Sono passati quasi trent’anni dalla nascita del primo Gruppo di acquisto solidale a Fidenza. Più che tempo di bilanci, per questa straordinaria esperienza che fa forse perfino più fatica a raccontarsi che a resistere alla pressione dell’economia del dominio dei profitti – anche perché ogni gruppo fa, nel bene e nel male, molto storia a sé – è tempo di reinventarsi, perché, come afferma Marco Binotto nelle conclusioni del suo bel libro, “Comunicazione solidale” (Guerini editore), l’economia solidale deve provare sempre nuove strade per riuscire a prefigurare il modello del cambiamento ancora necessario. Quel che è certo, però, è che per chi si propone di cambiare stile di vita e avere un impatto sulla società, la necessità di comunicare quella scelta è essenziale, altrimenti il senso di farne solo un atto “privato”, privo di rilevanza pubblica e politica, resterebbe segnato davvero da un grande spreco, una grande occasione perduta. Jason Nardi ha scritto la prefazione del libro, la trovate qui sotto. Ha lavorato per un anno con il gruppo di studenti del corso tenuto da Binotto, ne è nato un Osservatorio delle Economie Solidali e Trasformative che sta censendo e studiando le relazioni partendo dalle reti territoriali per mettere in evidenza le connessioni di filiera, di collaborazione e di rete: una vera e propria inchiesta sullo stato di salute del movimento. Noi di Comune, che abbiamo una antica, bella e solida relazione di comunanza (scusate la parola) sia con Marco che con Jason, torneremo a parlarne molto presto
La pubblicazione che avete tra le mani colma una lacuna importante che è anche una delle debolezze e delle contraddizioni più evidenti di un sub-movimento “sotterraneo” come quello rappresentato dai GAS: cambiare stile di vita e avere un impatto sulla società e al tempo stesso non “comunicarlo”, quasi fosse un atto “privato” e non di rilevanza pubblica e politica. La “S” del GAS è dunque un atto di “solidarietà” interna ad un gruppo autoreferenziale o un’azione “contro” il sistema economico per tentare di costruirne, attraverso la pratica diretta delle relazioni e del mutualismo, uno alternativo?
In questi trent’anni dalla nascita del primo Gas a Fidenza, il fenomeno si è diffuso e trasformato molte volte. Il contrario di un modello di franchising, ogni Gas fa storia a sé e ha modalità organizzativa, motivazioni e valori, struttura e comunicazione diverse. Ci sono Gas informali (gruppi di amici, ecc.), altri autarchici, altri ancora “aziendali”; molti nel tempo hanno mutato forma (alcuni per assumere quella di una food coop o emporio di comunità, di una società di mutuo soccorso, di una cooperativa di consumo, di una CSA – Comunità a sostegno dell’agricoltura, di una bottega del commercio equo, di un mercato contadino…); altri ancora si sono specializzati e hanno puntato su un paniere di pochi prodotti o produttori; altri infine hanno “gemmato” e si sono moltiplicati e messi in rete.
Certo è che se in alcuni periodi è sembrata una moda, in generale, come evidenzia Binotto, si tratta piuttosto di una tendenza “antimodale”, che persiste nel tempo, emergendo a tratti e rimanendo sotto-traccia per altri – un movimento carsico. Con il rischio di diventare cultura di nicchia (chiusa ed identitaria) da una parte, per i “pochi ma buoni” o “hipster” dall’altra, ovvero creando un costume che si può sposare bene con una visione di capitalismo “green”, “smart” e da “start-up”. Da controcultura e agente di cambiamento radicale, una foglia di fico o un pacificatore di coscienze: faccio parte di un Gas, il mio l’ho fatto. Questa critica al consumo critico è un aspetto importante (che viene ripreso più volte nel testo), ma sarebbe ingeneroso generalizzare: molti Gas hanno fatto – insieme ai loro produttori di riferimento – un percorso non solo per arrivare a un prezzo giusto ed equo, ma a modalità per poter distribuire cibo sano e genuino a chi non ha un reddito sufficiente, con sistemi di perequazione solidale e mutualistica che – in epoche di pandemie e disastri climatici – saranno sempre più importanti.
Oltre alla “S” di solidarietà (che nel libro viene esplorata a fondo) e la “A” degli acquisti (anche questa analizzata in molte ricerche), c’è la componente “G” di Gruppo, che per certi Gas è la parte essenziale: la costruzione di senso attraverso la comunità, le relazioni, i momenti conviviali, la suddivisione di responsabilità (i referenti, gli animatori, i distributori, ecc.), gli spazi condivisi. In nuce, i GAS sono delle piccole comunità intenzionali, che possono trasformarsi – unendo le forze – in importanti luoghi di aggregazione e di socialità e, se non si limitano agli acquisti solidali, di ispirazione e azione politica per la transizione socio-economica di cui tanto sentiamo parlare. Dal boycott al buycott, dal consumo critico all’economia solidale, alla “forma organizzativa-rete”, qui ben analizzata.
I Gas hanno fatto un lavoro importante per esempio con i Sistemi di Garanzia Partecipata, traducendo valori e principi in criteri e valutazioni che aiutano a creare la fiducia e rafforzare le relazioni di conoscenza diretta con e tra produttori. In generale il “biologico” e il locale non sono sufficienti, occorre sapere la storia che c’è dietro, il racconto dei protagonisti, il perché e il come si fanno certe scelte. Altri hanno lavorato più sugli aspetti delle politiche locali del cibo e partecipato a campagne locali o nazionali. Il tutto quasi sempre con uno stile comunicativo che va dall’understatement all’(auto)ironia – riconoscendo i propri limiti e la dimensione locale. In queste pagine, alla approfondita ricostruzione storica si affianca una narrazione di molti esempi e l’analisi delle modalità comunicative e delle motivazioni culturali e politiche sottostanti.
Nel frattempo, in questi 30 anni si è costruita una “strategia di rete”, in Italia come in altri paesi dove il movimento dell’economia (sociale) solidale si è sviluppato – in particolare in Francia e in Spagna – e si sono costituite Reti Inter-Gas, RES e DES, ovvero forme di “patti” e accordi di rete territoriale, che hanno nei Gas uno dei componenti più importanti. Ad esempio, lo sviluppo della PDO (piccola distribuzione organizzata) in contrasto con la GDO dei supermercati e delle filiere globali, è un aspetto fondamentale per ripensare la logistica partendo dalle caratteristiche dei territori, dalla sinergia e collaborazione tra produttori, tra produttori e consumatori o altre componenti della filiera. Ultimamente si stanno moltiplicando esempi di rider-cooperativi o di trasporti condivisi, collegati o promossi da Gas, che possono essere replicati e federati.
Ma c’è ancora molto da fare e da reinventare, come afferma Binotto nelle sue conclusioni: “La sigla GAS dovrebbe trovare allora il modo di reinventarsi, l’economia solidale deve provare sempre nuove strade per riuscire a prefigurare il modello del cambiamento ancora necessario”.
Come RIES – Rete Italiana per l’Economia Solidale, che si è formata a partire dal Tavolo RES nazionale, coordinamento informale che metteva insieme quella che era la rete dei Gas con altri soggetti, pensiamo che sia giunto il momento di fare un nuovo censimento ragionato e partecipato dei Gas e delle realtà (di economia solidale o meno) che vi si relazionano. Dopo aver lavorato per un anno con il gruppo di studenti del corso del prof. Binotto, abbiamo messo in piedi un Osservatorio delle Economie Solidali e Trasformative e stiamo lavorando a una mappatura delle relazioni partendo dalle reti territoriali, mettendo in evidenza le connessioni di filiera, di collaborazione e di rete – una vera e propria inchiesta sullo stato di salute del movimento, partendo proprio dai Gas: cosa motiva i gasisti oggi, come si organizzano, si finanziano, si raccontano.
E per questo, serve Comunicazione solidale.
Jason Nardi è Presidente RIES – Rete Italiana per l’Economia Solidale
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