere altri mondi e di aprire la mente dei suoi membri e nella loro volontà di vedere le differenze e di apprezzarle (l’abito nuovo), anche se ciò può risultare disorientante. […] La nuova frontiera non è quella di costruire macchine sempre più potenti e di abituarci ad ingurgitare incredibili quantità di informazione, ma quella di imparare a salvare il tempo necessario per la riflessione e per l’incontro con l’altro […] La nuova frontiera è quella di evitare altre Bosnie, altre Cambogie, altri Olocausti, altri Gulag. Il passato non può essere visitato trionfalisticamente […]Le pagine meno gloriose del nostro passato sarebbero le più istruttive se solo accettassimo di leggerle per intero. Il passato è fruttuoso non quando serve a nutrire il risentimento ma quando il suo gusto amaro ci spinge a trasformarci».
Valentina
I pacifici come tessitori di pace mi piace. Ho appena letto con Ada “L’indimenticabile estate di Abilene Tucker” e racconta della “trapunta della vittoria” firmata da Wilson e venduta all’asta per acquistare Liberty Bond a sostegno dei giovani al fronte. Lasciando perdere questa introduzione, i Pacifici come tessitori di pace mi piace proprio. Potremmo proporre quadrati di stoffa 20×20 (misura rigorosa così che poi possano coincidere i vari pezzi), dove disegnare i pacifici. E poi metterli insieme. Non diventerebbe una trapunta ma una sorta di lenzuolo, possibilmente nel risultato molto colorato. Perché no, anche firmati ad assemblaggio finito da “rappresentanti di spicco” sostenitori di pace. O anche semplicemente dalle associazioni che insieme si stanno occupando di questo progetto (Rce, Comune-info, Vento di terra…) . Non so, butto lì pensieri…
Carmelita
Belli i pezzi di stoffa che poi uniti diventano un grande telo… La coperta della pace, fili di pace che uniscono figli della pace.
Margherita
Il patchwork della pace!
Valentina
Un filo riparatore, un filo che unisce. Un filo uguale per tutti. Un filo che accomuna.
Margherita
Però allora dev’essere un filo bello grosso se si deve vedere e deve avere questo risalto.
Carmelita
Un filo di lana, pensavo… che è bello evidente.
Valentina
Un filo che virtualmente non si spezza ma conduce.
Emanuela
Cara Luciana, e gente di questa chat, sono tornata da poche ore e ho trovato la fonte della storia sui frammenti di specchio. Forse nella memoria ho messo insieme sole e specchi, fede e pace. Ma simbolicamente mi sembra una storia molto bella. Io penso che sia necessario ora che con i bambini si “rifletta”. Che non ci si faccia prendere dall’ansia di troppe rappresentazioni metaforiche e di troppi lavori, che soprattutto tappano la nostra ansia e il nostro senso di impotenza (bisogna pur fare qualcosa). Ma piuttosto che si lasci emergere il pensiero dei bambini, i loro punti di domanda che – forse – sono anche i nostri o servono a sbloccare anche le nostre domande. Riflettere è sempre riflettere anche un po’ di luce. Lasciamo che la luce arrivi, da queste riflessioni, a poco a poco e, ne sono certa, rimarrà dentro, anche al di là dell’urgenza di realizzare lavori simbolici.
Luciana
Grazie di cuore Emanuela. Farò tesoro di questo bellissimo racconto proponendolo alla riflessione dei bambini e bambine della classe quando, già domani mi potranno domande sui fatti di Parigi. Sono d’accordo sul proseguire con “ostinata pazienza” sul progetto intrapreso coinvolgendo i bambini e, dove possibile, le insegnanti. Oggi leggevo un passo di Ernesto Balducci su “Costruire una cultura di pace” che riporto.
«Noi siamo in un vuoto pedagogico drammatico. Non ci sarà il pedagogista che crea la buona pedagogia: essa sarà un’invenzione corale. Dobbiamo inventarla con molta fiducia. La pedagogia è creazione che presuppone una grande fiducia nelle risorse della coscienza a contatto con le contraddizioni che stiamo vivendo».
Emanuela
Sì, ne sono convinta. Sto rileggendo la lettera che Terzani scrisse alla Fallaci dopo l’attacco alle torri gemelle. Preoccupato dell’impatto che le parole d’odio della giornalista avrebbero avuto sui ragazzi nelle scuole. La stessa parola “fiducia” la ripete Michela Murgia, commentando l’azione immediata dei parigini che chiedevano di aprire le porte per dare rifugio a chi scappava. Dobbiamo recuperarla, questa fiducia!
Luciana
Sì, prima di tutto noi adulti perché siamo in molti ad averla perduta come abbiamo perso la cura e il significato delle parole.
Alice
Che belle cose state dicendo! Condivido sull’aver fiducia e aver cura degli altri, non lasciarsi andare alle paure, riflettere noi adulti e far riflettere i piccoli.. E boicottare aziende e prodotti, banche che finanziano le guerre.
Gabriella
Vi seguo e sono con voi: portiamo a scuola e con i bambini le cose belle semplici e positive il rispetto e la gentilezza e non smettiamo mai di sperare in un futuro migliore.
Emanuela
Penso sia importante lasciare traccia di una “memoria” che sia volontà di trasmettere altri modi di reagire. C’eravamo. Sì, c’eravamo e sapevamo. Non bene, non completamente ma abbiamo visto. Dobbiamo trasmettere la memoria di una storia che non è la Storia che vorranno trasmettere i potenti.
Luciana
E se possibile diamo voce anche ai bambini e alle bambine che ci sono, vedono, ascoltano e sanno “pensare grande”. Raccogliamo le loro parole, con rispetto e cura della libertà di espressione di ciascuno, cresceranno cittadini responsabili. A proposito di parole, del loro significato… per noi maestre: prima di “insegnare” (in – signum, lasciare un segno, un sigillo, una traccia), con i bambini torniamo ad “imparare” (“parare”, preparare un banchetto, mettere in ordine le idee). Un compito difficile ma anche affascinante!
Margherita
Riprendendo l’immagine delle schegge di pace. Penso: ma cosa porta alla pace? da che cosa è composta? quali sono gli “ingredienti” per ottenerla? su che cosa puntare, giorno dopo giorno, con le persone che ci circondano e che possiamo “nutrire” educando alla pace? E allora penso non solo a parole, ma anche a gesti, che, come si diceva, devono ri-acquisire valore: il rispetto per l’altro, l’accoglienza, la solidarietà e il mutuo aiuto, l’inclusione e l’integrazione, la responsabilità sociale e il senso di bene comune, l’idea che il problema dell’altro è anche problema mio, la capacità di empatia, la democrazia, l’interesse per ciò che è diverso perchè nella diversità c’è valore e non limite. La pace è un bene prezioso, per tutti, così importante quanto fragile e ognuno di noi deve contribuire, giorno dopo giorno, a costruirla e a mantenerla. #facciamolapace
Emanuela
Aggiungo solo un ‘rovesciamento’: da chi ci facciamo nutrire? A chi permettiamo di darci un modo di pensare? A chi lasciamo l’iniziativa di accoglierci, perché ci sia reale parità, reale comunicazione? Abbiamo troppo in mente il nostro inchino verso gli altri e poco che possano essere altri quelli che ci possono dare, insegnare, accogliere. Ma forse sono solo pensieri di una sera stanca.
Lisa
In questo giorno surreale mi sono chiesta: dove sono i Pacifici? La risposta che mi sono data è che sono lì, nella città ferita: sono coloro che raccolgono i cocci creati dalla forza violenta e distruttrice, sono medici che curano i feriti, sono persone che aprono le porte, sono madri, sorelle, fratelli, figli, che piangono i loro cari senza desiderare la morte di quelli altrui, sono persone comuni, che decidono di non soccombere alla narrazione dello scontro di civiltà, ma instancabilmente tessono e tesseranno fili di dialogo e di conoscenze con chi è diverso, sono giovani musulmani inorriditi dalla follia di chi si professa credente ma invece compie omicidi. Perché la distruzione, la divisione, l’odio, sono processi rapidi, semplici, basta un manipolo di fanatici e la vittoria arride. Ma se la rete della pace ha un tessuto fitto, ogni lacerazione sarà riparata. Non ci sono altre strade. I Pacifici sono tessitori.
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* coordinatore Rete di Cooperazione Educativa “C’è speranza se accade @”
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