Non c’è limite all’orrore, non c’è tregua per il dolore e non c’è freno all’ipocrisia. Di fronte ai massacri consumati ogni giorno tra le onde o nelle stive dei pescherecci, i movimenti e le associazioni che da decenni si battono per salvare le vite e riconoscere i diritti e la dignità dei migranti tacciono sgomenti. “I governi forniscano urgentemente alternative legali ai pericolosi viaggi in mare, garantendo alle persone bisognose la possibilità di cercare e trovare protezione e asilo”, insiste l’Agenzia per i rifugiati dell’Onu. Matteo Renzi e colleghi, al solito, fingono di non capire. Vivono in un altro pianeta, loro. In una soap opera dove si deplora, si promette e si torna leggiadri a occuparsi d’altro. Peggio: mentre farfuglia sull’efficacia di Frontex plus (contro le laringiti?) e sull’eroismo dei programmi di salvataggio, Renzi ora vagheggia sul ritorno a un’Europa faro di civiltà per le popolazioni arretrate. Un lessico intriso di eurocentrismo neocolonolianista che, forse per pudore, era stato accantonato da tempo. Più investimenti e sviluppo in Africa, insomma. Una ricetta geniale quanto innovativa per fermare le stragi
di Cronache di ordinario razzismo
Non sono trenta, bensì quarantacinque le persone che hanno perso la vita provando a arrivare in Europa. Il conteggio dei morti appare macabro e inumano: un morto dovrebbe essere già troppo. Ma in questa situazione non c’è nemmeno il tempo di riflettere, perché gli sbarchi si susseguono incessanti, e i viaggi delle persone che provano a raggiungere l’Europa in barca – la modalità che attira maggiormente l’attenzione dei media e della politica, perché più visibile – non si fermano. Quello che succede diventa notizia di un giorno, comunicato stampa, dichiarazione accorata.
Le 45 persone che sono morte il primo luglio provavano a spostarsi dai propri paesi verso l’Europa. Hanno perso la vita asfissiate, nel comparto del pesce – 3 metri per 3 – di un peschereccio soccorso dalla nave Grecale e portata a Pozzallo. “Li hanno picchiati e chiusi là dentro”, hanno spiegato i sopravvissuti, che hanno parlato anche del sistema sotteso ai viaggi in barca, dei costi – 1500 euro a testa, stando a quanto riportato dai media nazionali.
L’Unhcr stima che sono circa 500 le persone morte nel Mar Mediterraneo dall’inizio del 2014. Sempre l’Unhcr ha denunciato il 2 luglio la morte di 2 cittadini siriani, mentre 4 persone provenienti dal Nordafrica sarebbero disperse. Viaggiavano, con altre 215 persone, a bordo del motopesca soccorso dal rimorchiatore Asso 25 e portato a Porto Empedocle. Ancora il 2 luglio, sono arrivate a Catania 395 persone, soccorse dalla nave militare Orione. Un gruppo di migranti ha dichiarato agli operatori dell’Unhcr presenti sul porto di aver viaggiato su un gommone partito dalle coste libiche e naufragato una settimana fa. Non erano soli: secondo la loro testimonianza, viaggiavano con 101 persone. Loro -27 persone- si sarebbero salvati restando a galla in mare aperto fino all’arrivo di una nave mercantile: sarebbero quindi 74 i dispersi. Sulla vicenda la Procura di Catania ha aperto un’inchiesta.
Intanto, la polizia è impegnata a capire se tra le persone che rischiano la vita ci sono dei potenziali terroristi, anche se, come dichiarato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, “non risulta uno stabile collegamento tra le reti dei mercanti di morte che gestiscono le partenze dei migranti e le reti terroristiche”. Lo ha confermato il capo dei Servizi di sicurezza Alberto Manenti: “Non c’è alcun concreto pericolo di infiltrazioni terroristiche”, ha dichiarato davanti al Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza (Copasir). Ciononostante, il ministro Alfano ha ribadito che “nessuno è in grado di scartare alcuna ipotesi”. In altre parole: a fronte di una vera e propria ecatombe, oltre a dichiarazioni di circostanza si dà spazio a ipotesi prive di fondamento, che creano solo pericoloso allarmismo.
Stessa cosa per la questione sanitaria: settimane di dichiarazioni di politici e rappresentanti istituzionali, locali e nazionali e allarmi lanciati dai media hanno creato ad arte l’ennesima “emergenza” circa un presunto rischio sanitario legato all’arrivo dei migranti. Prima l’ebola, poi la tubercolosi. Per arrivare alle smentite: dei medici, e oggi anche della stessa Marina militare, secondo cui “non c’è nessun contagio tra i militari impegnati nei soccorsi”. Lo stesso ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha dichiarato che da gennaio sono stati effettuati 300 test della tubercolosi sugli operatori impegnati nelle misure di accoglienza, e i risultati “non destano preoccupazione”. Ciononostante, l’allarmismo prosegue.
Così come, nonostante le stragi quotidiane, le uniche sollecitazioni che arrivano dal governo italiano all’Unione Europea sono l’implementazione di “operazioni condivise dai capi di governo e dalla Commissione” (che tipo di operazioni non viene specificato), e “il programma Frontex plus”, unico strumento nominato dal premier Renzi per “fare fronte alle stragi nel Mediterraneo”. L’altra strategia proposta dal presidente del Consiglio, nel suo discorso di inaugurazione del semestre italiano di presidenza europea, è “la globalizzazione della civilizzazione”. Proprio così: con un lessico intriso di eurocentrismo e di neocolonialismo, il premier afferma che – “l’Africa deve vedere un protagonismo maggiore dell’Europa, non solo investimenti d’azienda, il tentativo è andare ad affrontare la questione energetica, ma anche la dimensione umana. Voi – afferma rivolto ai parlamentari – rappresentate, quale vertigine, un faro di civiltà”.
“I governi forniscano urgentemente alternative legali ai pericolosi viaggi in mare, garantendo alle persone bisognose la possibilità di cercare e trovare protezione e asilo”, ha sollecitato ieri l’Unchr.
Proposte già avanzate anche da associazioni e movimenti, mai prese in considerazione da chi secondo il presidente del Consiglio dovrebbe “globalizzare la civilizzazione”, dal “faro di civiltà” che non riesce – perchè non lo vuole – a fermare queste stragi. Il “faro” fa sforzi: ma per mantenere alte le barriere tra questa parte di mondo, che può permettersi di fare “investimenti d’azienda” in Africa, e quell’altra, che rischia la vita per scappare dai paesi nei quali, spesso anche a causa di questi “investimenti”, i conflitti non accennano a fermarsi.
Fonte: Cronache di ordinario razzismo
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